Sior Santul (letteralmente: signor Padrino) è l’appellativo con cui, solamente in Carnia, viene ancora oggi indicato e chiamato il parroco del paese. Questo termine racchiude in sé un profondo significato poiché il parroco, battezzando tutti i bambini del paese, diviene automaticamente SANTUL (cioè Padrino) di tutti e, per diversificarlo dal padrino personale di ciascuno, viene appunto chiamato SIOR SANTUL.
Su inconsapevole e benevola istigazione dell’amico Marino, ho riletto (per la terza volta, come accade solitamente per i libri che emozionano) questo primo lavoro di pre Antoni Bellina, pubblicato 30 anni fa, nel 1976, alcuni mesi PRIMA del terremoto del 6 maggio, quando l’autore non aveva che 35 anni.
Pur se ancora acerbo nello stile, che avrà completa maturazione negli anni seguenti, pur se appesantito da inutili ripetizioni, questa opera (che a mio avviso resta la più fresca e genuina di questo autore) racchiude già in nuce tutta la filosofia ed il pensiero di pre Toni Beline, che saranno via via riproposti e approfonditi successivamente nelle oltre 100 altre pubblicazioni, che la penna fantasiosa e assai prolifica di pre Toni ha finora partorito e continua a partorire incessantemente. Vi è perfino (pag. 49 e pag. 65) il preludio al suo lavoro più conosciuto e contestato, pubblicato poi nel 1999, “La fabriche dai predis” (già presente nella nostra biblioteca), che è una singolare autobiografia nella quale pre Bellina, prendendo lo spunto da fatti personali, fa l’autopsia ad un cadavere (il seminario) riesumato dopo 30 anni dalla sua morte (avvenuta per consunzione propria e conseguente implosione). Caro pre Toni, quelle cose sul Seminario, dovevi scriverle prima, quando il malato era ancora vivente e forse (?) poteva essere ancora salvato; un’ autopsia eseguita a 30 anni di distanza dal decesso, non è mai troppo attendibile e dà spesso risultati fuorvianti o contradditori…
Questo libro invece, scritto in lingua friulana, è la biografia di don Luigi Zuliani (1876-1953), un prete carnico, che restò SIOR SANTUL nel paese di Cercivento per ben 53 anni, dal 1900 al 1953! Una vita spesa interamente a favore di un paese, fiaccato da due guerre, dal fascismo, dalla miseria, dall’ emigrazione… La penna di pre Toni sa cogliere (pur non avendolo egli conosciuto personalmente) le varie sfaccettature di SIOR SANTUL, i suoi aspetti esaltanti e i suoi limiti, i suoi tics e i suoi sbalzi d’umore, la sua totale generosità e la sua cronica povertà… Pre Toni sa scrivere in un friulano squisito, che piace fin da subito, facile, piano ma ricco di significati e immediate emozioni: si gusta davvero lo scrivere di pre Toni, che sa mirabilmente estrarre dalla nostra lingua madre i termini più adeguati (e a volte ormai desueti) per esprimere sentimenti, giudizi, perplessità, stupore, sdegno, allegria…
La grande figura di SIOR SANTUL emerge senza aureola e senza volute d’incenso ma non per questo è meno affascinante e meno coinvolgente: proprio perché è umanamente vera, questa figura di prete appare oggi molto più concreta e solida di tante altre agiografie di preti (e vescovi) che furoreggiano in questi tempi di fiction. Il SIOR SANTUL di pre Toni è un prete vero, reale, che magari va a rubare le mele ai ricchi per darle ai poveri, che magari non paga i debiti fatti per acquistare regali ai bambini, che magari non paga la bolletta della luce adducendo che l’acqua che muove le turbine della SECAB è mandata da Dio anche per lui, che magari ama il vino e non disdegna la compagnia allegra, che magari teme la Madonna Missionaria con la sua corte di mangjons… eppure SIOR SANTUL ci resta nel cuore per sempre con la sua disincantata sapienza, con la sua bonaria semplicità, con la sua fede di bambino, con quel suo terrore dei vescovi-funzionari, freddi come il naso del gatto e lontani dalla gente e dai preti…
Oltre alla splendida biografia di questo SIOR SANTUL, pre Toni Bellina ci offre nelle prime 50 pagine del libro un interessantissimo antipasto, che riguarda l’AMBIENTE in cui si muove il romanzo-biografia. Tra questi capitoli iniziali, meritano senz’altro un interesse i seguenti:
- LA CHIESA E LA SCUOLA in Carnia, dove vengono tratteggiati per sommi capi i lineamenti del problema “SCUOLA” come venne vissuto e realizzato in Carnia nel ‘700 e ‘800, quando la Chiesa era l’unica sostenitrice della istruzione del popolo, poiché lo Stato non esisteva oppure era del tutto assente su questo versante. Vi si racconta dei capellani-maestri, degli ispettori-monsignori…
- LA FAMIGLIA viene raccontata sul modello pre-terremoto 1976 e fa riferimento al tipo di famiglia patriarcale in auge in Carnia fino agli inizi degli anni ’70: molto significativi anche gli spunti profetici inseriti che vi si trovano.
- La RELIGIONE in Carnia ha da sempre una venatura consistente di luteranesimo che la rende diversa e più personale rispetto a quella del Friuli e del Veneto, più bigotta, barocca e preote…
- Il CLERICALISMO dei preti è il capitolo più singolare e sincero di pre Toni, in cui vi sono raccolti tutti i temi della successiva attività di scrittore: perché esiste il clericalismo dei preti? E quindi perché è nato poi l’anticlericalismo? Sono temi questi molto cari a pre Toni e ancora oggi costituiscono, a ben vedere, l’architrave di tutta la sua vastissima produzione letteraria in cui traspare sempre questa ansia genuina, mai appagata, di volere eliminare il CLERICALISMO dei preti, causa di tantissimi mali per il Popolo di Dio. Pre Toni ama comunque profondamente la sua Chiesa “casta et meretrix”, la vorrebbe però meno meretrix e più casta, più genuina e meno burocratica, più “accanto” e “nel” popolo, che “sopra” il popolo. Di questo si angustiava Pre Toni Beline nel 1976, a 35 anni. Di questo si angustia oggi, nel 2005, a 64 anni!
RECENSIONE TRATTA DA:
http://www.cjargne.it/libri/siorsantul.htm
giovedì 31 dicembre 2009
sabato 12 dicembre 2009
la fabbrica dei preti
traduzione in italiano de.
la fabriche dai predis
la potete trovare al blog:
http://leonarduzzi.blogspot.com/search?updated-max=2009-10-21T17%3A06%3A00%2B02%3A00&max-results=10
e segue
http://leonarduzzi.blogspot.com/search?updated-max=2009-11-06T18%3A03%3A00%2B01%3A00&max-re
e segue:
http://leonarduzzi.blogspot.com/search?updated-max=2009-11-21T17%3A51%3A00%2B01%3A00&max-results=10
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la fabriche dai predis
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sabato 21 novembre 2009
dal notiziario n 28 luglio 2009 del centro balducci di zugliano
dal cielo: dialogo immaginario con don Antonio Bellina
... I LIBRI PRESENTATI
Il libro che Gianni Bellinetti ha di recente scritto, immaginandosi
l’esperienza del dialogo telefonico dal cielo,
è stato lo spunto per la serata del 30 aprile nel secondo
anniversario della morte di pre Toni Bellina. In una
sala gremita fino all’inverosimile di gente attenta e in
qualche momento anche fortemente polemica su alcune
posizioni espresse dagli oratori, si sono susseguite
letture del testo a ricordi e testimonianze. Ha iniziato
Patrizia Venier che ha riportato la sua esperienza di
persona ammaliata dalla figura di pre Toni pur avendolo
conosciuto unicamente attraverso i suoi scritti. Il
suo intervento, carico di emozione, ha suscitato anche
un intervento fortemente critico da parte di un ascoltatore
a cui una frase di Patrizia Venier era sembrata
sminuire il valore della traduzione della Bibbia in friulano
fatta da pre Toni. Il giornalista Roberto Jacovissi
ha messo in luce, da parte sua, come il libro abbia
ripreso quel fitto dialogo intessuto negli anni da Gianni
Bellinetti con pre Toni e che si è interrotto troppo presto
con la sua morte. Il dialogo consente all’autore di
riprendere i pensieri, i dubbi, le provocazioni usando
il timbro quasi della voce di pre Toni, ma è un percorso
malinconico per la mancanza della sua presenza
amicale. L’autore esorta a spazzar via la nostalgia e la
tristezza: “la serata deve essere una festa, una rimpatriata
come per il suo funerale avevano fatto i paesani
di Valle e Rivalpo” L’intento di Bellinetti è stato quello
di far emergere la visione rivoluzionaria che pre Toni
aveva della Chiesa. Cristina Benedetti ha letto, poi, il
testo dell’intervento di Marino Plazzotta – autore del
libro intervista “La fatica di essere prete” – che non ha
potuto essere presente per la grave malattia che lo ha
portato, a distanza di pochi giorni, alla morte. Ecco il
suo intervento completo seguito dal saluto fatto al suo
funerale da Pierluigi.
(Gianni Bellinetti, Telefonate dal cielo. Dialogo immaginario con don
Antonio Bellina, Editreg, Trieste, 2009)
Patrizia Venier, Roberto Jacovissi, Gianni Bellinetti,
Cristina Benedetti e Pierluigi Di Piazza
La fatica del credere
Possiamo cominciare questa riflessione ponendoci
una domanda. Chiediamoci: “Per quanto riguarda la
mia vita, le mie speranze, la mia famiglia, i miei amici,
perfino le mie certezze assolute, io ho qualche dubbio?
In sintesi la mia salute, le mie relazioni umane in
che misura sono, possono ritenersi autentiche, vere
oppure insicure perchè attraversate dal dubbio?”
Tutti noi abbiamo bisogno di sicurezza soprattutto per
le cose che non si possono assicurare. Pensiamo alla
salute: gli esami clinici sono aumentati negli ultimi anni
del 70%. La gente è ossessionata da quello che incombe
sulla sua salute fisica, meno da quella mentale!
Da un libretto di Luciano de Crescenzo, scritto proprio
su questo argomento, Il dubbio come problema strettamente
connesso alla vita e alle grandi domande della
vita, riporto alcune di queste domande che sicuramente
hanno occupato molte conversazioni della nostra
adolescenza e continuano ad occuparla:
“Credi in Dio?” “Certo che ci credo”.
“Ma credi proprio per davvero?” “Per davvero”.
“E non hai dubitato nemmeno una volta per un attimo
solo?” “In che senso?”
“Nel senso che ti è venuto un pensierino non richiesto
del tipo: e se poi non c’è nulla? E se tutto si conclude
con la morte e chi si è visto si è visto?” “Certo che mi
è capitato come a tutti credo. Però poi uno ci ragiona
su e si convince di nuovo”.
La breve introduzione solo per accennarvi ad uno
scritto di pre Antonio Bellina del 1994, La fadie dal
crodi, stampato in friulano ed edito da Glesie Furlane.
Purtroppo il libro per ora è solo in friulano e quindi
non è molto conosciuto. Il libro è interessante perchè
evidenzia un aspetto della vita del prete che tende a
configurarlo come una persona assolutamente preparata
a risolvere ogni dubbio anzi ad estirparlo proprio
come fa la Chiesa che per ogni problema ha la sua
soluzione. Dove non basta la ragione, o la fede ci sono
i dogmi e le altre innumerevoli impalcature teologiche,
fino a ricorrere al mistero che tacita ogni obbiezione.
Per darvi una idea ecco come pre Antoni introduce
l’argomento:
Come prete dovrei essere l’esperto della fede e tutti
dovrebbero aver diritto di venire da me a cercare
sicurezze. Questa volta voglio fare qualcosa di diverso.
Voglio sedermi con gli altri nell’ultimo angolo della
chiesa, per spartire con loro, in un momento particola18
NOTIZIARIO
re della mia vita, una sensazione e una situazione profonda:
la sensazione e la situazione del dubbio. E’ un
‘esperienza nuova, sofferta, tremenda e, come cercai
di dare loro una mano quando ero in piena luce, cosi
ora voglio offrire questa esperienza di passione e di
grazia, sorretto dal pensiero che tutto ha un suo posto
nel grande mistero del mondo, benché non sempre
si arrivi a vederlo. La notte non è meno importante
del giorno, anzi, dovrebbe essere la sua preparazione
naturale. Prego che Dio Padre, e il Figlio redentore e
solidale con gli uomini e lo Spirito di santità, non ci
lascino mancare la loro opera creativa di redenzione e
di santificazione e ci trasportino dalla notte alla luce più
viva. Le riflessioni che ho scritto in queste pagine non
sono un trattato sulla fede, né possono risolvere un
problema che durerà fin che durerà il mondo, perché
il mistero è mistero e resta mistero. Si può forse aprire
una finestrella per guardare dentro il mistero, o cercare
di salire più in alto per avere una visione migliore, sapendo
però prima che la verità ultima resterà sempre
più in alto dell’ultimo piolo della nostra povera scala.
Queste riflessioni sono, pertanto, il regalo di un povero
ad altri poveri, per spartire assieme la tenebra spirituale
e camminare insieme verso quella luce che per
noi ha un viso e un nome: Cristo il Signore sorgente e
completamento della nostra fede” (Eb 12,2). Ho scritto
queste pagine con schiettezza e libertà. Domando che
siano lette con la stessa schiettezza e libertà. So che,
soprattutto partendo dai trattati di teologia e delle definizioni
del magistero, è possibile distruggere ad una
ad una tutte queste mie riflessioni, soprattutto da parte
di chi è sicuro nella sua fede. Ma se è tanto sicuro,
non può essere anche tollerante, sapendo che la fede
è un dono di Dio e non un merito suo? In ogni caso
sono già preparato a sentire anatemi dai “buoni”. Spero,
tuttavia, di sentire anche le benedizioni delle anime
tormentate che hanno trovato un fratello che non ha
avuto paura a sedersi accanto a loro per condividere
la notte e dargli la mano, pregando insieme, in attesa
che venga giorno”.
Si può pensare che il dubbio negli anni di seminario
non assillò mai pre Antoni. La certezza a iere sigurade
di dirit, come la liste da blancjarie e dai libris. Era tutto
dato per scontato per cui avevano il tempo di interessarsi
ad altre cose come l’obbedienza e la castità.
Credo che questa sorta di letargo si sia protratta ben
oltre all’adolescenza, quando i giovani trascorrevano
ore a discutere sulle domande eterne. D’altra parte al
seminarista e al sacerdote non era concesso fare certe
domande considerate a priori insensate: Come può
uno che si prepara ad amministrare i sacramenti e a
spiegare la parola di Dio dubitare su Dio? Se proprio
gli vuoi fare una concessione, dubiti sulla Chiesa e su
quello che insegna, ma non su Dio!
A Pre Antoni i dubbi e le difficoltà del credere sono
arrivati poco a poco quando ha cominciato a sentirsi
un distributòr di religion ...ministradòr de fontane de
sapience di Diu, la che ducj e an dirit di là a bevi ... Si
può trovare un prete senza salute, senza soldi, senza
qualità umane , ma non un prete senza fede, almeno
all’apparenza!
Questa radicata convinzione è sempre stata consacrata
dalla Chiesa ed ha trovato nel magistero un assoluto
ed indiscutibile punto di riferimento. Nessuno mette in
discussione il diritto che la Chiesa ha di manifestare
la sua dottrina, né atei, né miscredenti, tanto meno
i laici: parli pure la Chiesa, attingendo alle sue fonti e
alla sua tradizione, ma qualche volta non sarebbe più
opportuno che tacesse? Che si pigliasse un momento
di riflessione? Continuando a parlare su tutto e di tutto
la Chiesa ha cominciato a farsi odiare, non perchè ci
insegna come essere più caritatevoli, più solidali, più
buoni, più pazienti, più tolleranti, ma perchè insiste
contro le pratiche contraccettive, toglie la scomunica
ai lefevriani, condanna l’aborto della giovane bambina
brasiliana scomunicando senza remissione i medici,
nega la comunione ai divorziati.
Condivido le domande che si pone il teologo Vito Mancuso:
Tra cento anni i principi di bioetica affermati oggi
con granitica sicurezza dalla Chiesa saranno i medesimi,
o invece saranno rivisti come lo sono stati i principi
della morale sociale? Siamo sicuri che la fecondazione
assistita sia contraria alla volontà di Dio? Siamo certi
che l’uso di preservativo sia contrario alla volontà di
Dio? Siamo sicuri che il voler morire in modo naturale
senza prolungata dipendenza da macchinari compresi
sondini naso-gastrici sia contrario al volere di Dio?
Il Magistero non vuole lasciare dubbi ai suoi fedeli. Ha
sempre una risposta pronta come se la sua fonte di informazione
fosse consultabile telefonicamente al bisogno.
Stare dentro alla Chiesa e permettersi di dubitare
è un privilegio non ammesso. Il dubbio assale anche chi
prega! Si chiedeva tempo fa don Pierluigi: “Che cosa
è poi la preghiera? Non é una formula che uno dice e
ridice a memoria! I salmi della Bibbia, per esempio, in
numero molto elevato, sono domande pressanti a Dio.
Non sono dubbi di fede per cui, un tempo, quasi si
era invitati a confessarsi. La Bibbia nella preghiera dei
salmi era una raccolta di dubbi di fede. Perché, Dio?
Perché? Fino a quando? Come mai? E sono considerate
preghiere. Non dubbi, preghiere. Anche il dubbio
è preghiera. Può essere anche un’imprecazione, come
diceva Padre Turoldo, una preghiera. Può essere una
non accettazione, una preghiera. Chissà se vivere con
una presenza misteriosa, con cui in qualche modo si
sente di avere a che fare, che si interroga, chissà, se
anche la stessa preghiera non sia occasione per porsi
dubbiose domande, per quanto provocatorie?”
In che cosa crede chi non crede è il titolo di una riflessione
tra il Cardinale Martini e Umberto Eco, ma
probabilmente la domanda andrebbe capovolta: in che
cosa crede chi crede? Uno che non crede ha cancellato
tutto, ma uno che crede deve davvero chiedersi
ogni giorno in che cosa crede e se crede. Non ho
dubbi che se interroghiamo i cristiani che escono dalla
messa domenicale su quello che hanno sentito,su che
cosa pensano della transustanziazione, del peccato
originale, della grazia, della immacolata concezione,
scopriremo degli autentici eretici, pelagiani, ariani, luterani,
calvinisti, miscredenti. Il dubbio anziché diminuire
fra i cristiani cresce e spesso si fa assillante.
Per finire, dal libro La fadie dal crodi:
19 NOTIZIARIO
Tornant al argoment di chest gno resona, a la radiografie
dal dubit, o dis che no mi sint in crisi su Dio e la so
esistence. Ce che mi sta metint in crisi e je la teologje e
lis rispuestis masse siguris che la glesie catoliche cu la
so teologie, e a dat tai secui ... La grande tragiedie de
glesie e je che e a vut masse sigurecis su Dio e masse
insigurecis su l’om.
Pre Antoni ci insegna che Dio è un rifugio e non la
risposta sicura a tutte le nostre domande. Pretendere
che anche la Chiesa si adegui a questo atteggiamento,
non significa stravolgere la sua missione, ma renderla
più vicina agli uomini, più misericordiosa, più comprensiva:
anche se ciò sembra un’utopia.
Marino Plazzotta,
30 aprile 2009
Neanche un mese dopo la presentazione del libro
di Gianni Bellinetti, Marino Plazzotta ci ha lasciati.
Il Centro Balducci lo ricorda con stima e riconoscenza
attraverso le parole che Pierluigi ha espresso
nella celebrazione del saluto a lui nella chiesa di
Buttrio il 23 maggio 2009.
Saluto a Marino Plazzotta
Mi vengono proprio dal profondo del cuore alcuni vissuti
che si fanno riflessione ed espressione pubblica per contribuire
con umiltà e commozione al saluto più vero, autentico
e partecipato a Marino, insieme prima di tutto ai suoi familiari
e poi agli amici e ai conoscenti.
Sento Marino nelle sue dimensioni essenziali che, come avviene
nel paradosso della vita, anche il percorso doloroso e
meditativo della malattia ha contribuito ad approfondire.
Riascolto l’eco della sua umanità di adolescente e giovane
della nostra montagna della Carnia, l’intelligenza intuitiva
e viva che lo portava a indagare e riflettere.
Dopo diversi anni in cui il contatto diretto si era interrotto,
non per motivazioni particolari, tanto meno per scelta di
uno o dell’altro o di entrambi, l’ho reincontrato alcuni anni
fa su quella lunghezza d’onda originaria, verificata, arricchita,
portata all’essenziale dalla complessità della vita e
delle sue vicende.
L’ho reincontrato mentre, insieme ai vissuti con i suoi familiari,
ne intratteneva altri due particolarmente impegnativi
interrogativi e interlocutori: uno con la malattia e l’altro
con l’umanità, la fede, gli interrogativi di pre Toni Bellina;
due riferimenti che spesso sono diventati lo stesso, proprio
perché anche pre Toni ha posto in continuazione la questione
della malattia, del dolore, della sofferenza come questione
aperta a Dio, a Gesù di Nazaret, alla fede in Lui.
E così qualche volta l’ho incontrato in ospedale; abbiamo
camminato insieme dialogando nel Centro Balducci; abbiamo
insieme proposto nel giugno scorso un incontro per
ricordare pre Toni, molto partecipato e vissuto con profonda
intensità e commozione; abbiamo collaborato per riproporlo
anche quest’anno, il 30 aprile; Marino non ha potuto partecipare
perché il male aveva cominciato a dare i segni del
suo sopravanzare invadente. Ho comunicato il motivo della
sua assenza e invitato la folla dei presenti a tributargli un
dovuto applauso di amicizia e riconoscenza; un altro altrettanto
intenso è seguito alla lettura dell’intervento da lui
preparato: ricco di umanità, ricco del dubbio, della fatica e
insieme dell’essenza di una fede inquieta e in ricerca, essenziale,
liberata dalle sovrastrutture ideologiche confessionali
e clericali. Il credere e il non credere con serietà sono un’autentica
impresa. Posso comunicare oggi con commozione che
ho sentito quei due lunghi e caldi applausi come un saluto
a Marino, come un anticipo interiore del silenzio di questa
celebrazione.
Marino, una volta scoperto e incontrato pre Toni, ha sentito
il dovere interiore spirituale ed etico di farne conoscere con
le interviste e i libri l’umanità profonda, la sensibilità, la
libertà, il coraggio, la solitudine, la lettura della vita e della
storia con la Bibbia nel cuore, da lui tradotta in lingua
friulana, dalla parte dei poveri, degli umili, degli ultimi,
degli scartati, leggendovi le sofferenze e insieme le ricchezze
umane, culturali, spirituali.
Sento e saluto con commozione e affetto Marino su questa
profonda lunghezza d’onda: Marino come ricercatore di verità,
di profondità, di essenzialità, di una fede che si lascia
interrogare, che si interroga, che interroga… Marino che
vibra nella profondità del suo essere, che deve arrendersi
alla malattia che spegne le funzioni biologiche vitali, ma
non spegne lo spirito, la profondità dell’essere.
Ricordo che anni fa un intellettuale, economista e poi anche
politico, partito da posizioni dichiarate di non credente,
via via cercando i significati profondi del vivere, soffrire e
morire arrivò a celebrare nella stanza in cui morì poco dopo
colpito anche lui da un tumore, l’Eucarestia con padre Balducci,
Raniero La Valle ed altri… E salutò mentre le forze
erano davvero ormai poche con queste parole: “Ora andrò
finalmente a vedere come stanno davvero le cose.”
Mi viene spontaneo associare questo atteggiamento a Marino
in questo passaggio misterioso della morte; siamo qui
a ridirci sommessamente che non è verso il buio, il vuoto e
l’insignificanza, ma verso una Presenza che misteriosamente
ci accoglie… Esprimiamo questa fiducia non irragionevole,
ma ragionevole: che anche se non sappiamo il dove e il
come, questa accoglienza misteriosamente avviene e Marino,
tutti i nostri cari continuano a vivere e ad accompagnarci
nella nostra vita. Non si tratta di una verità dogmatica
a cui aderire, bensì di una possibile apertura esistenziale a
cui affidarsi.
Con stima, riconoscenza e amicizia saluto, salutiamo Marino.
Pierluigi Di Piazza
... I LIBRI PRESENTATI
Il libro che Gianni Bellinetti ha di recente scritto, immaginandosi
l’esperienza del dialogo telefonico dal cielo,
è stato lo spunto per la serata del 30 aprile nel secondo
anniversario della morte di pre Toni Bellina. In una
sala gremita fino all’inverosimile di gente attenta e in
qualche momento anche fortemente polemica su alcune
posizioni espresse dagli oratori, si sono susseguite
letture del testo a ricordi e testimonianze. Ha iniziato
Patrizia Venier che ha riportato la sua esperienza di
persona ammaliata dalla figura di pre Toni pur avendolo
conosciuto unicamente attraverso i suoi scritti. Il
suo intervento, carico di emozione, ha suscitato anche
un intervento fortemente critico da parte di un ascoltatore
a cui una frase di Patrizia Venier era sembrata
sminuire il valore della traduzione della Bibbia in friulano
fatta da pre Toni. Il giornalista Roberto Jacovissi
ha messo in luce, da parte sua, come il libro abbia
ripreso quel fitto dialogo intessuto negli anni da Gianni
Bellinetti con pre Toni e che si è interrotto troppo presto
con la sua morte. Il dialogo consente all’autore di
riprendere i pensieri, i dubbi, le provocazioni usando
il timbro quasi della voce di pre Toni, ma è un percorso
malinconico per la mancanza della sua presenza
amicale. L’autore esorta a spazzar via la nostalgia e la
tristezza: “la serata deve essere una festa, una rimpatriata
come per il suo funerale avevano fatto i paesani
di Valle e Rivalpo” L’intento di Bellinetti è stato quello
di far emergere la visione rivoluzionaria che pre Toni
aveva della Chiesa. Cristina Benedetti ha letto, poi, il
testo dell’intervento di Marino Plazzotta – autore del
libro intervista “La fatica di essere prete” – che non ha
potuto essere presente per la grave malattia che lo ha
portato, a distanza di pochi giorni, alla morte. Ecco il
suo intervento completo seguito dal saluto fatto al suo
funerale da Pierluigi.
(Gianni Bellinetti, Telefonate dal cielo. Dialogo immaginario con don
Antonio Bellina, Editreg, Trieste, 2009)
Patrizia Venier, Roberto Jacovissi, Gianni Bellinetti,
Cristina Benedetti e Pierluigi Di Piazza
La fatica del credere
Possiamo cominciare questa riflessione ponendoci
una domanda. Chiediamoci: “Per quanto riguarda la
mia vita, le mie speranze, la mia famiglia, i miei amici,
perfino le mie certezze assolute, io ho qualche dubbio?
In sintesi la mia salute, le mie relazioni umane in
che misura sono, possono ritenersi autentiche, vere
oppure insicure perchè attraversate dal dubbio?”
Tutti noi abbiamo bisogno di sicurezza soprattutto per
le cose che non si possono assicurare. Pensiamo alla
salute: gli esami clinici sono aumentati negli ultimi anni
del 70%. La gente è ossessionata da quello che incombe
sulla sua salute fisica, meno da quella mentale!
Da un libretto di Luciano de Crescenzo, scritto proprio
su questo argomento, Il dubbio come problema strettamente
connesso alla vita e alle grandi domande della
vita, riporto alcune di queste domande che sicuramente
hanno occupato molte conversazioni della nostra
adolescenza e continuano ad occuparla:
“Credi in Dio?” “Certo che ci credo”.
“Ma credi proprio per davvero?” “Per davvero”.
“E non hai dubitato nemmeno una volta per un attimo
solo?” “In che senso?”
“Nel senso che ti è venuto un pensierino non richiesto
del tipo: e se poi non c’è nulla? E se tutto si conclude
con la morte e chi si è visto si è visto?” “Certo che mi
è capitato come a tutti credo. Però poi uno ci ragiona
su e si convince di nuovo”.
La breve introduzione solo per accennarvi ad uno
scritto di pre Antonio Bellina del 1994, La fadie dal
crodi, stampato in friulano ed edito da Glesie Furlane.
Purtroppo il libro per ora è solo in friulano e quindi
non è molto conosciuto. Il libro è interessante perchè
evidenzia un aspetto della vita del prete che tende a
configurarlo come una persona assolutamente preparata
a risolvere ogni dubbio anzi ad estirparlo proprio
come fa la Chiesa che per ogni problema ha la sua
soluzione. Dove non basta la ragione, o la fede ci sono
i dogmi e le altre innumerevoli impalcature teologiche,
fino a ricorrere al mistero che tacita ogni obbiezione.
Per darvi una idea ecco come pre Antoni introduce
l’argomento:
Come prete dovrei essere l’esperto della fede e tutti
dovrebbero aver diritto di venire da me a cercare
sicurezze. Questa volta voglio fare qualcosa di diverso.
Voglio sedermi con gli altri nell’ultimo angolo della
chiesa, per spartire con loro, in un momento particola18
NOTIZIARIO
re della mia vita, una sensazione e una situazione profonda:
la sensazione e la situazione del dubbio. E’ un
‘esperienza nuova, sofferta, tremenda e, come cercai
di dare loro una mano quando ero in piena luce, cosi
ora voglio offrire questa esperienza di passione e di
grazia, sorretto dal pensiero che tutto ha un suo posto
nel grande mistero del mondo, benché non sempre
si arrivi a vederlo. La notte non è meno importante
del giorno, anzi, dovrebbe essere la sua preparazione
naturale. Prego che Dio Padre, e il Figlio redentore e
solidale con gli uomini e lo Spirito di santità, non ci
lascino mancare la loro opera creativa di redenzione e
di santificazione e ci trasportino dalla notte alla luce più
viva. Le riflessioni che ho scritto in queste pagine non
sono un trattato sulla fede, né possono risolvere un
problema che durerà fin che durerà il mondo, perché
il mistero è mistero e resta mistero. Si può forse aprire
una finestrella per guardare dentro il mistero, o cercare
di salire più in alto per avere una visione migliore, sapendo
però prima che la verità ultima resterà sempre
più in alto dell’ultimo piolo della nostra povera scala.
Queste riflessioni sono, pertanto, il regalo di un povero
ad altri poveri, per spartire assieme la tenebra spirituale
e camminare insieme verso quella luce che per
noi ha un viso e un nome: Cristo il Signore sorgente e
completamento della nostra fede” (Eb 12,2). Ho scritto
queste pagine con schiettezza e libertà. Domando che
siano lette con la stessa schiettezza e libertà. So che,
soprattutto partendo dai trattati di teologia e delle definizioni
del magistero, è possibile distruggere ad una
ad una tutte queste mie riflessioni, soprattutto da parte
di chi è sicuro nella sua fede. Ma se è tanto sicuro,
non può essere anche tollerante, sapendo che la fede
è un dono di Dio e non un merito suo? In ogni caso
sono già preparato a sentire anatemi dai “buoni”. Spero,
tuttavia, di sentire anche le benedizioni delle anime
tormentate che hanno trovato un fratello che non ha
avuto paura a sedersi accanto a loro per condividere
la notte e dargli la mano, pregando insieme, in attesa
che venga giorno”.
Si può pensare che il dubbio negli anni di seminario
non assillò mai pre Antoni. La certezza a iere sigurade
di dirit, come la liste da blancjarie e dai libris. Era tutto
dato per scontato per cui avevano il tempo di interessarsi
ad altre cose come l’obbedienza e la castità.
Credo che questa sorta di letargo si sia protratta ben
oltre all’adolescenza, quando i giovani trascorrevano
ore a discutere sulle domande eterne. D’altra parte al
seminarista e al sacerdote non era concesso fare certe
domande considerate a priori insensate: Come può
uno che si prepara ad amministrare i sacramenti e a
spiegare la parola di Dio dubitare su Dio? Se proprio
gli vuoi fare una concessione, dubiti sulla Chiesa e su
quello che insegna, ma non su Dio!
A Pre Antoni i dubbi e le difficoltà del credere sono
arrivati poco a poco quando ha cominciato a sentirsi
un distributòr di religion ...ministradòr de fontane de
sapience di Diu, la che ducj e an dirit di là a bevi ... Si
può trovare un prete senza salute, senza soldi, senza
qualità umane , ma non un prete senza fede, almeno
all’apparenza!
Questa radicata convinzione è sempre stata consacrata
dalla Chiesa ed ha trovato nel magistero un assoluto
ed indiscutibile punto di riferimento. Nessuno mette in
discussione il diritto che la Chiesa ha di manifestare
la sua dottrina, né atei, né miscredenti, tanto meno
i laici: parli pure la Chiesa, attingendo alle sue fonti e
alla sua tradizione, ma qualche volta non sarebbe più
opportuno che tacesse? Che si pigliasse un momento
di riflessione? Continuando a parlare su tutto e di tutto
la Chiesa ha cominciato a farsi odiare, non perchè ci
insegna come essere più caritatevoli, più solidali, più
buoni, più pazienti, più tolleranti, ma perchè insiste
contro le pratiche contraccettive, toglie la scomunica
ai lefevriani, condanna l’aborto della giovane bambina
brasiliana scomunicando senza remissione i medici,
nega la comunione ai divorziati.
Condivido le domande che si pone il teologo Vito Mancuso:
Tra cento anni i principi di bioetica affermati oggi
con granitica sicurezza dalla Chiesa saranno i medesimi,
o invece saranno rivisti come lo sono stati i principi
della morale sociale? Siamo sicuri che la fecondazione
assistita sia contraria alla volontà di Dio? Siamo certi
che l’uso di preservativo sia contrario alla volontà di
Dio? Siamo sicuri che il voler morire in modo naturale
senza prolungata dipendenza da macchinari compresi
sondini naso-gastrici sia contrario al volere di Dio?
Il Magistero non vuole lasciare dubbi ai suoi fedeli. Ha
sempre una risposta pronta come se la sua fonte di informazione
fosse consultabile telefonicamente al bisogno.
Stare dentro alla Chiesa e permettersi di dubitare
è un privilegio non ammesso. Il dubbio assale anche chi
prega! Si chiedeva tempo fa don Pierluigi: “Che cosa
è poi la preghiera? Non é una formula che uno dice e
ridice a memoria! I salmi della Bibbia, per esempio, in
numero molto elevato, sono domande pressanti a Dio.
Non sono dubbi di fede per cui, un tempo, quasi si
era invitati a confessarsi. La Bibbia nella preghiera dei
salmi era una raccolta di dubbi di fede. Perché, Dio?
Perché? Fino a quando? Come mai? E sono considerate
preghiere. Non dubbi, preghiere. Anche il dubbio
è preghiera. Può essere anche un’imprecazione, come
diceva Padre Turoldo, una preghiera. Può essere una
non accettazione, una preghiera. Chissà se vivere con
una presenza misteriosa, con cui in qualche modo si
sente di avere a che fare, che si interroga, chissà, se
anche la stessa preghiera non sia occasione per porsi
dubbiose domande, per quanto provocatorie?”
In che cosa crede chi non crede è il titolo di una riflessione
tra il Cardinale Martini e Umberto Eco, ma
probabilmente la domanda andrebbe capovolta: in che
cosa crede chi crede? Uno che non crede ha cancellato
tutto, ma uno che crede deve davvero chiedersi
ogni giorno in che cosa crede e se crede. Non ho
dubbi che se interroghiamo i cristiani che escono dalla
messa domenicale su quello che hanno sentito,su che
cosa pensano della transustanziazione, del peccato
originale, della grazia, della immacolata concezione,
scopriremo degli autentici eretici, pelagiani, ariani, luterani,
calvinisti, miscredenti. Il dubbio anziché diminuire
fra i cristiani cresce e spesso si fa assillante.
Per finire, dal libro La fadie dal crodi:
19 NOTIZIARIO
Tornant al argoment di chest gno resona, a la radiografie
dal dubit, o dis che no mi sint in crisi su Dio e la so
esistence. Ce che mi sta metint in crisi e je la teologje e
lis rispuestis masse siguris che la glesie catoliche cu la
so teologie, e a dat tai secui ... La grande tragiedie de
glesie e je che e a vut masse sigurecis su Dio e masse
insigurecis su l’om.
Pre Antoni ci insegna che Dio è un rifugio e non la
risposta sicura a tutte le nostre domande. Pretendere
che anche la Chiesa si adegui a questo atteggiamento,
non significa stravolgere la sua missione, ma renderla
più vicina agli uomini, più misericordiosa, più comprensiva:
anche se ciò sembra un’utopia.
Marino Plazzotta,
30 aprile 2009
Neanche un mese dopo la presentazione del libro
di Gianni Bellinetti, Marino Plazzotta ci ha lasciati.
Il Centro Balducci lo ricorda con stima e riconoscenza
attraverso le parole che Pierluigi ha espresso
nella celebrazione del saluto a lui nella chiesa di
Buttrio il 23 maggio 2009.
Saluto a Marino Plazzotta
Mi vengono proprio dal profondo del cuore alcuni vissuti
che si fanno riflessione ed espressione pubblica per contribuire
con umiltà e commozione al saluto più vero, autentico
e partecipato a Marino, insieme prima di tutto ai suoi familiari
e poi agli amici e ai conoscenti.
Sento Marino nelle sue dimensioni essenziali che, come avviene
nel paradosso della vita, anche il percorso doloroso e
meditativo della malattia ha contribuito ad approfondire.
Riascolto l’eco della sua umanità di adolescente e giovane
della nostra montagna della Carnia, l’intelligenza intuitiva
e viva che lo portava a indagare e riflettere.
Dopo diversi anni in cui il contatto diretto si era interrotto,
non per motivazioni particolari, tanto meno per scelta di
uno o dell’altro o di entrambi, l’ho reincontrato alcuni anni
fa su quella lunghezza d’onda originaria, verificata, arricchita,
portata all’essenziale dalla complessità della vita e
delle sue vicende.
L’ho reincontrato mentre, insieme ai vissuti con i suoi familiari,
ne intratteneva altri due particolarmente impegnativi
interrogativi e interlocutori: uno con la malattia e l’altro
con l’umanità, la fede, gli interrogativi di pre Toni Bellina;
due riferimenti che spesso sono diventati lo stesso, proprio
perché anche pre Toni ha posto in continuazione la questione
della malattia, del dolore, della sofferenza come questione
aperta a Dio, a Gesù di Nazaret, alla fede in Lui.
E così qualche volta l’ho incontrato in ospedale; abbiamo
camminato insieme dialogando nel Centro Balducci; abbiamo
insieme proposto nel giugno scorso un incontro per
ricordare pre Toni, molto partecipato e vissuto con profonda
intensità e commozione; abbiamo collaborato per riproporlo
anche quest’anno, il 30 aprile; Marino non ha potuto partecipare
perché il male aveva cominciato a dare i segni del
suo sopravanzare invadente. Ho comunicato il motivo della
sua assenza e invitato la folla dei presenti a tributargli un
dovuto applauso di amicizia e riconoscenza; un altro altrettanto
intenso è seguito alla lettura dell’intervento da lui
preparato: ricco di umanità, ricco del dubbio, della fatica e
insieme dell’essenza di una fede inquieta e in ricerca, essenziale,
liberata dalle sovrastrutture ideologiche confessionali
e clericali. Il credere e il non credere con serietà sono un’autentica
impresa. Posso comunicare oggi con commozione che
ho sentito quei due lunghi e caldi applausi come un saluto
a Marino, come un anticipo interiore del silenzio di questa
celebrazione.
Marino, una volta scoperto e incontrato pre Toni, ha sentito
il dovere interiore spirituale ed etico di farne conoscere con
le interviste e i libri l’umanità profonda, la sensibilità, la
libertà, il coraggio, la solitudine, la lettura della vita e della
storia con la Bibbia nel cuore, da lui tradotta in lingua
friulana, dalla parte dei poveri, degli umili, degli ultimi,
degli scartati, leggendovi le sofferenze e insieme le ricchezze
umane, culturali, spirituali.
Sento e saluto con commozione e affetto Marino su questa
profonda lunghezza d’onda: Marino come ricercatore di verità,
di profondità, di essenzialità, di una fede che si lascia
interrogare, che si interroga, che interroga… Marino che
vibra nella profondità del suo essere, che deve arrendersi
alla malattia che spegne le funzioni biologiche vitali, ma
non spegne lo spirito, la profondità dell’essere.
Ricordo che anni fa un intellettuale, economista e poi anche
politico, partito da posizioni dichiarate di non credente,
via via cercando i significati profondi del vivere, soffrire e
morire arrivò a celebrare nella stanza in cui morì poco dopo
colpito anche lui da un tumore, l’Eucarestia con padre Balducci,
Raniero La Valle ed altri… E salutò mentre le forze
erano davvero ormai poche con queste parole: “Ora andrò
finalmente a vedere come stanno davvero le cose.”
Mi viene spontaneo associare questo atteggiamento a Marino
in questo passaggio misterioso della morte; siamo qui
a ridirci sommessamente che non è verso il buio, il vuoto e
l’insignificanza, ma verso una Presenza che misteriosamente
ci accoglie… Esprimiamo questa fiducia non irragionevole,
ma ragionevole: che anche se non sappiamo il dove e il
come, questa accoglienza misteriosamente avviene e Marino,
tutti i nostri cari continuano a vivere e ad accompagnarci
nella nostra vita. Non si tratta di una verità dogmatica
a cui aderire, bensì di una possibile apertura esistenziale a
cui affidarsi.
Con stima, riconoscenza e amicizia saluto, salutiamo Marino.
Pierluigi Di Piazza
C'ERA UNA VOLTA LA FABBRICA DEI PRETI
C'ERA UNA VOLTA LA FABBRICA DEI PRETI
il Piccolo — 08 marzo 2009 pagina 25 sezione: CULTURA - SPETTACOLO
di PAOLO RUMIZ Il parroco di Paluzza che alza la voce contro le interferenze del Vaticano sul caso di Eluana Englaro. Preti carnici arroccati nelle loro valli, con al petto il simbolo alessandrino della chiesa aquileiese e non di quella romana. Tonache irriducibili, in trincea per la conservazione della lingua e della civiltà friulana. Greggi di fedeli montanari in bilico tra cattolicesimo e protestantesimo. Un’ostilità della periferia contro il centralismo di un’Ecclesia che punta alle “piazze piene” e non tiene conto delle “chiese vuote”. Una terra anarchica e socialista, Carnia “cence Dio e cence Madone”. Per capire questo piccolo mondo ai limiti dello scisma, mi hanno detto a Udine, devi leggerti le quattrocento pagine in friulano di un libro semiclandestino e mai tradotto: “La fabriche dai predis” . La fabbrica dei preti, cioè il seminario, descritto come struttura immutabile, iperconservatrice e sessuofobia. Un micidiale pamphlet, gonfio di una lingua schietta fino alla truculenza, scritto non da un politico anticlericale, ma un indomabile prete carnico, il fu Antonio Bellina . Un tipo combattivo e scomodo, attaccato al popolo di Dio, insofferente delle gerarchie e di conseguenza relegato in una parrocchia di periferia, Basagliapenta. Narrano che quando Wojtyla annunciò la sua visita in Friuli, solo una persona osò protestare per l’enormità della spesa. Era sempre lui, “pre Toni Beline” , figlio della Carnia amara. La Curia tentò di tacitarlo, ma quello non era tipo da star zitto e aveva tutti i numeri per parlare: in vent’anni di lavoro “matto e disperatissimo” aveva tradotto la Bibbia in friulano e la sua fatica aveva potentemente contribuito al riconoscimento ufficiale della lingua, gettando le basi delle leggi speciali a tutela della sua gente. E così, dieci anni fa, alla fine di una vita di obbedienza, questo piccolo Lutero del Nordest ha deciso di vuotare il sacco e raccontare l’ultimo segreto del suo mondo. Il più intimo, quello del collegio che per quattro secoli – dal concilio di Trento in poi - ha formato generazioni di preti: il seminario. Quattrocento pagine scritte tutte d’un fiato, come una liberazione. Figurarsi il putiferio in curia. Il testo fu immediatamente tolto di circolazione, bollato dai vescovi e dal Vaticano, tenuto nascosto per dieci anni con divieto assoluto di traduzione in italiano e altre lingue. Poiché non sembrava abbastanza, al prete è stata chiesta una lettera di scuse, quasi un’abiura. Ma il Friuli è terra ostinata, e ostinati sono i suoi preti. Così Don Bellina - nato nel 1941 e nel frattempo passato a miglior vita nell’anno del Signore 2007 - ha deciso di essere ancora scomodo, e di consumare da morto la rappresaglia per la censura subita. Non si sa come, ma da qualche tempo il libro galeotto è scappato di mano e ha preso a circolare con evidente imbarazzo della Chiesa di Roma. L’abbiamo letto, ed è stata una rivelazione. «Leviamoci il cappello e fermiamoci un attimo a pregare per tanta manovalanza sacrificata e assassinata in questi anni e secoli», esordisce Bellina per mettere subito le cose in chiaro. Il termine “assassinata” è una figura retorica, ma siete avvertiti. “Manovalanza” è il modo con cui l’Autore chiama se stesso e i suoi compagni d’avventura. Ma il Nostro chiede di pregare anche per le “maestranze”, i suoi insegnanti, anch’esse “vittime di un sistema che accoppava l’uomo illudendosi di onorare Dio, il quale pure l’aveva voluto a sua immagine come coronamento del Creato”. Il seguito è la descrizione spietata di un pianeta della noia che clona individui tutti eguali. Una “prigione volontaria” dove si cancella l’uomo per fare un automa. Un posto blindato dove – racconta il prete friulano - è vietato far domande, si vive nel terrore della punizione e si obbedisce sempre e comunque. La castità era l’ossessione dominante: a date fisse il bromuro “arrivava a camionate in tre luoghi classici: il seminario, le caserme e la prigione”. In una tazza di latte in polvere con una roba nera chiamata caffè, “mani sante e discrete” mettevano ogni mattina una dose del sedativo, e i ragazzini in tumultuosa adolescenza non riuscivano a capire come mai, tornati nelle loro povere case, bastasse loro una minestra e una crosta di formaggio per sentire “movimenti di truppe”, mentre invece, dopo gli abbondanti pranzi seminariali, tutto taceva sotto la cintura. Le mani in tasca? Guai. Dovevano star fuori, anche d’inverno, per evitare contatti con parti intime. Per questo - spiega l’Autore - i vecchi preti si fregano spesso le mani: non avendo potuto scaldarsele per anni in seminario, hanno ereditato un freddo endemico e l’istinto di scaldarsi altrimenti. La doccia? Andava fatta alla velocità della luce, sempre per scongiurare soste sulle parti di cui sopra, e per questo dopo cinque minuti qualcuno sparava nei tubi acqua gelata. Così, se qualcuno faceva il furbo, “rischiava non solo la dannazione eterna ma anche la polmonite”. Il corpo? Un male necessario, un nemico contro cui combattere. Il sesto comandamento giganteggiava sugli altri nove e le tentazioni corporali erano tutte codificate. Persino la donna che allatta a seno nudo. Racconta Gianpaolo Gri, antropologo dell’università di Udine: “Di famiglia indigente, il piccolo Bellina non era tenuto in nessuna considerazione ed è rimasto emarginato e scomodo anche da prete”. I poveri dovevano tacere; lamentarsi era segno di ingratitudine; ogni momento veniva detto loro che la retta non bastava a coprire le spese. Ma l’Autore aveva un altro handicap: era intelligente, e gli intelligenti erano, scrive egli stesso, “i primi a cadere sotto il plotone di esecuzione”. In seminario “avevano paura di essere sbattuti fuori non i più stupidi e addormentati ma i più intelligenti e svegli”. Dalle 400 pagine emerge un bestiario di personaggi indimenticabili. Come il parroco di Ampezzo, detto Himmler per la sua durezza; Aldo Moretti, che diventa pilastro dell’organizzazione clandestina “Gladio”; o Riccardo della Rovere, che insegna fisica in una catacomba e fuma sputando fumo dalle narici come un dragone. “Nella tradizione carceraria si usa dare ai prigionieri un’ora d’aria... In quella prigione mistica e volontaria che è il seminario, ci era consentito uscire in quel mondo dove (agli occhi dei nostri insegnanti, n.d.r.) regnavano solo brame inconfessabili e porcherie inimmaginabili”. L’intervallo era di un’oretta, i ragazzi potevano camminare solo in fila, due a due, ed era proibito tutto: parlare, correre, ridere, curiosare, fermarsi e ovviamente appartarsi. “Si andava là dove destinava il prefetto. Se lui diceva di fermarsi, bisognava fermarsi anche se si aveva voglia di camminare”. Niente coppie fisse: gli abbinamenti erano decisi dal seminario e il compagno era cambiato ogni tre mesi, per il timore ossessivo di “amicizie particolari”. E che dire dei silenzi imposti per esercitazione ascetica. Non era facile, per degli scriccioli di undici-dodici anni “ancora innamorati della vita”, stare un giorno e talvolta una settimana senza proferir parola. «Loro ci dicevano che si trattava di un atto di grande virtù; a noi sembrava un atto di una crudeltà disumana. E difatti, quando suonava la campanella per avvertirci che iniziava il ritiro, si sentiva in tutto il seminario un grido collettivo e disumano come di bestie in agonia. Dopodiché calava su tutto un silenzio innaturale». Un mondo che non c’è quasi più, è vero. Ma le gerarchie da esso formate ci sono eccome, incalza Bellina. Esse spiegano una struttura tesa “all’autoconservazione e quindi all’immobilismo”, strada che rischiava di portare la Chiesa nel modo più rapido alla “sparizione autoconsunzione”. Un mondo finito più per esaurimento demografico che per capacità di rinnovamento. Per formare un esercito di obbedienti, scrive il prete ribelle, venne estirpata da essi l’umanità esattamente “come il dentista, per prima cosa, uccide il nervo”. E non è finita, perché, dopo la “castrazione”, arriva la “clonazione”. Con preti, frati, monache, vescovi, “cardinali e papi che ripetono sempre la stessa solfa centinaia di migliaia di volte”. Che ne sappiamo dei preti? Quanti di essi scompaiono senza lasciar traccia dopo una vita oscura? Chi racconterà mai la loro ultima resistenza nelle periferie dimenticate? «Sparisce il politico, sparisce l’intellettuale, e resta solo il prete a pagare per tutti, a fare da papa e re». Per questo, scrive Bellina, l’epopea di questi eroi sconosciuti va narrata fin dall’inizio, senza veli, per far capire che essi sono stati in fondo “migliori di quello che avrebbero dovuto essere stanti le premesse”. Il libro ti porta in un mondo tenebroso fatto di preghiere terribili; orazioni che spaventano, mostrano un Dio che punisce, spiegano in morbosi dettagli la decomposizione del corpo umano, creano il terrore della morte. «Ho visto andarsene tanta gente, preti inclusi - si confida Bellina, che ha fatto il parroco per quarant’anni, - e posso dire che tanti preti non ce l’hanno fatta a morire con dignità, perché tornava fuori in loro quella paura di Dio che gli era stata instillata come veleno negli anni più sereni della vita». Come “Padre padrone” di Gavino Ledda, anche “La Fabbrica dei preti” è un’opera spietata, destinata a sollevare polemiche, ma anche un lavoro di robusto vigore morale, figlio ruspante della provincia italiana dimenticata. Talvolta “eccessivo”: ma certamente su cui riflettere. Una parte delle attuali gerarchie vaticane sono figlie di questo mondo. E certe chiusure della Chiesa sotto il pontificato di Ratzinger diventano più comprensibili alla luce di questo libro.
fonte:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/ar...NZ_25_APRE.html
il Piccolo — 08 marzo 2009 pagina 25 sezione: CULTURA - SPETTACOLO
di PAOLO RUMIZ Il parroco di Paluzza che alza la voce contro le interferenze del Vaticano sul caso di Eluana Englaro. Preti carnici arroccati nelle loro valli, con al petto il simbolo alessandrino della chiesa aquileiese e non di quella romana. Tonache irriducibili, in trincea per la conservazione della lingua e della civiltà friulana. Greggi di fedeli montanari in bilico tra cattolicesimo e protestantesimo. Un’ostilità della periferia contro il centralismo di un’Ecclesia che punta alle “piazze piene” e non tiene conto delle “chiese vuote”. Una terra anarchica e socialista, Carnia “cence Dio e cence Madone”. Per capire questo piccolo mondo ai limiti dello scisma, mi hanno detto a Udine, devi leggerti le quattrocento pagine in friulano di un libro semiclandestino e mai tradotto: “La fabriche dai predis” . La fabbrica dei preti, cioè il seminario, descritto come struttura immutabile, iperconservatrice e sessuofobia. Un micidiale pamphlet, gonfio di una lingua schietta fino alla truculenza, scritto non da un politico anticlericale, ma un indomabile prete carnico, il fu Antonio Bellina . Un tipo combattivo e scomodo, attaccato al popolo di Dio, insofferente delle gerarchie e di conseguenza relegato in una parrocchia di periferia, Basagliapenta. Narrano che quando Wojtyla annunciò la sua visita in Friuli, solo una persona osò protestare per l’enormità della spesa. Era sempre lui, “pre Toni Beline” , figlio della Carnia amara. La Curia tentò di tacitarlo, ma quello non era tipo da star zitto e aveva tutti i numeri per parlare: in vent’anni di lavoro “matto e disperatissimo” aveva tradotto la Bibbia in friulano e la sua fatica aveva potentemente contribuito al riconoscimento ufficiale della lingua, gettando le basi delle leggi speciali a tutela della sua gente. E così, dieci anni fa, alla fine di una vita di obbedienza, questo piccolo Lutero del Nordest ha deciso di vuotare il sacco e raccontare l’ultimo segreto del suo mondo. Il più intimo, quello del collegio che per quattro secoli – dal concilio di Trento in poi - ha formato generazioni di preti: il seminario. Quattrocento pagine scritte tutte d’un fiato, come una liberazione. Figurarsi il putiferio in curia. Il testo fu immediatamente tolto di circolazione, bollato dai vescovi e dal Vaticano, tenuto nascosto per dieci anni con divieto assoluto di traduzione in italiano e altre lingue. Poiché non sembrava abbastanza, al prete è stata chiesta una lettera di scuse, quasi un’abiura. Ma il Friuli è terra ostinata, e ostinati sono i suoi preti. Così Don Bellina - nato nel 1941 e nel frattempo passato a miglior vita nell’anno del Signore 2007 - ha deciso di essere ancora scomodo, e di consumare da morto la rappresaglia per la censura subita. Non si sa come, ma da qualche tempo il libro galeotto è scappato di mano e ha preso a circolare con evidente imbarazzo della Chiesa di Roma. L’abbiamo letto, ed è stata una rivelazione. «Leviamoci il cappello e fermiamoci un attimo a pregare per tanta manovalanza sacrificata e assassinata in questi anni e secoli», esordisce Bellina per mettere subito le cose in chiaro. Il termine “assassinata” è una figura retorica, ma siete avvertiti. “Manovalanza” è il modo con cui l’Autore chiama se stesso e i suoi compagni d’avventura. Ma il Nostro chiede di pregare anche per le “maestranze”, i suoi insegnanti, anch’esse “vittime di un sistema che accoppava l’uomo illudendosi di onorare Dio, il quale pure l’aveva voluto a sua immagine come coronamento del Creato”. Il seguito è la descrizione spietata di un pianeta della noia che clona individui tutti eguali. Una “prigione volontaria” dove si cancella l’uomo per fare un automa. Un posto blindato dove – racconta il prete friulano - è vietato far domande, si vive nel terrore della punizione e si obbedisce sempre e comunque. La castità era l’ossessione dominante: a date fisse il bromuro “arrivava a camionate in tre luoghi classici: il seminario, le caserme e la prigione”. In una tazza di latte in polvere con una roba nera chiamata caffè, “mani sante e discrete” mettevano ogni mattina una dose del sedativo, e i ragazzini in tumultuosa adolescenza non riuscivano a capire come mai, tornati nelle loro povere case, bastasse loro una minestra e una crosta di formaggio per sentire “movimenti di truppe”, mentre invece, dopo gli abbondanti pranzi seminariali, tutto taceva sotto la cintura. Le mani in tasca? Guai. Dovevano star fuori, anche d’inverno, per evitare contatti con parti intime. Per questo - spiega l’Autore - i vecchi preti si fregano spesso le mani: non avendo potuto scaldarsele per anni in seminario, hanno ereditato un freddo endemico e l’istinto di scaldarsi altrimenti. La doccia? Andava fatta alla velocità della luce, sempre per scongiurare soste sulle parti di cui sopra, e per questo dopo cinque minuti qualcuno sparava nei tubi acqua gelata. Così, se qualcuno faceva il furbo, “rischiava non solo la dannazione eterna ma anche la polmonite”. Il corpo? Un male necessario, un nemico contro cui combattere. Il sesto comandamento giganteggiava sugli altri nove e le tentazioni corporali erano tutte codificate. Persino la donna che allatta a seno nudo. Racconta Gianpaolo Gri, antropologo dell’università di Udine: “Di famiglia indigente, il piccolo Bellina non era tenuto in nessuna considerazione ed è rimasto emarginato e scomodo anche da prete”. I poveri dovevano tacere; lamentarsi era segno di ingratitudine; ogni momento veniva detto loro che la retta non bastava a coprire le spese. Ma l’Autore aveva un altro handicap: era intelligente, e gli intelligenti erano, scrive egli stesso, “i primi a cadere sotto il plotone di esecuzione”. In seminario “avevano paura di essere sbattuti fuori non i più stupidi e addormentati ma i più intelligenti e svegli”. Dalle 400 pagine emerge un bestiario di personaggi indimenticabili. Come il parroco di Ampezzo, detto Himmler per la sua durezza; Aldo Moretti, che diventa pilastro dell’organizzazione clandestina “Gladio”; o Riccardo della Rovere, che insegna fisica in una catacomba e fuma sputando fumo dalle narici come un dragone. “Nella tradizione carceraria si usa dare ai prigionieri un’ora d’aria... In quella prigione mistica e volontaria che è il seminario, ci era consentito uscire in quel mondo dove (agli occhi dei nostri insegnanti, n.d.r.) regnavano solo brame inconfessabili e porcherie inimmaginabili”. L’intervallo era di un’oretta, i ragazzi potevano camminare solo in fila, due a due, ed era proibito tutto: parlare, correre, ridere, curiosare, fermarsi e ovviamente appartarsi. “Si andava là dove destinava il prefetto. Se lui diceva di fermarsi, bisognava fermarsi anche se si aveva voglia di camminare”. Niente coppie fisse: gli abbinamenti erano decisi dal seminario e il compagno era cambiato ogni tre mesi, per il timore ossessivo di “amicizie particolari”. E che dire dei silenzi imposti per esercitazione ascetica. Non era facile, per degli scriccioli di undici-dodici anni “ancora innamorati della vita”, stare un giorno e talvolta una settimana senza proferir parola. «Loro ci dicevano che si trattava di un atto di grande virtù; a noi sembrava un atto di una crudeltà disumana. E difatti, quando suonava la campanella per avvertirci che iniziava il ritiro, si sentiva in tutto il seminario un grido collettivo e disumano come di bestie in agonia. Dopodiché calava su tutto un silenzio innaturale». Un mondo che non c’è quasi più, è vero. Ma le gerarchie da esso formate ci sono eccome, incalza Bellina. Esse spiegano una struttura tesa “all’autoconservazione e quindi all’immobilismo”, strada che rischiava di portare la Chiesa nel modo più rapido alla “sparizione autoconsunzione”. Un mondo finito più per esaurimento demografico che per capacità di rinnovamento. Per formare un esercito di obbedienti, scrive il prete ribelle, venne estirpata da essi l’umanità esattamente “come il dentista, per prima cosa, uccide il nervo”. E non è finita, perché, dopo la “castrazione”, arriva la “clonazione”. Con preti, frati, monache, vescovi, “cardinali e papi che ripetono sempre la stessa solfa centinaia di migliaia di volte”. Che ne sappiamo dei preti? Quanti di essi scompaiono senza lasciar traccia dopo una vita oscura? Chi racconterà mai la loro ultima resistenza nelle periferie dimenticate? «Sparisce il politico, sparisce l’intellettuale, e resta solo il prete a pagare per tutti, a fare da papa e re». Per questo, scrive Bellina, l’epopea di questi eroi sconosciuti va narrata fin dall’inizio, senza veli, per far capire che essi sono stati in fondo “migliori di quello che avrebbero dovuto essere stanti le premesse”. Il libro ti porta in un mondo tenebroso fatto di preghiere terribili; orazioni che spaventano, mostrano un Dio che punisce, spiegano in morbosi dettagli la decomposizione del corpo umano, creano il terrore della morte. «Ho visto andarsene tanta gente, preti inclusi - si confida Bellina, che ha fatto il parroco per quarant’anni, - e posso dire che tanti preti non ce l’hanno fatta a morire con dignità, perché tornava fuori in loro quella paura di Dio che gli era stata instillata come veleno negli anni più sereni della vita». Come “Padre padrone” di Gavino Ledda, anche “La Fabbrica dei preti” è un’opera spietata, destinata a sollevare polemiche, ma anche un lavoro di robusto vigore morale, figlio ruspante della provincia italiana dimenticata. Talvolta “eccessivo”: ma certamente su cui riflettere. Una parte delle attuali gerarchie vaticane sono figlie di questo mondo. E certe chiusure della Chiesa sotto il pontificato di Ratzinger diventano più comprensibili alla luce di questo libro.
fonte:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/ar...NZ_25_APRE.html
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amis di pre toni:
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secondo anniversario della morte di pre toni
Secont aniversari di pre Toni Beline
Venerdì 17 Aprile 2009 10:57
In ocasion dal secont aniversari de muart di pre Toni Beline, e vignarà fate une messe in so ricuart a Visepente di Basilian joibe ai 23 di Avrîl a lis 20.00. In chê ocasion e sarà inmaneade une iniziative che e à voie di meti adun lis testemoneancis di cui che al à cognossût e vivût pre Toni: testemoneancis fatis di fotografiis, scrits, intervistis e altri ancjemò, cu la voie di podê organizâlis e publicâlis par ducj chei che a vessin voie e plasê di puartâ indenant lis ideis di chest om, che cul so lavôr e testemoneance al à dât un jutori no di pôc tal cjapâ cussience de particolaritât di jessi furlans, no dome dal pont di viste gjeografic, ma ancje storic e culturâl, par tocjâ il politic e l'etiche, soredut intune suaze come chê di vuê li che l'omologazion globâl e culturâl e pâr nivelâ dut viers il bas. Par contats e informazions: 0432 764381 o ancje 0432 848882, vie pueste eletroniche: mauro.della.schiava@alice.it
fonte: http://www.friulweb.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=340:secont-aniversari-di-pre-toni-beline&catid=69:marilenghe&Itemid=84
Venerdì 17 Aprile 2009 10:57
In ocasion dal secont aniversari de muart di pre Toni Beline, e vignarà fate une messe in so ricuart a Visepente di Basilian joibe ai 23 di Avrîl a lis 20.00. In chê ocasion e sarà inmaneade une iniziative che e à voie di meti adun lis testemoneancis di cui che al à cognossût e vivût pre Toni: testemoneancis fatis di fotografiis, scrits, intervistis e altri ancjemò, cu la voie di podê organizâlis e publicâlis par ducj chei che a vessin voie e plasê di puartâ indenant lis ideis di chest om, che cul so lavôr e testemoneance al à dât un jutori no di pôc tal cjapâ cussience de particolaritât di jessi furlans, no dome dal pont di viste gjeografic, ma ancje storic e culturâl, par tocjâ il politic e l'etiche, soredut intune suaze come chê di vuê li che l'omologazion globâl e culturâl e pâr nivelâ dut viers il bas. Par contats e informazions: 0432 764381 o ancje 0432 848882, vie pueste eletroniche: mauro.della.schiava@alice.it
fonte: http://www.friulweb.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=340:secont-aniversari-di-pre-toni-beline&catid=69:marilenghe&Itemid=84
una poesia di pre Toni
GLESEUTE BANDONADE
di Pre Toni Beline
Gleseute bandonade
Lassù,
tal boscs,
ad ôr di une stradele
che nol passe plui nissun.
D’invier t’invuluce la nêf
e ti dà une man di blanc
che tu semeis une nuvice.
Po la nêf a si disfâs
e il prin soreli de vierte
al met a rût duc’ i tiei agns
e lis tôs ramis rotis
e lis tôs puartis caruladis
e lis tôs clavàriis inrusinidis,
parceche nol ven plui nissun
a preâ
a domandâ
a vaî
a polsâ
a pensâ
*************
Ti àn fate tun âtri mont ;
tu sês di un âtri mont.
E tu stonis tal nestri.
Cui si fermial a cjalâ
chei tiei sanz
cussì fers
tun mont ch’al vultuline come un mat?
Chês musis ch’a cjalin dal altâr
il nestri lanbicâsi,
e ch’a no vain cuanche nô o vaîn,
e ca no ridin cuanche nô o ridîn;
ch’al semee ch’a vetin relativisât
il nestri ridi e il nestri vaî,
il nestri nassi e il nestri murî?
E an viodût a passâ sot dai lôr vôi,
chei granc’ voglons ch’a cjalin dut
cence viodi nuje,
e vueris e pestilensis
e disgraciis e furtunis,
e miserie e massepassudèrie,
e int di ogni etât
e dolôrs di ogni sorte:
Ju àn preâz suspirant,
ur àn berlât porconant
te streme dal lôr cûr.
E lôr sinpri alì,
chei sanz fûr de storie,
chei sanz cence storie,
ch’a no bassìlin,
ch’a no s’incòrin,
ch’a no cjapin bot,
fûr come ch’a son
e dal tinp
e de passions dal onp.
****
Ma ce fâ di une sdrume di int
che ti sta li a cjalâ
cence dâti une man,
cence dâti rispueste,
cence disberdeâ
chei gredeis
ch’a invelegnin la tô vite
e ch’a ti lanbìchin
de scune ‘e tonbe?
Sanz ch’o veis mangjât dome bêz,
bêz di biade int;
sanz ch’o veis cunsumade dome cere,
cere di biade int;
sanz ch’o cjalais la nestre storie
cence bati cei?
*****
E tu cjanpane,
che tu sunis cul stes intono
e la vite e la muart;
che tu saludis
cun chel sunôr stes
il dì ch’al nas
e il dì ch’al mûr?
****
E vuâtri predis,
ch’o vignîs cassù
sinpri plui da râr
e sinpri plui in presse,
a contâ chê e sinpri chê,
che si sa che no à comedât nuje
e che la int e jè disperade come sinpri
e plui di sinpri,
e vuâtris o lais indenant sinpri cun chê letanìe
fûr di ogni logjche,
fûr di ogni speriense?
Ce staiso a fâ?
****
Gleseute bandonade,
che dibot nessun ti cjale,
che no tu zovis a nuje…..
Ma cui à dit che tu às di zovâ?
Sanz che no rispuindeis……
Ma cui à dit ch’o veis di rispuindi?
E rispuindi ce?
Cui à dit che chei voglons,
fodrâz di telis di rai,
no cjalin cul voli de eternitât,
là che la nestre tagjedie
e devente comedie,
e la nestre grande sapiense
e devente stupiditât,
e il nestri strussiâsi
un butâ vie il tinp
e un sassinâ la vite?
O sin tant usâz a doprâ dut,
a cirî une rispueste in dut,
e a lâ indenant cu la nestre logjche,
che glesiis e sanz e cjanpanis
a jessin de nestre logjche
e a nus dan fastidi
e ju calcolìn une robe in plui.
Parceche no son sul nestri stanp
e nô no volìn deventât sul lôr
e scomenzâ a cjalâ li robis
cul voli de eternitât
e no sinpri cun chel dal profit.
****
Sanz e santis pituradis su pai mûrs
Immufîz
e pojadis tes nicjs dai nestris altârs
in crassigne,
preait par nô,
ch’a no savìn preâ ;
taseit par nô,
ch’a no savìn tasê;
dait un sens di eternitât
al nestri strussiâsi di un lanp;
meteinus in crisi,
nô ch’o volìn rispuindi a dut.
Se ancje nô no us cjalìn,
lassù lontan dal sunsûr incasinât dal mont,
vuâtris cjalait jù instes
cun chei granc’ voglons.
*****
E cuanche, atôr de gleseute bandonade,
ti rive une cubiute di zovins
a cisicâsi,
a palpučâsi,
a suspirâ,
e a fâ i granc’ progjez de vite,
cjalàiju di bon voli :
a son i unics
in grât di fâ progjez maz
tun mont condanât a jessi sinpri serio
e calcoladôr;
a son i unics ch’a san fâ progjez maz
cjalant il soreli ch’al plôf jù framieč dai ramaz.
Cheâtris a son duc’ inpegnâz
a fâ calcui
sul vuè e sul doman
e sul passandoman
e di chi a cent’agns.
No us fàsino pene
cun chei vôi strcs,
cun chei tacuins sglonfs
e cun chei cûrs glačâz?
****
Joi, ce ben che tu stâs lassù,
gleseute bandonade dai onps,
cui uceluz ch’a ti cjantin
dut il dì la lôr voe di vivi
e soresere si poin stracs
tôr des tôs gornis
e sui tiei barconuz cui gàtars.
E il soreli ti clipis,
e il folc ti inlumine ancje di gnot,
e tal pradut toratôr
al è dut un siminâ di lisertis
e dentri, su pai mûrs e tai trâfs,
i rais ti regalin
in pâs
i lôr ricams.
La ploe, ogni tant, ti lave la muse
e l’ajar ti suje.
E cuanche a svinte la buere
ancje la cjanpanute e cjape gust
e si ničule
cun tun sgrìsul
che di cajù al parares un lament.
da: “fantasticant……” ribis editôr
fonte: http://www.viverearagogna.it/pagine/articoli/carnia26.html
di Pre Toni Beline
Gleseute bandonade
Lassù,
tal boscs,
ad ôr di une stradele
che nol passe plui nissun.
D’invier t’invuluce la nêf
e ti dà une man di blanc
che tu semeis une nuvice.
Po la nêf a si disfâs
e il prin soreli de vierte
al met a rût duc’ i tiei agns
e lis tôs ramis rotis
e lis tôs puartis caruladis
e lis tôs clavàriis inrusinidis,
parceche nol ven plui nissun
a preâ
a domandâ
a vaî
a polsâ
a pensâ
*************
Ti àn fate tun âtri mont ;
tu sês di un âtri mont.
E tu stonis tal nestri.
Cui si fermial a cjalâ
chei tiei sanz
cussì fers
tun mont ch’al vultuline come un mat?
Chês musis ch’a cjalin dal altâr
il nestri lanbicâsi,
e ch’a no vain cuanche nô o vaîn,
e ca no ridin cuanche nô o ridîn;
ch’al semee ch’a vetin relativisât
il nestri ridi e il nestri vaî,
il nestri nassi e il nestri murî?
E an viodût a passâ sot dai lôr vôi,
chei granc’ voglons ch’a cjalin dut
cence viodi nuje,
e vueris e pestilensis
e disgraciis e furtunis,
e miserie e massepassudèrie,
e int di ogni etât
e dolôrs di ogni sorte:
Ju àn preâz suspirant,
ur àn berlât porconant
te streme dal lôr cûr.
E lôr sinpri alì,
chei sanz fûr de storie,
chei sanz cence storie,
ch’a no bassìlin,
ch’a no s’incòrin,
ch’a no cjapin bot,
fûr come ch’a son
e dal tinp
e de passions dal onp.
****
Ma ce fâ di une sdrume di int
che ti sta li a cjalâ
cence dâti une man,
cence dâti rispueste,
cence disberdeâ
chei gredeis
ch’a invelegnin la tô vite
e ch’a ti lanbìchin
de scune ‘e tonbe?
Sanz ch’o veis mangjât dome bêz,
bêz di biade int;
sanz ch’o veis cunsumade dome cere,
cere di biade int;
sanz ch’o cjalais la nestre storie
cence bati cei?
*****
E tu cjanpane,
che tu sunis cul stes intono
e la vite e la muart;
che tu saludis
cun chel sunôr stes
il dì ch’al nas
e il dì ch’al mûr?
****
E vuâtri predis,
ch’o vignîs cassù
sinpri plui da râr
e sinpri plui in presse,
a contâ chê e sinpri chê,
che si sa che no à comedât nuje
e che la int e jè disperade come sinpri
e plui di sinpri,
e vuâtris o lais indenant sinpri cun chê letanìe
fûr di ogni logjche,
fûr di ogni speriense?
Ce staiso a fâ?
****
Gleseute bandonade,
che dibot nessun ti cjale,
che no tu zovis a nuje…..
Ma cui à dit che tu às di zovâ?
Sanz che no rispuindeis……
Ma cui à dit ch’o veis di rispuindi?
E rispuindi ce?
Cui à dit che chei voglons,
fodrâz di telis di rai,
no cjalin cul voli de eternitât,
là che la nestre tagjedie
e devente comedie,
e la nestre grande sapiense
e devente stupiditât,
e il nestri strussiâsi
un butâ vie il tinp
e un sassinâ la vite?
O sin tant usâz a doprâ dut,
a cirî une rispueste in dut,
e a lâ indenant cu la nestre logjche,
che glesiis e sanz e cjanpanis
a jessin de nestre logjche
e a nus dan fastidi
e ju calcolìn une robe in plui.
Parceche no son sul nestri stanp
e nô no volìn deventât sul lôr
e scomenzâ a cjalâ li robis
cul voli de eternitât
e no sinpri cun chel dal profit.
****
Sanz e santis pituradis su pai mûrs
Immufîz
e pojadis tes nicjs dai nestris altârs
in crassigne,
preait par nô,
ch’a no savìn preâ ;
taseit par nô,
ch’a no savìn tasê;
dait un sens di eternitât
al nestri strussiâsi di un lanp;
meteinus in crisi,
nô ch’o volìn rispuindi a dut.
Se ancje nô no us cjalìn,
lassù lontan dal sunsûr incasinât dal mont,
vuâtris cjalait jù instes
cun chei granc’ voglons.
*****
E cuanche, atôr de gleseute bandonade,
ti rive une cubiute di zovins
a cisicâsi,
a palpučâsi,
a suspirâ,
e a fâ i granc’ progjez de vite,
cjalàiju di bon voli :
a son i unics
in grât di fâ progjez maz
tun mont condanât a jessi sinpri serio
e calcoladôr;
a son i unics ch’a san fâ progjez maz
cjalant il soreli ch’al plôf jù framieč dai ramaz.
Cheâtris a son duc’ inpegnâz
a fâ calcui
sul vuè e sul doman
e sul passandoman
e di chi a cent’agns.
No us fàsino pene
cun chei vôi strcs,
cun chei tacuins sglonfs
e cun chei cûrs glačâz?
****
Joi, ce ben che tu stâs lassù,
gleseute bandonade dai onps,
cui uceluz ch’a ti cjantin
dut il dì la lôr voe di vivi
e soresere si poin stracs
tôr des tôs gornis
e sui tiei barconuz cui gàtars.
E il soreli ti clipis,
e il folc ti inlumine ancje di gnot,
e tal pradut toratôr
al è dut un siminâ di lisertis
e dentri, su pai mûrs e tai trâfs,
i rais ti regalin
in pâs
i lôr ricams.
La ploe, ogni tant, ti lave la muse
e l’ajar ti suje.
E cuanche a svinte la buere
ancje la cjanpanute e cjape gust
e si ničule
cun tun sgrìsul
che di cajù al parares un lament.
da: “fantasticant……” ribis editôr
fonte: http://www.viverearagogna.it/pagine/articoli/carnia26.html
video di pre toni
su Cjargne Online:
http://www.videotelecarnia.it/cirint%20lis%20olmis%20di%20Diu.htm
http://www.videotelecarnia.it/cirint%20lis%20olmis%20di%20Diu.htm
da lenghe.net
PRE TONI BELINE INTUN LUNARI PAL 2010
INTE SUAZE DI UN PROGJET DI BENEFICENCE
Sabide ai 7 di Novembar te glesie di Visepente, aes cuatri sot sere, al vignarà presentât il lunari 2010 dedicât a Pre Toni Beline. Realizât pal tierç an par cure di Alida Pevere e Cristian Liberale, al cjape dentri cetancj strucs dai plui biei e profonts pinsîrs di chest predi, fotografiis sôs e di famee, une preiere e poesiis dal stes Beline e dai poetis Gloria Angeli, Giacomina De Michieli, Ciro Di Gleria, Lucina Dorigo, Giuliana Pellegrini, Alida Pevere, Celestino Vezzi, Domenico Zannier, Sergio Zannier. Il ritrat di cuviertine al è stât realizât de artiste Marina Coccolo.
Ae presentazion a intervignaran a ricuardâ il tradutôr de Bibie in marilenghe: Pre Romano Michelotti de Associazion “Glesie Furlane”, Pio Bellina, fradi di pre Toni, Guido Sut e Celestino Vezzi che pe ocasion al puartarà ancje une video interviste fate a pre Toni in colaborazion cun Video Tele Carnia, la emitent che lu à simpri seguît cun interès e afiet.
La finalitât di chest lunari, oltri al ricuart, e je chê di continuâ une opare di beneficence tacade propit di lui: fâ poçs di aghe e scuelis in Cueste d’Avori e Benin. E al è propit cu la proiezion di un filmât di Danilo Pigat, ae fin de serade, che al vignarà fat il rindicont des oparis realizadis in Afriche cul rigjâf dal calendari di chest an.
Chest lunari al è stât patrocinât di diviersis associazions e sostignût cun promesse di compre de bande di sengulis personis che lu àn prenotât in anticipi permetint cussì la sô realizazion.
Daspò la presentazion si podarà cjatâlu te edicule di Visepente, in chês dai paîs dongje e di Colorêt di Montalban.
fonte: http://www.lenghe.net/read_art.php?articles_id=1755&PHPSESSID=0721331d7c8a2ff27c69941154d5060b
INTE SUAZE DI UN PROGJET DI BENEFICENCE
Sabide ai 7 di Novembar te glesie di Visepente, aes cuatri sot sere, al vignarà presentât il lunari 2010 dedicât a Pre Toni Beline. Realizât pal tierç an par cure di Alida Pevere e Cristian Liberale, al cjape dentri cetancj strucs dai plui biei e profonts pinsîrs di chest predi, fotografiis sôs e di famee, une preiere e poesiis dal stes Beline e dai poetis Gloria Angeli, Giacomina De Michieli, Ciro Di Gleria, Lucina Dorigo, Giuliana Pellegrini, Alida Pevere, Celestino Vezzi, Domenico Zannier, Sergio Zannier. Il ritrat di cuviertine al è stât realizât de artiste Marina Coccolo.
Ae presentazion a intervignaran a ricuardâ il tradutôr de Bibie in marilenghe: Pre Romano Michelotti de Associazion “Glesie Furlane”, Pio Bellina, fradi di pre Toni, Guido Sut e Celestino Vezzi che pe ocasion al puartarà ancje une video interviste fate a pre Toni in colaborazion cun Video Tele Carnia, la emitent che lu à simpri seguît cun interès e afiet.
La finalitât di chest lunari, oltri al ricuart, e je chê di continuâ une opare di beneficence tacade propit di lui: fâ poçs di aghe e scuelis in Cueste d’Avori e Benin. E al è propit cu la proiezion di un filmât di Danilo Pigat, ae fin de serade, che al vignarà fat il rindicont des oparis realizadis in Afriche cul rigjâf dal calendari di chest an.
Chest lunari al è stât patrocinât di diviersis associazions e sostignût cun promesse di compre de bande di sengulis personis che lu àn prenotât in anticipi permetint cussì la sô realizazion.
Daspò la presentazion si podarà cjatâlu te edicule di Visepente, in chês dai paîs dongje e di Colorêt di Montalban.
fonte: http://www.lenghe.net/read_art.php?articles_id=1755&PHPSESSID=0721331d7c8a2ff27c69941154d5060b
gli scritti di Pre Toni Beline in una raccolta
Creare una raccolta completa di tutti gli scritti di Pre Toni Beline. È il progetto di Glesie furlane che la Provincia di Udine sosterrà con il suo contributo. Oggi a palazzo Belgrado la sottoscrizione del protocollo d’intesa che impegna l’ente di area vasta ad assegnare all’associazione Glesie furlane un contributo quinquennale - fino al 2013 - per la realizzazione del progetto “Pre Antoni Beline: un profete pal Friûl di doman”. Il progetto è finalizzato alla raccolta e alla pubblicazione del patrimonio letterario di don Antonio Bellina in un’edizione completa e organica. Complessivamente la Provincia assegnerà 80 mila euro che saranno impiegati per la pubblicazione di 9 opere letterarie di Pre Antoni Beline: “Sul at di voltâ pagjine”, “Par amôr o par fuarce?”, “Eutanasie di un Patriarcjât”, “Amôr di patrie”, “Fortunât il popul che il Signôr al è il so Diu”, “Rogazions”, “Cirint li solmis di Diu – V”, “Trilogie” e “De Senectute”. Proprio quest’ultimo scritto, inedito, sarà presentato domenica prossima a Venzone.
A sottoscrivere il documento, dunque, il presidente Pietro Fontanini e il presidente di Glesie furlane Giovanni Pietro Biasatti.«Ritengo che si stia parlando di uno dei progetti più importanti per la letteratura friulana – ha confermato Fontanini –. Tutti noi abbiamo un debito verso quest’uomo che ha speso tutta la sua vita per il Friuli, la sua gente e la sua cultura». Il progetto di Glesie furlane prevede l’edizione completa in marilenghe. «Qui non si tratta di essere contro l’italiano – ha commentato Fontanini – ma di rispettare la volontà di divulgazione della marilenghe di pre Toni».
Pier Antonio Bellina (detto Pre Toni Beline) Ordinato sacerdote nel 1965, Esercitò il ministero a Codroipo, a Valle e Rivalpo e a Trelli, infine a Basagliapenta di Basiliano. Morì il 23 aprile del 2007. Fu uno dei protagonisti della vita culturale friulana a cavallo tra il XX ed i XXI secolo. Si distinse per la sua lucida e spesso polemica analisi di temi relativi alla friulanità ed alla pastorale religiosa.
fonte: http://aldorossi.splinder.com/post/20387635/Udine%3A+gli+scritti+di+Pre+Toni
A sottoscrivere il documento, dunque, il presidente Pietro Fontanini e il presidente di Glesie furlane Giovanni Pietro Biasatti.«Ritengo che si stia parlando di uno dei progetti più importanti per la letteratura friulana – ha confermato Fontanini –. Tutti noi abbiamo un debito verso quest’uomo che ha speso tutta la sua vita per il Friuli, la sua gente e la sua cultura». Il progetto di Glesie furlane prevede l’edizione completa in marilenghe. «Qui non si tratta di essere contro l’italiano – ha commentato Fontanini – ma di rispettare la volontà di divulgazione della marilenghe di pre Toni».
Pier Antonio Bellina (detto Pre Toni Beline) Ordinato sacerdote nel 1965, Esercitò il ministero a Codroipo, a Valle e Rivalpo e a Trelli, infine a Basagliapenta di Basiliano. Morì il 23 aprile del 2007. Fu uno dei protagonisti della vita culturale friulana a cavallo tra il XX ed i XXI secolo. Si distinse per la sua lucida e spesso polemica analisi di temi relativi alla friulanità ed alla pastorale religiosa.
fonte: http://aldorossi.splinder.com/post/20387635/Udine%3A+gli+scritti+di+Pre+Toni
Sior Santul
recensione da Cjargne Online:
http://www.cjargne.it/libri/siorsantul.htm
Sior Santul (letteralmente: signor Padrino) è l’appellativo con cui, solamente in Carnia, viene ancora oggi indicato e chiamato il parroco del paese. Questo termine racchiude in sé un profondo significato poiché il parroco, battezzando tutti i bambini del paese, diviene automaticamente SANTUL (cioè Padrino) di tutti e, per diversificarlo dal padrino personale di ciascuno, viene appunto chiamato SIOR SANTUL.
Su inconsapevole e benevola istigazione dell’amico Marino, ho riletto (per la terza volta, come accade solitamente per i libri che emozionano) questo primo lavoro di pre Antoni Bellina, pubblicato 30 anni fa, nel 1976, alcuni mesi PRIMA del terremoto del 6 maggio, quando l’autore non aveva che 35 anni.
Pur se ancora acerbo nello stile, che avrà completa maturazione negli anni seguenti, pur se appesantito da inutili ripetizioni, questa opera (che a mio avviso resta la più fresca e genuina di questo autore) racchiude già in nuce tutta la filosofia ed il pensiero di pre Toni Beline, che saranno via via riproposti e approfonditi successivamente nelle oltre 100 altre pubblicazioni, che la penna fantasiosa e assai prolifica di pre Toni ha finora partorito e continua a partorire incessantemente. Vi è perfino (pag. 49 e pag. 65) il preludio al suo lavoro più conosciuto e contestato, pubblicato poi nel 1999, “La fabriche dai predis” (già presente nella nostra biblioteca), che è una singolare autobiografia nella quale pre Bellina, prendendo lo spunto da fatti personali, fa l’autopsia ad un cadavere (il seminario) riesumato dopo 30 anni dalla sua morte (avvenuta per consunzione propria e conseguente implosione). Caro pre Toni, quelle cose sul Seminario, dovevi scriverle prima, quando il malato era ancora vivente e forse (?) poteva essere ancora salvato; un’ autopsia eseguita a 30 anni di distanza dal decesso, non è mai troppo attendibile e dà spesso risultati fuorvianti o contradditori…
Questo libro invece, scritto in lingua friulana, è la biografia di don Luigi Zuliani (1876-1953), un prete carnico, che restò SIOR SANTUL nel paese di Cercivento per ben 53 anni, dal 1900 al 1953! Una vita spesa interamente a favore di un paese, fiaccato da due guerre, dal fascismo, dalla miseria, dall’ emigrazione… La penna di pre Toni sa cogliere (pur non avendolo egli conosciuto personalmente) le varie sfaccettature di SIOR SANTUL, i suoi aspetti esaltanti e i suoi limiti, i suoi tics e i suoi sbalzi d’umore, la sua totale generosità e la sua cronica povertà… Pre Toni sa scrivere in un friulano squisito, che piace fin da subito, facile, piano ma ricco di significati e immediate emozioni: si gusta davvero lo scrivere di pre Toni, che sa mirabilmente estrarre dalla nostra lingua madre i termini più adeguati (e a volte ormai desueti) per esprimere sentimenti, giudizi, perplessità, stupore, sdegno, allegria…
La grande figura di SIOR SANTUL emerge senza aureola e senza volute d’incenso ma non per questo è meno affascinante e meno coinvolgente: proprio perché è umanamente vera, questa figura di prete appare oggi molto più concreta e solida di tante altre agiografie di preti (e vescovi) che furoreggiano in questi tempi di fiction. Il SIOR SANTUL di pre Toni è un prete vero, reale, che magari va a rubare le mele ai ricchi per darle ai poveri, che magari non paga i debiti fatti per acquistare regali ai bambini, che magari non paga la bolletta della luce adducendo che l’acqua che muove le turbine della SECAB è mandata da Dio anche per lui, che magari ama il vino e non disdegna la compagnia allegra, che magari teme la Madonna Missionaria con la sua corte di mangjons… eppure SIOR SANTUL ci resta nel cuore per sempre con la sua disincantata sapienza, con la sua bonaria semplicità, con la sua fede di bambino, con quel suo terrore dei vescovi-funzionari, freddi come il naso del gatto e lontani dalla gente e dai preti…
Oltre alla splendida biografia di questo SIOR SANTUL, pre Toni Bellina ci offre nelle prime 50 pagine del libro un interessantissimo antipasto, che riguarda l’AMBIENTE in cui si muove il romanzo-biografia. Tra questi capitoli iniziali, meritano senz’altro un interesse i seguenti:
- LA CHIESA E LA SCUOLA in Carnia, dove vengono tratteggiati per sommi capi i lineamenti del problema “SCUOLA” come venne vissuto e realizzato in Carnia nel ‘700 e ‘800, quando la Chiesa era l’unica sostenitrice della istruzione del popolo, poiché lo Stato non esisteva oppure era del tutto assente su questo versante. Vi si racconta dei capellani-maestri, degli ispettori-monsignori…
- LA FAMIGLIA viene raccontata sul modello pre-terremoto 1976 e fa riferimento al tipo di famiglia patriarcale in auge in Carnia fino agli inizi degli anni ’70: molto significativi anche gli spunti profetici inseriti che vi si trovano.
- La RELIGIONE in Carnia ha da sempre una venatura consistente di luteranesimo che la rende diversa e più personale rispetto a quella del Friuli e del Veneto, più bigotta, barocca e preote…
- Il CLERICALISMO dei preti è il capitolo più singolare e sincero di pre Toni, in cui vi sono raccolti tutti i temi della successiva attività di scrittore: perché esiste il clericalismo dei preti? E quindi perché è nato poi l’anticlericalismo? Sono temi questi molto cari a pre Toni e ancora oggi costituiscono, a ben vedere, l’architrave di tutta la sua vastissima produzione letteraria in cui traspare sempre questa ansia genuina, mai appagata, di volere eliminare il CLERICALISMO dei preti, causa di tantissimi mali per il Popolo di Dio. Pre Toni ama comunque profondamente la sua Chiesa “casta et meretrix”, la vorrebbe però meno meretrix e più casta, più genuina e meno burocratica, più “accanto” e “nel” popolo, che “sopra” il popolo. Di questo si angustiava Pre Toni Beline nel 1976, a 35 anni. Di questo si angustia oggi, nel 2005, a 64 anni!
http://www.cjargne.it/libri/siorsantul.htm
Sior Santul (letteralmente: signor Padrino) è l’appellativo con cui, solamente in Carnia, viene ancora oggi indicato e chiamato il parroco del paese. Questo termine racchiude in sé un profondo significato poiché il parroco, battezzando tutti i bambini del paese, diviene automaticamente SANTUL (cioè Padrino) di tutti e, per diversificarlo dal padrino personale di ciascuno, viene appunto chiamato SIOR SANTUL.
Su inconsapevole e benevola istigazione dell’amico Marino, ho riletto (per la terza volta, come accade solitamente per i libri che emozionano) questo primo lavoro di pre Antoni Bellina, pubblicato 30 anni fa, nel 1976, alcuni mesi PRIMA del terremoto del 6 maggio, quando l’autore non aveva che 35 anni.
Pur se ancora acerbo nello stile, che avrà completa maturazione negli anni seguenti, pur se appesantito da inutili ripetizioni, questa opera (che a mio avviso resta la più fresca e genuina di questo autore) racchiude già in nuce tutta la filosofia ed il pensiero di pre Toni Beline, che saranno via via riproposti e approfonditi successivamente nelle oltre 100 altre pubblicazioni, che la penna fantasiosa e assai prolifica di pre Toni ha finora partorito e continua a partorire incessantemente. Vi è perfino (pag. 49 e pag. 65) il preludio al suo lavoro più conosciuto e contestato, pubblicato poi nel 1999, “La fabriche dai predis” (già presente nella nostra biblioteca), che è una singolare autobiografia nella quale pre Bellina, prendendo lo spunto da fatti personali, fa l’autopsia ad un cadavere (il seminario) riesumato dopo 30 anni dalla sua morte (avvenuta per consunzione propria e conseguente implosione). Caro pre Toni, quelle cose sul Seminario, dovevi scriverle prima, quando il malato era ancora vivente e forse (?) poteva essere ancora salvato; un’ autopsia eseguita a 30 anni di distanza dal decesso, non è mai troppo attendibile e dà spesso risultati fuorvianti o contradditori…
Questo libro invece, scritto in lingua friulana, è la biografia di don Luigi Zuliani (1876-1953), un prete carnico, che restò SIOR SANTUL nel paese di Cercivento per ben 53 anni, dal 1900 al 1953! Una vita spesa interamente a favore di un paese, fiaccato da due guerre, dal fascismo, dalla miseria, dall’ emigrazione… La penna di pre Toni sa cogliere (pur non avendolo egli conosciuto personalmente) le varie sfaccettature di SIOR SANTUL, i suoi aspetti esaltanti e i suoi limiti, i suoi tics e i suoi sbalzi d’umore, la sua totale generosità e la sua cronica povertà… Pre Toni sa scrivere in un friulano squisito, che piace fin da subito, facile, piano ma ricco di significati e immediate emozioni: si gusta davvero lo scrivere di pre Toni, che sa mirabilmente estrarre dalla nostra lingua madre i termini più adeguati (e a volte ormai desueti) per esprimere sentimenti, giudizi, perplessità, stupore, sdegno, allegria…
La grande figura di SIOR SANTUL emerge senza aureola e senza volute d’incenso ma non per questo è meno affascinante e meno coinvolgente: proprio perché è umanamente vera, questa figura di prete appare oggi molto più concreta e solida di tante altre agiografie di preti (e vescovi) che furoreggiano in questi tempi di fiction. Il SIOR SANTUL di pre Toni è un prete vero, reale, che magari va a rubare le mele ai ricchi per darle ai poveri, che magari non paga i debiti fatti per acquistare regali ai bambini, che magari non paga la bolletta della luce adducendo che l’acqua che muove le turbine della SECAB è mandata da Dio anche per lui, che magari ama il vino e non disdegna la compagnia allegra, che magari teme la Madonna Missionaria con la sua corte di mangjons… eppure SIOR SANTUL ci resta nel cuore per sempre con la sua disincantata sapienza, con la sua bonaria semplicità, con la sua fede di bambino, con quel suo terrore dei vescovi-funzionari, freddi come il naso del gatto e lontani dalla gente e dai preti…
Oltre alla splendida biografia di questo SIOR SANTUL, pre Toni Bellina ci offre nelle prime 50 pagine del libro un interessantissimo antipasto, che riguarda l’AMBIENTE in cui si muove il romanzo-biografia. Tra questi capitoli iniziali, meritano senz’altro un interesse i seguenti:
- LA CHIESA E LA SCUOLA in Carnia, dove vengono tratteggiati per sommi capi i lineamenti del problema “SCUOLA” come venne vissuto e realizzato in Carnia nel ‘700 e ‘800, quando la Chiesa era l’unica sostenitrice della istruzione del popolo, poiché lo Stato non esisteva oppure era del tutto assente su questo versante. Vi si racconta dei capellani-maestri, degli ispettori-monsignori…
- LA FAMIGLIA viene raccontata sul modello pre-terremoto 1976 e fa riferimento al tipo di famiglia patriarcale in auge in Carnia fino agli inizi degli anni ’70: molto significativi anche gli spunti profetici inseriti che vi si trovano.
- La RELIGIONE in Carnia ha da sempre una venatura consistente di luteranesimo che la rende diversa e più personale rispetto a quella del Friuli e del Veneto, più bigotta, barocca e preote…
- Il CLERICALISMO dei preti è il capitolo più singolare e sincero di pre Toni, in cui vi sono raccolti tutti i temi della successiva attività di scrittore: perché esiste il clericalismo dei preti? E quindi perché è nato poi l’anticlericalismo? Sono temi questi molto cari a pre Toni e ancora oggi costituiscono, a ben vedere, l’architrave di tutta la sua vastissima produzione letteraria in cui traspare sempre questa ansia genuina, mai appagata, di volere eliminare il CLERICALISMO dei preti, causa di tantissimi mali per il Popolo di Dio. Pre Toni ama comunque profondamente la sua Chiesa “casta et meretrix”, la vorrebbe però meno meretrix e più casta, più genuina e meno burocratica, più “accanto” e “nel” popolo, che “sopra” il popolo. Di questo si angustiava Pre Toni Beline nel 1976, a 35 anni. Di questo si angustia oggi, nel 2005, a 64 anni!
Wikipedia e Vichipedie
note su Pier antonio Bellina
http://it.wikipedia.org/wiki/Pier_Antonio_Bellina
note su pre Antoni Beline:
http://fur.wikipedia.org/wiki/Antoni_Beline
http://it.wikipedia.org/wiki/Pier_Antonio_Bellina
note su pre Antoni Beline:
http://fur.wikipedia.org/wiki/Antoni_Beline
un blog
tutto dedicato alla figura di pre toni beline:
http://gosperidea.blogspot.com/
contiene filmati e recensioni dei suoi libri
oltre che aforismi in lingua friulana e tradotti in italiano
http://gosperidea.blogspot.com/
contiene filmati e recensioni dei suoi libri
oltre che aforismi in lingua friulana e tradotti in italiano
venerdì 20 novembre 2009
presentazione libro
"Dialogo immaginario con don Antonio Bellina"
del 30 aprile 2009
reportage della serata:
http://www.natisone.it/gnovis/nuove0911.htm
del 30 aprile 2009
reportage della serata:
http://www.natisone.it/gnovis/nuove0911.htm
trilogjie tormentade
reportage della serata di presentazione
della ristampa del libro:
http://www.natisone.it/gnovis/nuove0944.htm
della ristampa del libro:
http://www.natisone.it/gnovis/nuove0944.htm
venerdì 9 ottobre 2009
TRILOGJIE TORMENTADE
PRESENTAZION DE GNOVE EDIZION DAL LIBRI DI PRE ANTONI BELINE «TRILOGJIE TORMENTADE» “premi S. Simon 1999”
Mande la gnove a di un amì 24.09.2009
Glesie Furlane in acuardi cul Cumun di Codroip e presente la gnove edizion dal libri di pre Antoni Beline «TRILOGJIE TORMENTADE» “premi S. Simon 1999”. L’invît al è par martars 27 di otubar a lis 20.30 te Biblioteche “G. Pressacco” di Codroip in vie 29 ottobre.
Intervents: Zuan Pieri Biasatti, Dean di Glesie Furlane; Pieri Fontanini, President de Provicie di Udin. Progjet "Pre Antoni Beline: un profete pal Friûl di doman" Protocol di intese pe publicazion de "Opera Omnia"; Vittorino Boem, Sindic di Codroip. Relazion di pre Tonin Cappellari, Plevan a Ruvigne
Mande la gnove a di un amì 24.09.2009
Glesie Furlane in acuardi cul Cumun di Codroip e presente la gnove edizion dal libri di pre Antoni Beline «TRILOGJIE TORMENTADE» “premi S. Simon 1999”. L’invît al è par martars 27 di otubar a lis 20.30 te Biblioteche “G. Pressacco” di Codroip in vie 29 ottobre.
Intervents: Zuan Pieri Biasatti, Dean di Glesie Furlane; Pieri Fontanini, President de Provicie di Udin. Progjet "Pre Antoni Beline: un profete pal Friûl di doman" Protocol di intese pe publicazion de "Opera Omnia"; Vittorino Boem, Sindic di Codroip. Relazion di pre Tonin Cappellari, Plevan a Ruvigne
mercoledì 6 maggio 2009
23 maggio 2004 messa a Basagliapenta
appunti di viaggio
Messe a Basepente
Scrivendo questi appunti, cercherò di tradurre in parole le emozioni che ho provato... biel lant a Messe a Basepente, e quelle ancora più intense vissute durante le operazioni di trasferimento delle tracce digitali dal DAT al computer.
Era da tanto tempo che nell'attraversare Basagliapenta, mi balenava l'idea di includere quella località tra i possibili obbiettivi per la rubrica "Biel lant a Messe", preoccupato solo dal timore che il sacerdote che regge quella parrocchia fosse una persona poco disponibile a tollerare le mie "interferenze" durante la celebrazione dell'Eucaristia.
Di pre Antoni Beline non avevo letto grandi cose se non qualche breve articolo sulla Vita Cattolica, ma sapevo essere sua l'opera di traduzione in friulano della bibbia, compreso il Vangelo della Domenica, che ogni settimana compare sulla prima pagina del nostro sito.
Ecco come il Dizionario Friulano descrive Pier Antonio Bellina...
BELLINA / BELINE, Pier Antonio, sacerdote, insegnante, scrittore, traduttore (n. Venzone 1941). È stato ordinato nel 1965. Ha esercitato il ministero a Valle e Rivalpo in Carnia e a Basagliapenta di Basiliano. È considerato l'enfant terrible del Furlanentum per la sua verve polemica. Dal 1979 al 1988 ha firmato come responsabile il mensile "La Patrie dal Friûl". In collaborazione con F. Placereani ha tradotto la Bibbia in friulano. Ha scritto parecchio in prosa, qualcosa in versi. Nel 1981 ha avuto il premio letterario San Simon per la prosa.
Bibl.: Par amôr o par fuarce?, Davâr 1975; Siôr santul, Davâr 1976; Misteris gloriôs (Vitis di un predi e de sô int), Davâr 1980; Tiere di cunfin, Udine 1982; Vanseli par un popul B-C-A, Udine 1984, í88, í90; La Bibie par furlan: un at di fede, un fat di culture, GPF II, 1984; Pre Pitin, Codroipo 1986; Fantasticant..., Udine 1990. Cfr.: D'Ar. III, 473; L. Sinesio, Territorio ed identità linguistica dei friulani, tesi di laurea, facoltà di scienze politiche, Università di Trieste, a. a. 1990-91.
La giornata di Domenica 23 si preannunziava molto intensa, con la partecipazione ad una Messa cantata dal Coro dell'UTE di Monfalcone alle 18 del pomeriggio all'Abbazia di Rosazzo, seguito da un concerto alle 20.30 in quel di San Pier d'Isonzo. Per assolvere a questi impegni, ho delegato il mio collaboratore Devis Macor, a documentare i festeggiamenti per la "Sensa", la sagra paesana di Leproso. Queste sono state le ragioni per cui ho rinunziato al mio progetto iniziale di oltrepassare il Tagliamento per andare e Messa, e di limitare il percorso fermandomi a Basagliapenta... ed affrontare eventuali rischi...
I miei timori sono svaniti dopo pochi secondi dal mio primo contatto con pre Antoni, che si è rivelato una persona molto disponibile e oserei dire dolce.
Prima dell'inizio dell'Eucaristia, ho fatto in tempo a modificare la predisposizione del mio sistema di registrazione, con l'impiego del mio microfono a capsule separate ©Aldo Taboga, che permette di registrare tutto quello che passa attraverso l'impianto amplificato della chiesa, e l'audio dell'ambientale ed avere successivamente la possibilità di mixaggio. Ascoltando il canto d'inizio, ho capito che avrei assistito ad una bella Messa in friulano, e che certi testi erano stati ben adattati ad arie famose. Ho seguito con vera emozione la cerimonia, seduto vicino ad una signora di una certa età, che cantava con una voce dolcissima, voce che riesco a riconoscere chiaramente riascoltando i brani registrati.
Alla fine della Messa, quando pre Toni è calato tra la gente per salutare i suoi parrocchiani, l'ho pregato di posare con me per una foto. Sono veramente orgoglioso di aver conosciuto una persona straordinaria come pre Toni Beline, che, sebbene seriamente sofferente nel corpo, ha la forza di trasmettere tanta energia spirituale.
Fonte: http://www.natisone.it/appunti/appunti32.htm
Messe a Basepente
Scrivendo questi appunti, cercherò di tradurre in parole le emozioni che ho provato... biel lant a Messe a Basepente, e quelle ancora più intense vissute durante le operazioni di trasferimento delle tracce digitali dal DAT al computer.
Era da tanto tempo che nell'attraversare Basagliapenta, mi balenava l'idea di includere quella località tra i possibili obbiettivi per la rubrica "Biel lant a Messe", preoccupato solo dal timore che il sacerdote che regge quella parrocchia fosse una persona poco disponibile a tollerare le mie "interferenze" durante la celebrazione dell'Eucaristia.
Di pre Antoni Beline non avevo letto grandi cose se non qualche breve articolo sulla Vita Cattolica, ma sapevo essere sua l'opera di traduzione in friulano della bibbia, compreso il Vangelo della Domenica, che ogni settimana compare sulla prima pagina del nostro sito.
Ecco come il Dizionario Friulano descrive Pier Antonio Bellina...
BELLINA / BELINE, Pier Antonio, sacerdote, insegnante, scrittore, traduttore (n. Venzone 1941). È stato ordinato nel 1965. Ha esercitato il ministero a Valle e Rivalpo in Carnia e a Basagliapenta di Basiliano. È considerato l'enfant terrible del Furlanentum per la sua verve polemica. Dal 1979 al 1988 ha firmato come responsabile il mensile "La Patrie dal Friûl". In collaborazione con F. Placereani ha tradotto la Bibbia in friulano. Ha scritto parecchio in prosa, qualcosa in versi. Nel 1981 ha avuto il premio letterario San Simon per la prosa.
Bibl.: Par amôr o par fuarce?, Davâr 1975; Siôr santul, Davâr 1976; Misteris gloriôs (Vitis di un predi e de sô int), Davâr 1980; Tiere di cunfin, Udine 1982; Vanseli par un popul B-C-A, Udine 1984, í88, í90; La Bibie par furlan: un at di fede, un fat di culture, GPF II, 1984; Pre Pitin, Codroipo 1986; Fantasticant..., Udine 1990. Cfr.: D'Ar. III, 473; L. Sinesio, Territorio ed identità linguistica dei friulani, tesi di laurea, facoltà di scienze politiche, Università di Trieste, a. a. 1990-91.
La giornata di Domenica 23 si preannunziava molto intensa, con la partecipazione ad una Messa cantata dal Coro dell'UTE di Monfalcone alle 18 del pomeriggio all'Abbazia di Rosazzo, seguito da un concerto alle 20.30 in quel di San Pier d'Isonzo. Per assolvere a questi impegni, ho delegato il mio collaboratore Devis Macor, a documentare i festeggiamenti per la "Sensa", la sagra paesana di Leproso. Queste sono state le ragioni per cui ho rinunziato al mio progetto iniziale di oltrepassare il Tagliamento per andare e Messa, e di limitare il percorso fermandomi a Basagliapenta... ed affrontare eventuali rischi...
I miei timori sono svaniti dopo pochi secondi dal mio primo contatto con pre Antoni, che si è rivelato una persona molto disponibile e oserei dire dolce.
Prima dell'inizio dell'Eucaristia, ho fatto in tempo a modificare la predisposizione del mio sistema di registrazione, con l'impiego del mio microfono a capsule separate ©Aldo Taboga, che permette di registrare tutto quello che passa attraverso l'impianto amplificato della chiesa, e l'audio dell'ambientale ed avere successivamente la possibilità di mixaggio. Ascoltando il canto d'inizio, ho capito che avrei assistito ad una bella Messa in friulano, e che certi testi erano stati ben adattati ad arie famose. Ho seguito con vera emozione la cerimonia, seduto vicino ad una signora di una certa età, che cantava con una voce dolcissima, voce che riesco a riconoscere chiaramente riascoltando i brani registrati.
Alla fine della Messa, quando pre Toni è calato tra la gente per salutare i suoi parrocchiani, l'ho pregato di posare con me per una foto. Sono veramente orgoglioso di aver conosciuto una persona straordinaria come pre Toni Beline, che, sebbene seriamente sofferente nel corpo, ha la forza di trasmettere tanta energia spirituale.
Fonte: http://www.natisone.it/appunti/appunti32.htm
23 Aprile 2007
Basagliapenta, 23 Aprile 2007
GRANDE LUTTO NELLA CHIESA UDINESE
SI È SPENTO QUESTA NOTTE PRE BELINE
Parroco di Basagliapenta e Villaorba, sacerdote da sempre in prima linea per la promozione della lingua e della cultura friulana
UDINE (23 aprile, ore 9.30) - Grave lutto nella Chiesa Udinese ed in tutto il Friuli per la morte di pre Beline, parroco di Basagliapenta e Villaorba, sacerdote da sempre in prima linea per la promozione della lingua e della cultura friulana. Resterà nella storia per aver tradotto la Bibbia in lingua friulana. Ricca la sua attività pubblicistica, sul settimanale diocesano «La Vita Cattolica», da 15 anni curava la seguitissima rubrica settimanale «Cirint lis olmis di Diu».
Don Pierantonio Bellina si è spento stanotte verso l'una a Basagliapenta. Lascia nel cordoglio la Chiesa udinese e tutto il Friuli.
La salma sarà esposta dalle ore 16 nella chiesa parrocchiale di Basagliapenta, dove questa sera alle ore 20 sarà celebrata una Santa Messa e domani, sempre alle 20, sarà recitato il rosario. Mercoledì 25, alle ore 17, si terranno i funerali, presieduti dall'Arcivescovo emerito, mons. Alfredo Battisti.
La salma sarà tumulata nel camposanto di Basagliapenta. Pre Beline sarà sepolto con l'abito talare indossato nel giorno della prima messa, tra la sua gente, come egli ha chiesto espressamente.
Nato a Venzone l'11 febbraio 1941 e ordinato sacerdote nel 1965, don Bellina fu cooperatore a Codroipo fino al 1968, e parroco di Rivalpo e Valle per oltre 10 anni, dal 1968 al 1982.
Riportiamo, di seguito, un estratto delle parole che pre Beline ha affidato alla sua penna nell'ultimo scritto pubblicato da «La Vita Cattolica» sul numero di sabato 21 aprile, una sorta di testamento spirituale, intenso e significativo.
La rivelazion des Scrituris
O vevi juste celebrade la Pasche cu lis mês comunitâts, cuant che, a colp, mi à brincât il mâl e o soi tornât a plombâ tal scûr orent dal vinars sant, cu la vite ti sta bandonant e la sensazion di jessi rivât insomp (o dapît) de tô corse. Cjantantmi ingredeât tes cjadenis dal mâl fisic e psicologjic, dute la mê vision sflandorose, positive, pascâl de esistence, cu la sigurece che dut al finis in glorie e che no esist situazion o condizion che no vegni riscatade e nobilitade de vitorie di Crist, si è sfantade come un bugjel di biciclete cuant che s’intive tun claut. Anche parcé che, cjalant e sintint i miei compagns di sventure, ognun cu la sô crôs e cui siei dubits, ancje jo mi confusionavi e o scomençavi a clopuçâ.
Mi è vignût però tal cjâf il câs dai doi dissepui di Emaus e des peraulis che ur dîs il compagn mistereôs e providenziâl: «Il Crist no vevial forsit di patî dut chest e dome cussì jentrâ te sô glorie? E scomençant di Mosè e di ducj i profetis, ur spiegà ce che dutis lis Scrituris a disevin di lui» (Lc 24, 26-27). Se la soference e je viodude e vivude seont la rude razionalitât e je un scandul e une assurditât. Se invezit si va plui indenant e si le cjale seont la rivelazion des Scrituris, alore e devente la strade privilegjade e sigure par jentrâ in glorie.
Fonte: http://www.natisone.it/gnovis/archivio/nuove0713.htm
GRANDE LUTTO NELLA CHIESA UDINESE
SI È SPENTO QUESTA NOTTE PRE BELINE
Parroco di Basagliapenta e Villaorba, sacerdote da sempre in prima linea per la promozione della lingua e della cultura friulana
UDINE (23 aprile, ore 9.30) - Grave lutto nella Chiesa Udinese ed in tutto il Friuli per la morte di pre Beline, parroco di Basagliapenta e Villaorba, sacerdote da sempre in prima linea per la promozione della lingua e della cultura friulana. Resterà nella storia per aver tradotto la Bibbia in lingua friulana. Ricca la sua attività pubblicistica, sul settimanale diocesano «La Vita Cattolica», da 15 anni curava la seguitissima rubrica settimanale «Cirint lis olmis di Diu».
Don Pierantonio Bellina si è spento stanotte verso l'una a Basagliapenta. Lascia nel cordoglio la Chiesa udinese e tutto il Friuli.
La salma sarà esposta dalle ore 16 nella chiesa parrocchiale di Basagliapenta, dove questa sera alle ore 20 sarà celebrata una Santa Messa e domani, sempre alle 20, sarà recitato il rosario. Mercoledì 25, alle ore 17, si terranno i funerali, presieduti dall'Arcivescovo emerito, mons. Alfredo Battisti.
La salma sarà tumulata nel camposanto di Basagliapenta. Pre Beline sarà sepolto con l'abito talare indossato nel giorno della prima messa, tra la sua gente, come egli ha chiesto espressamente.
Nato a Venzone l'11 febbraio 1941 e ordinato sacerdote nel 1965, don Bellina fu cooperatore a Codroipo fino al 1968, e parroco di Rivalpo e Valle per oltre 10 anni, dal 1968 al 1982.
Riportiamo, di seguito, un estratto delle parole che pre Beline ha affidato alla sua penna nell'ultimo scritto pubblicato da «La Vita Cattolica» sul numero di sabato 21 aprile, una sorta di testamento spirituale, intenso e significativo.
La rivelazion des Scrituris
O vevi juste celebrade la Pasche cu lis mês comunitâts, cuant che, a colp, mi à brincât il mâl e o soi tornât a plombâ tal scûr orent dal vinars sant, cu la vite ti sta bandonant e la sensazion di jessi rivât insomp (o dapît) de tô corse. Cjantantmi ingredeât tes cjadenis dal mâl fisic e psicologjic, dute la mê vision sflandorose, positive, pascâl de esistence, cu la sigurece che dut al finis in glorie e che no esist situazion o condizion che no vegni riscatade e nobilitade de vitorie di Crist, si è sfantade come un bugjel di biciclete cuant che s’intive tun claut. Anche parcé che, cjalant e sintint i miei compagns di sventure, ognun cu la sô crôs e cui siei dubits, ancje jo mi confusionavi e o scomençavi a clopuçâ.
Mi è vignût però tal cjâf il câs dai doi dissepui di Emaus e des peraulis che ur dîs il compagn mistereôs e providenziâl: «Il Crist no vevial forsit di patî dut chest e dome cussì jentrâ te sô glorie? E scomençant di Mosè e di ducj i profetis, ur spiegà ce che dutis lis Scrituris a disevin di lui» (Lc 24, 26-27). Se la soference e je viodude e vivude seont la rude razionalitât e je un scandul e une assurditât. Se invezit si va plui indenant e si le cjale seont la rivelazion des Scrituris, alore e devente la strade privilegjade e sigure par jentrâ in glorie.
Fonte: http://www.natisone.it/gnovis/archivio/nuove0713.htm
Riconosciamo i nostri profeti e camminiamo con loro
Centro Balducci di Zugliano, 18 Giugno 2008
Sala "mons. Luigi Petris"
Riconosciamo i nostri profeti e camminiamo con loro
Il Centro Balduzzi ricorda pre Toni Bellina...
con particolare attenzione ai libri:
"De profundis" e "La fatica di essere preti"
Interventi in ordine di entrata...
Pierluigi Di Piazza - responsabile del Centro "E. Balducci"
pre Romano Michelotti - gruppo di Glesie Furlane
Roberto Iacovissi - giornalista e scrittore
Gianni Bellinetti - curatore della versione italiana del "De Profundis" - Dal Profondo
Marino Plazzotta - curatore della versione italiana del libro "La fatica di essere preti"
Cristina Benedetti - Letture
Proiezione di un video inedito su pre Toni Bellina a cura di Marino Plazzotta
Il Centro " E. Balducci" da tempo avverte l'esigenza di vivere e di invitare a vivere un momento di riflessione profonda nella memoria viva dell'uomo e del prete, dell'insegnamento di pre Toni Bellina.
Presente alla consacrazione a prete di don Pierluigi Di Piazza, responsabile del Centro, gli inviò il giorno successivo, il 19 ottobre 1975, una lettera di significato profondo e illuminante sul modo di essere prete: asservito o libero, al servizio o coinvolto dal potere, concludendo: "e cumò rangjti", cioè scegli.
Pre Toni osservava a Pierluigi forse un'eccessiva attenzione al mondo, a scapito forse del Friuli, e Pierluigi gli rispondeva che nel sostegno reciproco all'attenzione al Friuli e insieme al Pianeta il procedere sarebbe stato profondo e significativo, rapportando appunto la comunità locale alle comunità di tutta la Terra.
Pre Toni ha vissuto e comunicato in modo straordinario la sua umanità, la sua fede inquieta e profonda, la sapienza del cuore, l'amore al popolo friulano e alla sua lingua; ha compiuto l'ammirevole impresa di traduzione della Bibbia in lingua friulana, ha riflettuto e comunicato sull'amore e sul dolore, sulla libertà, sulla schiavitù, sull'autonomia e sulla responsabilità personale e comunitaria, su una Chiesa del Vangelo che si fa popolo e si libera dai legami con il potere economico, politico, militare.
Perché il suo ricordo vivo al Centro Balducci? Per la verità da lui cercata e proclamata; per la libertà vissuta a caro prezzo; per la fede inquieta, interrogante, affidata al Mistero di Dio, riferita al Vangelo di Gesù, per la sua lettura della storia alla luce della Parola profetica del Vangelo, dalla parte dei poveri, dei colpiti, degli scartati, degli ultimi, degli umili; per il suo radicamento nella Chiesa come comunità di fede: profetica, libera, umile, accogliente; per l'incarnazione nella storia.
Vi invitiamo a vivere questo incontro di riflessione e di assunzione di responsabilità nel continuare a vivere questi suoi insegnamenti.
Fonte: http://www.natisone.it/gnovis/archivio/nuove0830.htm
Sala "mons. Luigi Petris"
Riconosciamo i nostri profeti e camminiamo con loro
Il Centro Balduzzi ricorda pre Toni Bellina...
con particolare attenzione ai libri:
"De profundis" e "La fatica di essere preti"
Interventi in ordine di entrata...
Pierluigi Di Piazza - responsabile del Centro "E. Balducci"
pre Romano Michelotti - gruppo di Glesie Furlane
Roberto Iacovissi - giornalista e scrittore
Gianni Bellinetti - curatore della versione italiana del "De Profundis" - Dal Profondo
Marino Plazzotta - curatore della versione italiana del libro "La fatica di essere preti"
Cristina Benedetti - Letture
Proiezione di un video inedito su pre Toni Bellina a cura di Marino Plazzotta
Il Centro " E. Balducci" da tempo avverte l'esigenza di vivere e di invitare a vivere un momento di riflessione profonda nella memoria viva dell'uomo e del prete, dell'insegnamento di pre Toni Bellina.
Presente alla consacrazione a prete di don Pierluigi Di Piazza, responsabile del Centro, gli inviò il giorno successivo, il 19 ottobre 1975, una lettera di significato profondo e illuminante sul modo di essere prete: asservito o libero, al servizio o coinvolto dal potere, concludendo: "e cumò rangjti", cioè scegli.
Pre Toni osservava a Pierluigi forse un'eccessiva attenzione al mondo, a scapito forse del Friuli, e Pierluigi gli rispondeva che nel sostegno reciproco all'attenzione al Friuli e insieme al Pianeta il procedere sarebbe stato profondo e significativo, rapportando appunto la comunità locale alle comunità di tutta la Terra.
Pre Toni ha vissuto e comunicato in modo straordinario la sua umanità, la sua fede inquieta e profonda, la sapienza del cuore, l'amore al popolo friulano e alla sua lingua; ha compiuto l'ammirevole impresa di traduzione della Bibbia in lingua friulana, ha riflettuto e comunicato sull'amore e sul dolore, sulla libertà, sulla schiavitù, sull'autonomia e sulla responsabilità personale e comunitaria, su una Chiesa del Vangelo che si fa popolo e si libera dai legami con il potere economico, politico, militare.
Perché il suo ricordo vivo al Centro Balducci? Per la verità da lui cercata e proclamata; per la libertà vissuta a caro prezzo; per la fede inquieta, interrogante, affidata al Mistero di Dio, riferita al Vangelo di Gesù, per la sua lettura della storia alla luce della Parola profetica del Vangelo, dalla parte dei poveri, dei colpiti, degli scartati, degli ultimi, degli umili; per il suo radicamento nella Chiesa come comunità di fede: profetica, libera, umile, accogliente; per l'incarnazione nella storia.
Vi invitiamo a vivere questo incontro di riflessione e di assunzione di responsabilità nel continuare a vivere questi suoi insegnamenti.
Fonte: http://www.natisone.it/gnovis/archivio/nuove0830.htm
"Dialogo immaginario con don Antonio Bellina"
Zugliano di Pozzuolo, 21 Aprile 2009
sala mons. Luigi Petris
Presentazione del libro
"Dialogo immaginario con don Antonio Bellina"
nel 2° anniversario della sua morte
Per il 2° anno il Centro Balducci ha organizzato un incontro di memoria viva, di riflessione, di riproposta di pre Toni Bellina, uomo e prete del Friuli di straordinario significato per la sua fede, per il coraggio, la libertà, la fedeltà della profezia, per la sua sofferenza nel corpo e nell'anima. Diversi sono gli aspetti della sua storia su cui ci si può soffermare a riflettere, a partire proprio dalla sua fede, dal suo interrogarsi e continuare a cercare; della sua fatica e nostra di credere, della consolazione che ne può scaturire. E ancora della sua profonda umanità attenta a quella degli altri, a quella di tutti gli esseri viventi. E ancora al sentirsi radicato in Friuli nella sua storia, nella sua autonomia, nella sua lingua. E ancora il suo essere scrittore infaticabile, traduttore della Bibbia in lingua friulana e poi scrittore brillante su tanti aspetti della vita, della storia, della fede, della Chiesa, con la capacità di cogliere gli aspetti dell'animo, gli atteggiamenti, i segni dei tempi, con denuncia sferzante e ironia intelligente, con la speranza del cuore e con l'intelligenza delle indicazioni e dei suggerimenti. La violenza, la guerra, l'indifferenza, il consumismo, la superficialità, il conformismo sono da lui svelati e denunciati per contribuire alle dimensioni positive della spiritualità, della cultura, della sobrietà del vivere, della partecipazione attiva alla vita della comunità e alla storia che ci è data di vivere. Ha guardato la storia e le storie delle persone con la Bibbia nel cuore, quindi dalla parte dei poveri, degli umili, degli scartati, dei perdenti cogliendo le loro qualità, la loro ricchezza, il loro protagonismo, spesso nascosto. La sua lunga sofferenza fisica e le sofferenze dell'anima causate da critiche e isolamento anche dentro alla Chiesa hanno accentuato questo procedere verso l'essenzialità e la saggezza del cuore. Ha amato la Chiesa e proprio per questo spronata alla libertà dai vincoli con i poteri di questo mondo. L'incontro ha preso lo spunto dal nuovo libro di Gianni Bellinetti che immaginandosi l'esperienza del dialogo telefonico dal cielo con pre Toni, ne ripropone passaggi di esperienze e riflessioni.
L'ereditât di pre Toni:
il nestri ricuart, prime che il timp nus smamissi la memorie.
L'idee e je chê di cjapâ su testemoneancis là di chei che in cualchi maniere a àn vût dafâ cun pre Toni: midiant des leturis di ce che lui al a scrit inte sô avonde lungje e une vore prolifiche vore di scritôr e di tradutôr e midiant dai rapuarts personâi o de so vore pastorâl...
Ancje se il progjet lu àn inmaneât, a la buine, un groput di lôr di Visepente, che a àn za vût dât informazion intune riunion dal consei parochiâl, o crodìn che no si vedi di meti nissun limit teritoriâl indulà lâ a racuei testemoniancis: che ognidun al cjapi su indulà che i va miôr e che al pense di cjatà testemonis.
Naturalmentri, prime ti tacà la vore si varâ di cjatâsi, cun chei che a crodin di podê da une man, par viodi cuale che e pues sei la miei maniere pratiche par lâ indenant cu la vore, che e durarà di sigûr par mês.
Al à sparniçât un slac di semencis, pre Toni, cussi, cumò, ancje cun chê di viodi trop in sot che e je lade che semence, cetant che e a butât e ce ereditât che e a lassât e, prime che il timp, galiol, al smamissi la memorie, si vûl stazâ il teren dulà che a àn menât su lis plantutis.
Si pense, alore, di lâ a spulzinâ plui int che al sei pussibil par podê vê rispuestis daûr dai rapuarts, ancje difarents, che ognidun al a vût cun pre Toni.
Ce che o rivarìn adore di cjapâ sù o varessin pò voe che al vignìs publicât, magari midiant e/o cul jutori di Glesie Furlane, che e à za dât la sô disponibilitât.
Si pense, ancje, che cui che al acete di rispuindi a lis domandis al vedi la facoltât di falu tant in forme verbâl, e duncje regjistrade, come in forme scrite, se al à miôr.
La vore no je di pôc ne sul plan pratic e nancje sun chel culturâl e, propit parchel, o sin a domandâ colaborazion volontarie a ducj chei che a crodin inte impuartance di cheste iniziative, che e zovarà di sigûr par valorizâ la semence che pre Toni al a butât a plenis mans.
Par cui che al crôt di podê dâ une man, o par vê informazions, al pues telefonâ tai numars che o metìn chi sot: 0432 76438, Mauro - 0432 905672, Renzo - 0432 848882, Remo
Visepente, ai 23 di avrîl dal 2009
FONTE: http://www.natisone.it/gnovis/nuove0911.htm
sala mons. Luigi Petris
Presentazione del libro
"Dialogo immaginario con don Antonio Bellina"
nel 2° anniversario della sua morte
Per il 2° anno il Centro Balducci ha organizzato un incontro di memoria viva, di riflessione, di riproposta di pre Toni Bellina, uomo e prete del Friuli di straordinario significato per la sua fede, per il coraggio, la libertà, la fedeltà della profezia, per la sua sofferenza nel corpo e nell'anima. Diversi sono gli aspetti della sua storia su cui ci si può soffermare a riflettere, a partire proprio dalla sua fede, dal suo interrogarsi e continuare a cercare; della sua fatica e nostra di credere, della consolazione che ne può scaturire. E ancora della sua profonda umanità attenta a quella degli altri, a quella di tutti gli esseri viventi. E ancora al sentirsi radicato in Friuli nella sua storia, nella sua autonomia, nella sua lingua. E ancora il suo essere scrittore infaticabile, traduttore della Bibbia in lingua friulana e poi scrittore brillante su tanti aspetti della vita, della storia, della fede, della Chiesa, con la capacità di cogliere gli aspetti dell'animo, gli atteggiamenti, i segni dei tempi, con denuncia sferzante e ironia intelligente, con la speranza del cuore e con l'intelligenza delle indicazioni e dei suggerimenti. La violenza, la guerra, l'indifferenza, il consumismo, la superficialità, il conformismo sono da lui svelati e denunciati per contribuire alle dimensioni positive della spiritualità, della cultura, della sobrietà del vivere, della partecipazione attiva alla vita della comunità e alla storia che ci è data di vivere. Ha guardato la storia e le storie delle persone con la Bibbia nel cuore, quindi dalla parte dei poveri, degli umili, degli scartati, dei perdenti cogliendo le loro qualità, la loro ricchezza, il loro protagonismo, spesso nascosto. La sua lunga sofferenza fisica e le sofferenze dell'anima causate da critiche e isolamento anche dentro alla Chiesa hanno accentuato questo procedere verso l'essenzialità e la saggezza del cuore. Ha amato la Chiesa e proprio per questo spronata alla libertà dai vincoli con i poteri di questo mondo. L'incontro ha preso lo spunto dal nuovo libro di Gianni Bellinetti che immaginandosi l'esperienza del dialogo telefonico dal cielo con pre Toni, ne ripropone passaggi di esperienze e riflessioni.
L'ereditât di pre Toni:
il nestri ricuart, prime che il timp nus smamissi la memorie.
L'idee e je chê di cjapâ su testemoneancis là di chei che in cualchi maniere a àn vût dafâ cun pre Toni: midiant des leturis di ce che lui al a scrit inte sô avonde lungje e une vore prolifiche vore di scritôr e di tradutôr e midiant dai rapuarts personâi o de so vore pastorâl...
Ancje se il progjet lu àn inmaneât, a la buine, un groput di lôr di Visepente, che a àn za vût dât informazion intune riunion dal consei parochiâl, o crodìn che no si vedi di meti nissun limit teritoriâl indulà lâ a racuei testemoniancis: che ognidun al cjapi su indulà che i va miôr e che al pense di cjatà testemonis.
Naturalmentri, prime ti tacà la vore si varâ di cjatâsi, cun chei che a crodin di podê da une man, par viodi cuale che e pues sei la miei maniere pratiche par lâ indenant cu la vore, che e durarà di sigûr par mês.
Al à sparniçât un slac di semencis, pre Toni, cussi, cumò, ancje cun chê di viodi trop in sot che e je lade che semence, cetant che e a butât e ce ereditât che e a lassât e, prime che il timp, galiol, al smamissi la memorie, si vûl stazâ il teren dulà che a àn menât su lis plantutis.
Si pense, alore, di lâ a spulzinâ plui int che al sei pussibil par podê vê rispuestis daûr dai rapuarts, ancje difarents, che ognidun al a vût cun pre Toni.
Ce che o rivarìn adore di cjapâ sù o varessin pò voe che al vignìs publicât, magari midiant e/o cul jutori di Glesie Furlane, che e à za dât la sô disponibilitât.
Si pense, ancje, che cui che al acete di rispuindi a lis domandis al vedi la facoltât di falu tant in forme verbâl, e duncje regjistrade, come in forme scrite, se al à miôr.
La vore no je di pôc ne sul plan pratic e nancje sun chel culturâl e, propit parchel, o sin a domandâ colaborazion volontarie a ducj chei che a crodin inte impuartance di cheste iniziative, che e zovarà di sigûr par valorizâ la semence che pre Toni al a butât a plenis mans.
Par cui che al crôt di podê dâ une man, o par vê informazions, al pues telefonâ tai numars che o metìn chi sot: 0432 76438, Mauro - 0432 905672, Renzo - 0432 848882, Remo
Visepente, ai 23 di avrîl dal 2009
FONTE: http://www.natisone.it/gnovis/nuove0911.htm
martedì 5 maggio 2009
A doi agns de muart di pre Antoni
23 aprile 2009
A doi agns de muart di pre Antoni
Vuê, cun pre Roman e lis peraulis che al à scrit su La Patrie di Avrîl, o ricuardi pre Antoni (te foto), mancjât ai 23 di Avrîl dal 2007.
A son bielzà doi agns che pre Antoni al à lassade la sene di chest mont. O volìn ricuardâlu e onorâlu ancjemò cuntun tocut dal De Senectute, vore che lui al steve svilupant prime che la muart lu brincàs. L’an passât o vin metût l’inizi de riflession. Cheste volte o metìn la fin. Si trate naturalmentri di une opare no finide o, al sarès miôr dî, apene scomençade. La finâl, cence puntegjature, le lassìn come che le veve lassade lui.
Pe leture integrâl dal De Senectute o rimandìn i amîs de Patrie dal Friûl al libri, fresc di stampe, che Glesie Furlane e à burît fûr cun chê di onorâ la memorie dal amì pre Antoni, propit in ocasion dal secont aniversari de sô muart.
pre Roman
Ve chi la ultime part dal De Senectute che Glesie furlane e presentarà domenie che e ven, ai 26 di Avrîl a lis 6 di sere a Vençon.
Cundut a chel, però, e cence savê ce che mi puartarà l’avignî (di sigûr no grancj salustris), o soi a dî che ancje la malatie, il mâl fisic e morâl, i moments negatîfs de vite a àn une lôr impuartance e un lôr valôr. No dome par fâti cognossi la realtât interie de vite, ma ancje par temprâti, par rinditi plui fuart, plui essenziâl, plui sapient, plui realtîf. Par fâti gjoldi di plui di chês speris di lûs tra un burlaç e chel altri che la vite ti regale e par judâti a capî in profondiutât e no par proforme chei che a tribulin e a cainin dongje di te. Il dolôr ti dà umiltât e caritât, passience e sapience, profonditât e compassion. O disarès che al rive a tirâ fûr di te e di chei dongje di te lis miôr cualitâts, cu la cuâl che tantis voltis la salût e la furtune matereâl ti rint insensibil, superficiâl, egoist e malpazient. Cul dolôr tu cressis e tu madressis, cul ben tu riscjis di restâ frut, cun dutis lis pecjis dai fruts. Tantis voltis mi domandi se o varès fat dut ce che o ài fat se o ves vude salût. O varès corût di plui, consumât di plui, ma forsit o varès strassade la vite in maniere stupide. Par chel o dîs, cu lis lagrimis tai vôi e strengint i dincj: “Grazie, Signôr, ancje dal mâl
A doi agns de muart di pre Antoni
Vuê, cun pre Roman e lis peraulis che al à scrit su La Patrie di Avrîl, o ricuardi pre Antoni (te foto), mancjât ai 23 di Avrîl dal 2007.
A son bielzà doi agns che pre Antoni al à lassade la sene di chest mont. O volìn ricuardâlu e onorâlu ancjemò cuntun tocut dal De Senectute, vore che lui al steve svilupant prime che la muart lu brincàs. L’an passât o vin metût l’inizi de riflession. Cheste volte o metìn la fin. Si trate naturalmentri di une opare no finide o, al sarès miôr dî, apene scomençade. La finâl, cence puntegjature, le lassìn come che le veve lassade lui.
Pe leture integrâl dal De Senectute o rimandìn i amîs de Patrie dal Friûl al libri, fresc di stampe, che Glesie Furlane e à burît fûr cun chê di onorâ la memorie dal amì pre Antoni, propit in ocasion dal secont aniversari de sô muart.
pre Roman
Ve chi la ultime part dal De Senectute che Glesie furlane e presentarà domenie che e ven, ai 26 di Avrîl a lis 6 di sere a Vençon.
Cundut a chel, però, e cence savê ce che mi puartarà l’avignî (di sigûr no grancj salustris), o soi a dî che ancje la malatie, il mâl fisic e morâl, i moments negatîfs de vite a àn une lôr impuartance e un lôr valôr. No dome par fâti cognossi la realtât interie de vite, ma ancje par temprâti, par rinditi plui fuart, plui essenziâl, plui sapient, plui realtîf. Par fâti gjoldi di plui di chês speris di lûs tra un burlaç e chel altri che la vite ti regale e par judâti a capî in profondiutât e no par proforme chei che a tribulin e a cainin dongje di te. Il dolôr ti dà umiltât e caritât, passience e sapience, profonditât e compassion. O disarès che al rive a tirâ fûr di te e di chei dongje di te lis miôr cualitâts, cu la cuâl che tantis voltis la salût e la furtune matereâl ti rint insensibil, superficiâl, egoist e malpazient. Cul dolôr tu cressis e tu madressis, cul ben tu riscjis di restâ frut, cun dutis lis pecjis dai fruts. Tantis voltis mi domandi se o varès fat dut ce che o ài fat se o ves vude salût. O varès corût di plui, consumât di plui, ma forsit o varès strassade la vite in maniere stupide. Par chel o dîs, cu lis lagrimis tai vôi e strengint i dincj: “Grazie, Signôr, ancje dal mâl
SECONDO ANNIVERSARIO
GIOVEDÌ, 23 APRILE 2009
Pagina 10 - Cultura e spettacoli
80 MILA EURO PER L’OPERA OMNIA
Dalla Provincia
Con la firma, ieri a palazzo Belgrado, del protocollo d’intesa tra la Provincia di Udine e Glesie furlane, un altro importante passo è stato compiuto nell’impegno – preso solennemente nell’ottobre dello scorso anno dal presidente Fontanini – per la pubblicazione dell’opera omnia di pre Antoni Beline. Il contributo dell’ente intermedio (80 mila euro spalmati su 5 anni) certo non sarà sufficiente a garantire la stampa della cinquantina di opere inserita nel progetto Pre Antoni Beline: un profete pal Friûl di doman, ma è un segno di rinnovata attenzione verso il percorso umano, spirituale e letterario del sacerdote venzonese spentosi due anni fa. Il finanziamento andrà a sostenere la pubblicazione di nove libri: Sul at di voltâ pagjine, Par amôr o par fuarce?, Eutanasie di un Patriarcjât, Amôr di patrie, Fortunât il popul che il Signôr al è il so Diu, Rogazions, Cirint li solmis di Diu – V, Trilogie e De Senectute (inedito e incompiuto che sarà presentato domenica a Venzone). A sottoscrivere il documento, ieri, con il presidente Fontanini c’erano il presidente di Glesie furlane, Giovanni Pietro Biasatti, don Romano Michelotti, don Antonio Cappellari, don Giuseppe Cargnello, don Lorenzo Dentesano e Christian Romanini. «Ritengo che si stia parlando di uno dei progetti più importanti per la letteratura friulana – ha confermato Fontanini –. Tutti noi abbiamo un debito verso quest’uomo che ha speso la sua vita per il Friuli, la sua gente e la sua cultura. Creare una biblioteca completa con i suoi scritti, le sue interviste e i suoi libri è un dovere che abbiamo sia con Pre Toni sia con la comunità friulana. Tutti infatti devono avere la possibilità di conoscere le sue opere». Il progetto di Glesie furlane prevede l’edizione completa in marilenghe. «Qui non si tratta di essere contro l’italiano – ha commentato Fontanini –, ma di rispettare la volontà di divulgazione della marilenghe di Pre Toni».
23/4/09
Pagina 10 - Cultura e spettacoli
80 MILA EURO PER L’OPERA OMNIA
Dalla Provincia
Con la firma, ieri a palazzo Belgrado, del protocollo d’intesa tra la Provincia di Udine e Glesie furlane, un altro importante passo è stato compiuto nell’impegno – preso solennemente nell’ottobre dello scorso anno dal presidente Fontanini – per la pubblicazione dell’opera omnia di pre Antoni Beline. Il contributo dell’ente intermedio (80 mila euro spalmati su 5 anni) certo non sarà sufficiente a garantire la stampa della cinquantina di opere inserita nel progetto Pre Antoni Beline: un profete pal Friûl di doman, ma è un segno di rinnovata attenzione verso il percorso umano, spirituale e letterario del sacerdote venzonese spentosi due anni fa. Il finanziamento andrà a sostenere la pubblicazione di nove libri: Sul at di voltâ pagjine, Par amôr o par fuarce?, Eutanasie di un Patriarcjât, Amôr di patrie, Fortunât il popul che il Signôr al è il so Diu, Rogazions, Cirint li solmis di Diu – V, Trilogie e De Senectute (inedito e incompiuto che sarà presentato domenica a Venzone). A sottoscrivere il documento, ieri, con il presidente Fontanini c’erano il presidente di Glesie furlane, Giovanni Pietro Biasatti, don Romano Michelotti, don Antonio Cappellari, don Giuseppe Cargnello, don Lorenzo Dentesano e Christian Romanini. «Ritengo che si stia parlando di uno dei progetti più importanti per la letteratura friulana – ha confermato Fontanini –. Tutti noi abbiamo un debito verso quest’uomo che ha speso la sua vita per il Friuli, la sua gente e la sua cultura. Creare una biblioteca completa con i suoi scritti, le sue interviste e i suoi libri è un dovere che abbiamo sia con Pre Toni sia con la comunità friulana. Tutti infatti devono avere la possibilità di conoscere le sue opere». Il progetto di Glesie furlane prevede l’edizione completa in marilenghe. «Qui non si tratta di essere contro l’italiano – ha commentato Fontanini –, ma di rispettare la volontà di divulgazione della marilenghe di Pre Toni».
23/4/09
SECONDO ANNIVERSARIO
GIOVEDÌ, 23 APRILE 2009
Pagina 10 - Cultura e spettacoli
Domenica a Venzone – nel secondo anniversario della scomparsa – si presenta il libro inedito e incompiuto dedicato all’ultima stagione
“De Senectute”, il congedo letterario di pre Bellina
di NICOLA COSSAR
«Con il dolore cresci e maturi, con il bene rischi di rimanere bambino, con tutti i difetti del bambino. Tante volte mi domando se avrei fatto tutto quello che ho fatto se avessi avuto salute. Avrei corso di più, consumato di più, ma forse avrei buttato la vita in maniera stupida. Per questo dico, con le lacrime negli occhi e stringendo i denti: “Grazie Signore, anche della malattia”».
Non c’è neanche il punto, soltanto tanto bianco dopo queste ultime riflessioni lasciate sul computer alle 15.38 del 19 aprile 2007. Pochissimi giorni dopo, il 23, don Antonio Bellina, per tutti per Antoni Beline, sarebbe tornato alla casa del Padre. Non è riuscito a finire quella che sentiva sarebbe stata l’opera del suo congedo terreno e che aveva intitolato De Senectute, un lavoro che ha poco a che spartire con Cicerone ma che invece ferma – con la forza e la schiettezza dell’amatissima lingua friulana – il suo pensiero, la sua fede, il dolore e la suprema accettazione della stagione ultima. Glesie furlane, che si occupa, con grande attenzione e infinito affetto, della pubblicazione dell’intero corpus letterario di pre Toni, ha deciso di darlo alle stampe così, incompiuto nelle sue 112 pagine, perché il senso rimane, il messaggio c’è, chiarissimo, come sempre.
Con questo spirito il libro – primo tomo dell’opera omnia – sarà presentato domenica, alle 18, nel duomo di Venzone, in occasione della messa per ricordare il secondo anniversario della morte (a Basagliapenta, la sua ultima parrocchia, il rito sarà celebrato stasera alle 20). Volume incompiuto si diceva, ma don Bellina ne aveva già delineato la struttura, stendendo l’indice, con questi titoli: Arrivato all’età dei miei avi; Il sentiero ingarbugliato della vita; La mano che mi ha accompagnato; Dalla terra alla luna; Sconvolgimento geografico, culturale, economico, sociale, religioso; Momenti belli; Momenti brutti; Cadere e rialzarsi; Ricordi e rimorsi; Dal dover fare tutto a fare ciò che si riesce; Il dono della fede; Il dono dell’amicizia; Il dono della cultura; La fortuna di appartenere ad una famiglia; La fortuna di appartenere ad un paese; La fortuna di appartenere ad un popolo; La fortuna relativa di appartenere a una chiesa e a un clero; Guardare al passato con orgoglio: Guardare avanti piuttosto che indietro; Mai smettere di progettare; Recuperare l’umanità: Prepararsi al grande viaggio; La vita e la grazia; La morte come il grande volo verso la libertà; Il cielo come definitiva ricomposizione.
Venticinque i capitoli progettati, soltanto sei quelli sviluppati e un settimo appena abbozzato. «Si tratta di una minima parte – scrive nella presentazione, sempre in marilenghe, pre Romano Michelotti –. Anche leggendo i titoli dell’indice, si ha l’idea di quanto interessante e importante fosse l’argomento per tutti noi che viviamo in una società che non accetta di invecchiare, che non vuole prepararsi a dare senso agli ultimi passi della propria vita: brutti segnali di umana insipienza! Leggendo questo inedito si ha la percezione che pre Antoni sentisse di essere arrivato in fondo; il fisico lo stava abbandonando: “Sento che il sole sta tramontando”. Ma si avverte ancora una volta tutto il suo vigore interiore». Racchiuso in poche pagine di poesia e sapienza, contemplazione e ragionamento, fede e calore umano, serenità e malinconia, schiettezza e passione, bibbia e vita. Insomma, pre Beline. Vivo in quelle pagine, e in tutti noi.
23/4/09
Pagina 10 - Cultura e spettacoli
Domenica a Venzone – nel secondo anniversario della scomparsa – si presenta il libro inedito e incompiuto dedicato all’ultima stagione
“De Senectute”, il congedo letterario di pre Bellina
di NICOLA COSSAR
«Con il dolore cresci e maturi, con il bene rischi di rimanere bambino, con tutti i difetti del bambino. Tante volte mi domando se avrei fatto tutto quello che ho fatto se avessi avuto salute. Avrei corso di più, consumato di più, ma forse avrei buttato la vita in maniera stupida. Per questo dico, con le lacrime negli occhi e stringendo i denti: “Grazie Signore, anche della malattia”».
Non c’è neanche il punto, soltanto tanto bianco dopo queste ultime riflessioni lasciate sul computer alle 15.38 del 19 aprile 2007. Pochissimi giorni dopo, il 23, don Antonio Bellina, per tutti per Antoni Beline, sarebbe tornato alla casa del Padre. Non è riuscito a finire quella che sentiva sarebbe stata l’opera del suo congedo terreno e che aveva intitolato De Senectute, un lavoro che ha poco a che spartire con Cicerone ma che invece ferma – con la forza e la schiettezza dell’amatissima lingua friulana – il suo pensiero, la sua fede, il dolore e la suprema accettazione della stagione ultima. Glesie furlane, che si occupa, con grande attenzione e infinito affetto, della pubblicazione dell’intero corpus letterario di pre Toni, ha deciso di darlo alle stampe così, incompiuto nelle sue 112 pagine, perché il senso rimane, il messaggio c’è, chiarissimo, come sempre.
Con questo spirito il libro – primo tomo dell’opera omnia – sarà presentato domenica, alle 18, nel duomo di Venzone, in occasione della messa per ricordare il secondo anniversario della morte (a Basagliapenta, la sua ultima parrocchia, il rito sarà celebrato stasera alle 20). Volume incompiuto si diceva, ma don Bellina ne aveva già delineato la struttura, stendendo l’indice, con questi titoli: Arrivato all’età dei miei avi; Il sentiero ingarbugliato della vita; La mano che mi ha accompagnato; Dalla terra alla luna; Sconvolgimento geografico, culturale, economico, sociale, religioso; Momenti belli; Momenti brutti; Cadere e rialzarsi; Ricordi e rimorsi; Dal dover fare tutto a fare ciò che si riesce; Il dono della fede; Il dono dell’amicizia; Il dono della cultura; La fortuna di appartenere ad una famiglia; La fortuna di appartenere ad un paese; La fortuna di appartenere ad un popolo; La fortuna relativa di appartenere a una chiesa e a un clero; Guardare al passato con orgoglio: Guardare avanti piuttosto che indietro; Mai smettere di progettare; Recuperare l’umanità: Prepararsi al grande viaggio; La vita e la grazia; La morte come il grande volo verso la libertà; Il cielo come definitiva ricomposizione.
Venticinque i capitoli progettati, soltanto sei quelli sviluppati e un settimo appena abbozzato. «Si tratta di una minima parte – scrive nella presentazione, sempre in marilenghe, pre Romano Michelotti –. Anche leggendo i titoli dell’indice, si ha l’idea di quanto interessante e importante fosse l’argomento per tutti noi che viviamo in una società che non accetta di invecchiare, che non vuole prepararsi a dare senso agli ultimi passi della propria vita: brutti segnali di umana insipienza! Leggendo questo inedito si ha la percezione che pre Antoni sentisse di essere arrivato in fondo; il fisico lo stava abbandonando: “Sento che il sole sta tramontando”. Ma si avverte ancora una volta tutto il suo vigore interiore». Racchiuso in poche pagine di poesia e sapienza, contemplazione e ragionamento, fede e calore umano, serenità e malinconia, schiettezza e passione, bibbia e vita. Insomma, pre Beline. Vivo in quelle pagine, e in tutti noi.
23/4/09
GLESIE FURLANE ADUN CENCE PRE TONI BELINE
GLESIE FURLANE ADUN CENCE PRE TONI BELINE
IL SEGRETARI: "UN AT DISPOTIC IL BLOC DAL MESSÂL PAR FURLAN A ROME"
Per prime volte daspò la muart di pre Toni Beline, Glesie Furlane si è metude adun te sô sede simboliche di Vençon. Il diretîf al à confermât tant che Dean Zuan Pieri Biasat e segretari pre Tonin Cjapielâr. Invezit, il gnûf vicepresident di Glesie Furlane al è bonsignôr Roberto Bertossi di Vençon. Da pît de celebrazion in memorie di pre Toni, a son stâts ancje ricuardâts i prossims apontaments: sabide ai 30 di Jugn e sarà une cunvigne a Glemone par rifleti su la opare culturâl di pre Antoni, mintri che domenie ai 15 di Lui Glesie Furlane e celebrarà la messe dai Sants Ermacure e Fortunât te basiliche mari di Aquilee.
Come che al declare il segretari di Glesie Furlane, “i sorestants de Diocesi a vevin imprometût par cheste fieste la presentazion dal Messâl Roman par Furlan, ma i Vescui a rivaran a Aquilee scjassant lis mans. Di fat il messâl al è blocât te segretarie de Conference Episcopâl Taliane (Cei) a Rome. Un at dispotic, une grande injustizie viers la nestre glesie e popul. Glesie Furlane, continuant te memorie e tal spirt di pre Antoni, tradutôr de Bibie e dal Messâl, si impegne a cjaminâ su la strade che lui al à segnade par une gnove glesie plui evangjeliche e pal ben dai furlans”.
29/05/2007
Fonte: http://www.lenghe.net/read_art.php?articles_id=1268&PHPSESSID=f9e38da759373989d9977e3baaf28d15
IL SEGRETARI: "UN AT DISPOTIC IL BLOC DAL MESSÂL PAR FURLAN A ROME"
Per prime volte daspò la muart di pre Toni Beline, Glesie Furlane si è metude adun te sô sede simboliche di Vençon. Il diretîf al à confermât tant che Dean Zuan Pieri Biasat e segretari pre Tonin Cjapielâr. Invezit, il gnûf vicepresident di Glesie Furlane al è bonsignôr Roberto Bertossi di Vençon. Da pît de celebrazion in memorie di pre Toni, a son stâts ancje ricuardâts i prossims apontaments: sabide ai 30 di Jugn e sarà une cunvigne a Glemone par rifleti su la opare culturâl di pre Antoni, mintri che domenie ai 15 di Lui Glesie Furlane e celebrarà la messe dai Sants Ermacure e Fortunât te basiliche mari di Aquilee.
Come che al declare il segretari di Glesie Furlane, “i sorestants de Diocesi a vevin imprometût par cheste fieste la presentazion dal Messâl Roman par Furlan, ma i Vescui a rivaran a Aquilee scjassant lis mans. Di fat il messâl al è blocât te segretarie de Conference Episcopâl Taliane (Cei) a Rome. Un at dispotic, une grande injustizie viers la nestre glesie e popul. Glesie Furlane, continuant te memorie e tal spirt di pre Antoni, tradutôr de Bibie e dal Messâl, si impegne a cjaminâ su la strade che lui al à segnade par une gnove glesie plui evangjeliche e pal ben dai furlans”.
29/05/2007
Fonte: http://www.lenghe.net/read_art.php?articles_id=1268&PHPSESSID=f9e38da759373989d9977e3baaf28d15
lunedì 20 aprile 2009
Il mio viaggio nella malattia
Il mio viaggio nella malattia
Post n°5 pubblicato il 27 Gennaio 2009 da io_sono_qui_oggi
Nel suo "De profundis" il compianto Pre antoni Beline (mancato proprio quest'anno) ha scritto che prima o poi ogniuno di noi si dovrà confrontare con la morte e con la malattia che di solito la precede. E' una realtà a cui nessuno può sfuggire. Ma pre Toni ha scritto anche che non si deve pensare che la malattia sia la cosa peggiore di questo mondo. Spesso è la salute che fa emergere il peggio di noi, come la prepotenza e l'invidia, la bramosia, la violenza. La malattia fa emergere il meglio di noi come la pazienza, la solidarietà, la spiritualità, la sensibilità..An che se ogni malato è povero. Qualche volta di amici, qualche volta di speranza. Però anche ricco di tempo per riflettere, per pregare e per intraprendere quel viaggio lungo e impegnativo verso il suo profondo e ultimo destino. E per ironia della sorte, proprio mentre stavo leggendo il "De Profundis" lo scorso mese di agosto mi è stato diagnosticato e in seguito eradicato dal retto, dopo due delicati interventi chirurgici, un tumore maligno. Durante la mia degenza in ospedale ho riflettuto sul fatto che ogni cultura ha il suo modo di affrontare la malattia, la sofferenza, il dolore. Alla fine il viaggio alla ricerca di una cura risolutiva si trasforma in un viaggio interiore alle radici divine dell'uomo. E' questo che ci comunica Tiziano Terzani nel suo "Un altro giro di giostra" ma lui ci insegna anche che niente succede per caso nelle nostre vite e che la cura di tutte le cure è quella di cambiare punto di vista, di cambiare se stessi e dare in tal modo il proprio contributo alla speranza in un mondo migliore, ma anche ci insegna a credere che i miracoli esistono veramente, solo che ognuno deve essere artefice del proprio.
E leggere "la citta della gioia", il grande romanzo di Dominique La Pierre ha avuto per me l'effetto di un farmaco antidolorifico. Le sofferenze di Hasari Pal (l'uomo cavallo) hanno fatto si che i miei dolori fossero più sopportabili. E ha lenito i miei dolori anche solo il fatto di pensare a tutti gli abitanti della "Città della gioia" una bidonville di Calcutta, vero e proprio inferno di miseria e degradazione, nel quale cercano di sopravvivere in mezzo fame e malattie, tra la merda che scorre a fiumi, ma soprattutto solidali gli uni con gli altri.
Non voglio dilungarmi oltre ne approffittare dell'ospitalità concessami gentilmente dal giornale per esternare e rendere pubblici i soliti ringraziamenti di rito (anche se doverosi), ma vorrei tanto mi fosse consentito qui ricordare la giovane infermiera che, dopo avermi visto in lacrime, accarezzandomi e senza dire una parola, ma con grande slancio di empatia, ha saputo alleviare non solo il mio dolore, ma soprattutto le mie paure e la mia solitudine.
Vorrei tanto citarne il nome , ma preferisco custodirlo nel mio cuore.
Gobbi Claudio
fonte: http://blog.libero.it/ifeellikeawoman/
Post n°5 pubblicato il 27 Gennaio 2009 da io_sono_qui_oggi
Nel suo "De profundis" il compianto Pre antoni Beline (mancato proprio quest'anno) ha scritto che prima o poi ogniuno di noi si dovrà confrontare con la morte e con la malattia che di solito la precede. E' una realtà a cui nessuno può sfuggire. Ma pre Toni ha scritto anche che non si deve pensare che la malattia sia la cosa peggiore di questo mondo. Spesso è la salute che fa emergere il peggio di noi, come la prepotenza e l'invidia, la bramosia, la violenza. La malattia fa emergere il meglio di noi come la pazienza, la solidarietà, la spiritualità, la sensibilità..An che se ogni malato è povero. Qualche volta di amici, qualche volta di speranza. Però anche ricco di tempo per riflettere, per pregare e per intraprendere quel viaggio lungo e impegnativo verso il suo profondo e ultimo destino. E per ironia della sorte, proprio mentre stavo leggendo il "De Profundis" lo scorso mese di agosto mi è stato diagnosticato e in seguito eradicato dal retto, dopo due delicati interventi chirurgici, un tumore maligno. Durante la mia degenza in ospedale ho riflettuto sul fatto che ogni cultura ha il suo modo di affrontare la malattia, la sofferenza, il dolore. Alla fine il viaggio alla ricerca di una cura risolutiva si trasforma in un viaggio interiore alle radici divine dell'uomo. E' questo che ci comunica Tiziano Terzani nel suo "Un altro giro di giostra" ma lui ci insegna anche che niente succede per caso nelle nostre vite e che la cura di tutte le cure è quella di cambiare punto di vista, di cambiare se stessi e dare in tal modo il proprio contributo alla speranza in un mondo migliore, ma anche ci insegna a credere che i miracoli esistono veramente, solo che ognuno deve essere artefice del proprio.
E leggere "la citta della gioia", il grande romanzo di Dominique La Pierre ha avuto per me l'effetto di un farmaco antidolorifico. Le sofferenze di Hasari Pal (l'uomo cavallo) hanno fatto si che i miei dolori fossero più sopportabili. E ha lenito i miei dolori anche solo il fatto di pensare a tutti gli abitanti della "Città della gioia" una bidonville di Calcutta, vero e proprio inferno di miseria e degradazione, nel quale cercano di sopravvivere in mezzo fame e malattie, tra la merda che scorre a fiumi, ma soprattutto solidali gli uni con gli altri.
Non voglio dilungarmi oltre ne approffittare dell'ospitalità concessami gentilmente dal giornale per esternare e rendere pubblici i soliti ringraziamenti di rito (anche se doverosi), ma vorrei tanto mi fosse consentito qui ricordare la giovane infermiera che, dopo avermi visto in lacrime, accarezzandomi e senza dire una parola, ma con grande slancio di empatia, ha saputo alleviare non solo il mio dolore, ma soprattutto le mie paure e la mia solitudine.
Vorrei tanto citarne il nome , ma preferisco custodirlo nel mio cuore.
Gobbi Claudio
fonte: http://blog.libero.it/ifeellikeawoman/
domenica 19 aprile 2009
L' ultima intervista a Pre Toni
L' ultima intervista a Pre Toni
A Ovaro, Lunedì 10 Novembre
alle ore 19,30 presso la chiesa di San Martin
Marino Plazzotta commenterà il libro-intervista
"La fatica di essere prete" di Pre Toni Bellina,
esponente di primissimo piano della cultura friulana.
"Pre Toni ha scritto decine di libri (47 per la precisione), ha collaborato a varie testate giornalistiche (Vita Cattolica, La Patrie dal Friûl, Friuli d'Oggi...), ha affrontato varie tematiche (religione, società, scuola, formazione umana, politica, identità friulana...).
Ha tradotto in friulano la Bibbia: già questo fatto lo rende grande e unico nella storia del Friuli!
Ha coordinato e lavorato tantissimo alla stesura del Nuovo Messale in friulano che attende ancora l'imprimatur della CEI.
Molti amici ed estimatori avevano variamente sollecitato la LAUREA HONORIS CAUSA per questo grande scrittore, ignorato dalle èlite ecclesiastiche e accademiche, dalle grandi case editrici, dai giornali locali, dall'establishement culturale: ora è tardi e la laurea potranno dargliela solo IN MEMORIAM.
Davvero una vergogna, una scandalosa vergogna! Ora molti si affretteranno ad esaltarlo, a riempirsi la bocca di lui... Biât pre Toni, tanche il purcit (absit jniuria verbis): bon nome dopo muart!
TUTTA la sua vastissima produzione letteraria è stata scritta in MARILENGHE (in friulano), tutte le sue interviste sono state rilasciate in friulano, tutto il suo parlare e il suo pensare è sempre stato in friulano, un friulano agile, scopiettante, fluente, ironico, aderente al concetto espresso; mai avrebbe accettato di parlare o di scrivere non in friulano, mai avrebbe accettato di tenere una predica non in friulano..."
http://croncachedicarnia.splinder.com/post/18994020/L%27+ultima+intervista+a+Pre+Ton
IL MALESSERE DEI GIOVANI
IL MALESSERE DEI GIOVANI di pre toni beline
Dico la verità.
Ogni volta che la televisione e i mezzi di comunicazione parlano dei giovani mi viene un tonfo cuore perché sicuramente, tre volte su quattro, hanno commesso qualche cosa di grave.
Anche se le notizie di cronaca nera che ci vengono riversate nelle case via etere sono talmente grandi che non si riesce né a ricordarle né tanto meno a riflettere, non si può dimenticare le violenze, gli atti delittuosi, le assurdità che capitano in un campo di gioco o sugli spalti quando le tifoserie di due città o di due squadre antagoniste si scontrano. Lo spettacolo è uno dei più deprimenti e il terreno di gioco è ridotto ad un campo di battaglia.
Tutto distrutto, tutto rovinato.
E quando mostrano le scene delle ultras che si bastonano fra di loro oppure assalgono le forze dell’ordine ti rammenta i momenti più duri di una dittatura.
Eppure siamo in piena libertà o democrazia al limite dell’anarchia.
Il caso dell’ispettore di Catania di trent’otto anni ucciso da un ragazzo di diciasette, il solito bravo ragazzo che non farebbe del male neanche ad una mosca, è inquietante. Se i bravi ragazzi sono così chissà come saranno quelli che invece non lo sono? Se a diciassette anni si ha questa carica di violenza che cosa ne sarà a trenta o a quaranta? Se si presentano nella primavera della vita in questo modo come sarà nella maturità?
Ho menzionato il calcio perché è uno sport nazional-popolare che coinvolge e conoscono tutti.
Ma sarebbe da aggiungere, senza nessuna ambizione di essere esaustivo, i tafferugli che nascono fuori della discoteche, nei rioni delle città come Napoli, Palermo, Bari e altre di vecchia e nuova manovalanza; là dove per uno sguardo di troppo, per un complimento pesante, per una graffiatura alla moto o alla macchina ti scappa il morto.
E il giorno dopo tutti in Chiesa a piangere e ad applaudire e a chiedere l’aiuto allo Stato per dopo contrastarlo e ostacolare le indagini e il lavoro ogni volta che si presenta l’occasione.
E le violenze in famiglia con i figli che diventano degli assassini lucidi e impietosi?
E il mondo della prostituzione e della droga?
Ma veramente la seconda o terza generazione venuta alla luce dalla nostra, che aveva provato sulla propria pelle la fame, la paura, la mancanza del lavoro, la mancanza di tutto è ridotta in questa condizione? E perché? Ma soprattutto cosa si può fare?
In primo luogo mi permetterei di non cadere nella banalità della generalizzazione la dove parte con il criminalizzare e termina poi con l’assoluzione di tutti.
Poiché non è vero che tutti sono ammalati, bacati, violenti e negativi.
Tralasciando il proprio figlio, che per i genitori di oggi, contrariamente ai nostri, è sempre il più buono, il più bravo, il più innocente, il più onesto, si trovano anche oggi e forse più di ieri ragazzi e ragazze sensibili al volontariato, ai problemi mondiali della pace e della tutela dell’ambiente con tutte le contraddizioni tipiche di questa età splendida e problematica. Ciò che più mi fa riflettere è che il ragazzo d’oggi preso singolarmente è piuttosto pauroso, taciturno e riservato.
Si sta ripetendo con i ragazzi quello che i romani dicevano dei loro rappresentanti: “ Senatores boni viri, senatus autem mala bestia” . i senatori sono uno meglio dell’altro ma il senato è un letamaio.
Infatti tante, troppe volte i ragazzi si lasciano coinvolgere dalla violenza del gruppo dove sfogano tutte le loro frustrazioni ed inibizioni e sembra loro di essere finalmente liberi, mentre invece sono schiavi del gruppo, solitamente nelle mani del più prepotente.
I ragazzi, come tutti noi respirano l’aria dell’ambiente che li avvolge compreso l’inquinamento culturale, sociale, psicologico e quant’altro. Il clima di oggi, a differenza di quello del passato, schiaccia il buono e premia invece il prepotente. Un giovane deve andare in giro con le toppe nei pantaloni, con i pearcing, con i tatuaggi, con un atteggiamento volgare, deve bestemmiare, aggredire il prossimo per non essere considerato uno debole. Uno sfigato.Alla nostra epoca emergeva il ritratto del bravo ragazzo anche se tale non era. Adesso per il momento vince il ritratto della prevaricazione anche se sono diversi da quello che vogliono apparire.
Ho toccato la questione dell’apparire e dunque della televisione che è un altro argomento doloroso, non per il fatto che la televisione sia opera del demonio ma semplicemente per il fatto che è utilizzata male sia da quelli che la fanno sia da quelli che la guardano. È diventata la bibbia di oggi il nuovo trattato di educazione e maleducazione, la strada obbligata per avere successo ad ogni costo, l’unico parametro fra il tutto e il niente. E tanti ragazzi hanno la bramosia di andare a finire lì, magari anche nella cronaca nera ma l’importante è finire lì. Forse perché non esiste reale all’infuori del virtuale e questa è una grande tragedia oltre che una fandonia.
Qualcuno, parlando del malessere dei ragazzi fa un paragone con le stagioni atmosferiche: come non esistono le stagioni atmosferiche, così non esistono più le stagioni della vita ma abbiamo giovani vecchi e vecchi giovani, vecchi rivoluzionari e giovani scialbi. Dunque sembrerebbe di capire che non è tanto, o solo, ammalata la stagione della gioventù ma l’ affezione di questa stagione faccia parte di un malessere generale, di una confusione, contraddizione, schizofrenia generalizzata. Questo potrebbe avere anche una sua logica ma non deve diventare un alibi per non dare alla gioventù i suoi meriti e le proprie responsabilità. Sicuramente, su questo malessere morale e psicologico, va ad incidere la precarietà cronicizzata dei ragazzi, l’impossibilità concreta di realizzarsi, il fatto di rimanere in famiglia, eterni bamboccioni, non solo per comodità ma perché non hanno alternativa con la evidente sensazione di frustrazione pronta ad esplodere.Si può aggiungere la mancanza di valori, di riferimento validi e precisi, la scarsità di modelli positivi l’esempio cinico e amorale che ci viene dato dalla stragrande maggioranza del mondo politico ed economico. Non avendo ideali, non avendo prospettive, non avendo sogni e progetti è evidente che vivono alla giornata imitando più le galline nel loro razzolare piuttosto che le aquile nel loro volo libero e liberante: sono senza ali, senza stimoli, senza anima.
Che ci piaccia o no la gioventù di oggi è il ritratto della nostra anima ammalata e materialista; è il risultato della nostra inesistente o scarsa semina. Il fatto di aver fallito con i giovani, giovani intesi come investimento per il futuro,ci fa capire quanto poco lungimiranti, saggi, intelligenti siamo stati. Abbiamo costruito una reggia su un piedistallo di argilla che da un momento all’altro franerà, in quanto c’è l’assenza delle fondamenta basate sull’etica, sulla cultura e sulla spiritualità. Ai nostri ragazzi, nel loro relativo benessere è mancato forse l’aspetto più prezioso della vita: la fame, la voglia, la speranza ha lasciato posto all’assuefazione, alla noia, alla demotivazione da riempire ad ogni costo con il nulla.Per questo motivo vanno capiti, aiutati, amati con grande attenzione, comprensione e soprattutto con esempi, modelli positivi.
TRATTO DA “IL DONO” N° 1/ 2007- Periodico dell’AFDS –Associazione Friulana Donatori Sangue. TRADUZIONE DAL FRIULANO A CURA DI STEFANIA DEREANI.
Fonte: http://www.viverearagogna.it/pagine/articoli/ragognaoggi147.html
Dico la verità.
Ogni volta che la televisione e i mezzi di comunicazione parlano dei giovani mi viene un tonfo cuore perché sicuramente, tre volte su quattro, hanno commesso qualche cosa di grave.
Anche se le notizie di cronaca nera che ci vengono riversate nelle case via etere sono talmente grandi che non si riesce né a ricordarle né tanto meno a riflettere, non si può dimenticare le violenze, gli atti delittuosi, le assurdità che capitano in un campo di gioco o sugli spalti quando le tifoserie di due città o di due squadre antagoniste si scontrano. Lo spettacolo è uno dei più deprimenti e il terreno di gioco è ridotto ad un campo di battaglia.
Tutto distrutto, tutto rovinato.
E quando mostrano le scene delle ultras che si bastonano fra di loro oppure assalgono le forze dell’ordine ti rammenta i momenti più duri di una dittatura.
Eppure siamo in piena libertà o democrazia al limite dell’anarchia.
Il caso dell’ispettore di Catania di trent’otto anni ucciso da un ragazzo di diciasette, il solito bravo ragazzo che non farebbe del male neanche ad una mosca, è inquietante. Se i bravi ragazzi sono così chissà come saranno quelli che invece non lo sono? Se a diciassette anni si ha questa carica di violenza che cosa ne sarà a trenta o a quaranta? Se si presentano nella primavera della vita in questo modo come sarà nella maturità?
Ho menzionato il calcio perché è uno sport nazional-popolare che coinvolge e conoscono tutti.
Ma sarebbe da aggiungere, senza nessuna ambizione di essere esaustivo, i tafferugli che nascono fuori della discoteche, nei rioni delle città come Napoli, Palermo, Bari e altre di vecchia e nuova manovalanza; là dove per uno sguardo di troppo, per un complimento pesante, per una graffiatura alla moto o alla macchina ti scappa il morto.
E il giorno dopo tutti in Chiesa a piangere e ad applaudire e a chiedere l’aiuto allo Stato per dopo contrastarlo e ostacolare le indagini e il lavoro ogni volta che si presenta l’occasione.
E le violenze in famiglia con i figli che diventano degli assassini lucidi e impietosi?
E il mondo della prostituzione e della droga?
Ma veramente la seconda o terza generazione venuta alla luce dalla nostra, che aveva provato sulla propria pelle la fame, la paura, la mancanza del lavoro, la mancanza di tutto è ridotta in questa condizione? E perché? Ma soprattutto cosa si può fare?
In primo luogo mi permetterei di non cadere nella banalità della generalizzazione la dove parte con il criminalizzare e termina poi con l’assoluzione di tutti.
Poiché non è vero che tutti sono ammalati, bacati, violenti e negativi.
Tralasciando il proprio figlio, che per i genitori di oggi, contrariamente ai nostri, è sempre il più buono, il più bravo, il più innocente, il più onesto, si trovano anche oggi e forse più di ieri ragazzi e ragazze sensibili al volontariato, ai problemi mondiali della pace e della tutela dell’ambiente con tutte le contraddizioni tipiche di questa età splendida e problematica. Ciò che più mi fa riflettere è che il ragazzo d’oggi preso singolarmente è piuttosto pauroso, taciturno e riservato.
Si sta ripetendo con i ragazzi quello che i romani dicevano dei loro rappresentanti: “ Senatores boni viri, senatus autem mala bestia” . i senatori sono uno meglio dell’altro ma il senato è un letamaio.
Infatti tante, troppe volte i ragazzi si lasciano coinvolgere dalla violenza del gruppo dove sfogano tutte le loro frustrazioni ed inibizioni e sembra loro di essere finalmente liberi, mentre invece sono schiavi del gruppo, solitamente nelle mani del più prepotente.
I ragazzi, come tutti noi respirano l’aria dell’ambiente che li avvolge compreso l’inquinamento culturale, sociale, psicologico e quant’altro. Il clima di oggi, a differenza di quello del passato, schiaccia il buono e premia invece il prepotente. Un giovane deve andare in giro con le toppe nei pantaloni, con i pearcing, con i tatuaggi, con un atteggiamento volgare, deve bestemmiare, aggredire il prossimo per non essere considerato uno debole. Uno sfigato.Alla nostra epoca emergeva il ritratto del bravo ragazzo anche se tale non era. Adesso per il momento vince il ritratto della prevaricazione anche se sono diversi da quello che vogliono apparire.
Ho toccato la questione dell’apparire e dunque della televisione che è un altro argomento doloroso, non per il fatto che la televisione sia opera del demonio ma semplicemente per il fatto che è utilizzata male sia da quelli che la fanno sia da quelli che la guardano. È diventata la bibbia di oggi il nuovo trattato di educazione e maleducazione, la strada obbligata per avere successo ad ogni costo, l’unico parametro fra il tutto e il niente. E tanti ragazzi hanno la bramosia di andare a finire lì, magari anche nella cronaca nera ma l’importante è finire lì. Forse perché non esiste reale all’infuori del virtuale e questa è una grande tragedia oltre che una fandonia.
Qualcuno, parlando del malessere dei ragazzi fa un paragone con le stagioni atmosferiche: come non esistono le stagioni atmosferiche, così non esistono più le stagioni della vita ma abbiamo giovani vecchi e vecchi giovani, vecchi rivoluzionari e giovani scialbi. Dunque sembrerebbe di capire che non è tanto, o solo, ammalata la stagione della gioventù ma l’ affezione di questa stagione faccia parte di un malessere generale, di una confusione, contraddizione, schizofrenia generalizzata. Questo potrebbe avere anche una sua logica ma non deve diventare un alibi per non dare alla gioventù i suoi meriti e le proprie responsabilità. Sicuramente, su questo malessere morale e psicologico, va ad incidere la precarietà cronicizzata dei ragazzi, l’impossibilità concreta di realizzarsi, il fatto di rimanere in famiglia, eterni bamboccioni, non solo per comodità ma perché non hanno alternativa con la evidente sensazione di frustrazione pronta ad esplodere.Si può aggiungere la mancanza di valori, di riferimento validi e precisi, la scarsità di modelli positivi l’esempio cinico e amorale che ci viene dato dalla stragrande maggioranza del mondo politico ed economico. Non avendo ideali, non avendo prospettive, non avendo sogni e progetti è evidente che vivono alla giornata imitando più le galline nel loro razzolare piuttosto che le aquile nel loro volo libero e liberante: sono senza ali, senza stimoli, senza anima.
Che ci piaccia o no la gioventù di oggi è il ritratto della nostra anima ammalata e materialista; è il risultato della nostra inesistente o scarsa semina. Il fatto di aver fallito con i giovani, giovani intesi come investimento per il futuro,ci fa capire quanto poco lungimiranti, saggi, intelligenti siamo stati. Abbiamo costruito una reggia su un piedistallo di argilla che da un momento all’altro franerà, in quanto c’è l’assenza delle fondamenta basate sull’etica, sulla cultura e sulla spiritualità. Ai nostri ragazzi, nel loro relativo benessere è mancato forse l’aspetto più prezioso della vita: la fame, la voglia, la speranza ha lasciato posto all’assuefazione, alla noia, alla demotivazione da riempire ad ogni costo con il nulla.Per questo motivo vanno capiti, aiutati, amati con grande attenzione, comprensione e soprattutto con esempi, modelli positivi.
TRATTO DA “IL DONO” N° 1/ 2007- Periodico dell’AFDS –Associazione Friulana Donatori Sangue. TRADUZIONE DAL FRIULANO A CURA DI STEFANIA DEREANI.
Fonte: http://www.viverearagogna.it/pagine/articoli/ragognaoggi147.html
La AFDS par furlan
La AFDS par furlan
A un an de muart di pre Toni Beline la AFDS e à publicât un libri cun lis sôs riflessions, pinsîrs che lui al scriveve su la riviste il “Dono”. Come che nus dîs te prefazion Renzo Peressoni “Te nestre associazion o sin usâts a dî che, tra i valôrs che plui a dan un sburt a un desideri tant grant di donâ sanc, al sedi il jessi leâts in maniere profonde a la nestre tiere, a la sô vere tradizion, a chel che i dâ origjinalitât culturâl. Pre Antoni Beline di cheste furlanetât al jere il naturâl puarte bandiere parcè che e je i à savût dâ il miôr di se come om, come scritôr e come studiôs e naturalmentri come predi stant che l’amôr pe nestre tiere al à components sacrâi une vore fuarts.”
Il libri al è stât presentât in ocasion dal congrès nazionâl e par difondi in dute Italie i principis e i valôrs di pre Toni al è stât voltât ancje par talian di pre Romano Michelot che al à curât la selezion dai articui. La semence plantade di pre Antoni no je muarte di bant: ancje se cumò lui nol pues plui puartâ indevant la rubriche, la riviste il Dono e continue a presentâ la pagjine par furlan, che cumò si clame apont “Friûl”.
Venusia Dominici
13/06/2008
fonte: http://www.lapatriedalfriul.org/?p=202
A un an de muart di pre Toni Beline la AFDS e à publicât un libri cun lis sôs riflessions, pinsîrs che lui al scriveve su la riviste il “Dono”. Come che nus dîs te prefazion Renzo Peressoni “Te nestre associazion o sin usâts a dî che, tra i valôrs che plui a dan un sburt a un desideri tant grant di donâ sanc, al sedi il jessi leâts in maniere profonde a la nestre tiere, a la sô vere tradizion, a chel che i dâ origjinalitât culturâl. Pre Antoni Beline di cheste furlanetât al jere il naturâl puarte bandiere parcè che e je i à savût dâ il miôr di se come om, come scritôr e come studiôs e naturalmentri come predi stant che l’amôr pe nestre tiere al à components sacrâi une vore fuarts.”
Il libri al è stât presentât in ocasion dal congrès nazionâl e par difondi in dute Italie i principis e i valôrs di pre Toni al è stât voltât ancje par talian di pre Romano Michelot che al à curât la selezion dai articui. La semence plantade di pre Antoni no je muarte di bant: ancje se cumò lui nol pues plui puartâ indevant la rubriche, la riviste il Dono e continue a presentâ la pagjine par furlan, che cumò si clame apont “Friûl”.
Venusia Dominici
13/06/2008
fonte: http://www.lapatriedalfriul.org/?p=202
sacerdote e intellettuale friulano
incontro giovedì 22 maggio a palazzo Antonini
Pietrantonio Bellina, sacerdote e intellettuale friulano
A un anno dalla scomparsa Ateneo e Glesie furlane
ricordano la figura e l’opera di pre Antoni
Sacerdote, insegnante, scrittore, giornalista e traduttore, Pietrantonio Bellina (Venzone, 1941 – Basiliano, 2007) è stato uno dei maggiori protagonisti della vita culturale friulana degli ultimi decenni. A un anno dalla scomparsa dell’autore della traduzione integrale in friulano della Bibbia, la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Udine e Glesie furlane organizzano il convegno “Pietrantonio Bellina, sacerdote e intellettuale friulano” in programma giovedì 22 maggio, dalle 9.30, nella sala Convegni di Palazzo Antonini, in via Petracco 8 a Udine.
I lavori saranno aperti dall’intervento del preside della facoltà di Scienze della formazione, Franco Fabbro. Seguiranno le relazioni che delineeranno la personalità e il percorso spirituale, culturale e professionale di pre Antoni. Roberto Dapit, docente di Antropologia e storia del Friuli all’Università di Udine, spiegherà perché l’Ateneo intendeva conferire a Bellina la laurea honoris causa in Scienze della formazione primaria. Lo storico Remo Cacitti illustrerà poi il percorso spirituale del sacerdote nell’intervento “Dalla Pieve alla paroikia: l’itinerario cristiano di don Pietrantonio Bellina”. Il biblista Rinaldo Fabris parlerà della “Parola di Dio nella lingua degli uomini”, mentre il giornalista Federico Rossi terrà una relazione dal titolo “Autonomia, percorso di libertà”.
«La divulgazione culturale e linguistica – spiega Roberto Dapit – realizzata attraverso l’ampia opera letteraria, in particolare la traduzione del testo biblico in friulano, è l’attività di insegnante che ha intuito il valore di una scuola in armonia con il territorio hanno motivato la proposta di conferire la laurea honoris causa a Pietrantonio Bellina».
Considerato uno dei maggiori scrittori in lingua friulana, Pietrantonio Bellina è stato ordinato sacerdote nel 1965. Dal 1968 al 1985 ha svolto l’attività di insegnante nella scuola primaria e superiore. La sua produzione letteraria comprende un ampio numero di opere. Molto numerosi anche i contributi minori: pubblicazioni di conferenze e interventi, articoli in giornali, periodici e miscellanee. Nel 1981 e nel 1999 ha ricevuto il premio letterario San Simon, nel 2000 il Premio Epifania. Dal 1979 al 1988 e poi dal 1997 è stato direttore del mensile “La Patrie dal Friûl”. Dal 1994 ha curato per il settimanale “La Vita Cattolica” la rubrica Cirint lis olmis di Diu (Cercando le orme di Dio). La produzione letteraria tocca questioni storiche e politiche, espresse prevalentemente nella stampa periodica, o socioantropologiche, nella saggistica, e riflessioni religiose e teologiche. Molto importante e feconda anche la sua attività di traduzione: dalle fiabe di Fedro alle opere di Esopo, La Fontaine e Collodi. La traduzione in assoluto più importante è la versione integrale della Bibbia in friulano: un’opera di elevata qualità e di incomparabile valore simbolico che consente una più capillare diffusione della lingua letteraria nella vita sociale oltre che religiosa del Friuli. La Bibiee altri scritti dell’Autore sono disponibili anche su internet.
16/05/2008
Fpnte: http://qui.uniud.it/notizieEventi/ateneo/articolo.2008-05-16.7942973547
Pietrantonio Bellina, sacerdote e intellettuale friulano
A un anno dalla scomparsa Ateneo e Glesie furlane
ricordano la figura e l’opera di pre Antoni
Sacerdote, insegnante, scrittore, giornalista e traduttore, Pietrantonio Bellina (Venzone, 1941 – Basiliano, 2007) è stato uno dei maggiori protagonisti della vita culturale friulana degli ultimi decenni. A un anno dalla scomparsa dell’autore della traduzione integrale in friulano della Bibbia, la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Udine e Glesie furlane organizzano il convegno “Pietrantonio Bellina, sacerdote e intellettuale friulano” in programma giovedì 22 maggio, dalle 9.30, nella sala Convegni di Palazzo Antonini, in via Petracco 8 a Udine.
I lavori saranno aperti dall’intervento del preside della facoltà di Scienze della formazione, Franco Fabbro. Seguiranno le relazioni che delineeranno la personalità e il percorso spirituale, culturale e professionale di pre Antoni. Roberto Dapit, docente di Antropologia e storia del Friuli all’Università di Udine, spiegherà perché l’Ateneo intendeva conferire a Bellina la laurea honoris causa in Scienze della formazione primaria. Lo storico Remo Cacitti illustrerà poi il percorso spirituale del sacerdote nell’intervento “Dalla Pieve alla paroikia: l’itinerario cristiano di don Pietrantonio Bellina”. Il biblista Rinaldo Fabris parlerà della “Parola di Dio nella lingua degli uomini”, mentre il giornalista Federico Rossi terrà una relazione dal titolo “Autonomia, percorso di libertà”.
«La divulgazione culturale e linguistica – spiega Roberto Dapit – realizzata attraverso l’ampia opera letteraria, in particolare la traduzione del testo biblico in friulano, è l’attività di insegnante che ha intuito il valore di una scuola in armonia con il territorio hanno motivato la proposta di conferire la laurea honoris causa a Pietrantonio Bellina».
Considerato uno dei maggiori scrittori in lingua friulana, Pietrantonio Bellina è stato ordinato sacerdote nel 1965. Dal 1968 al 1985 ha svolto l’attività di insegnante nella scuola primaria e superiore. La sua produzione letteraria comprende un ampio numero di opere. Molto numerosi anche i contributi minori: pubblicazioni di conferenze e interventi, articoli in giornali, periodici e miscellanee. Nel 1981 e nel 1999 ha ricevuto il premio letterario San Simon, nel 2000 il Premio Epifania. Dal 1979 al 1988 e poi dal 1997 è stato direttore del mensile “La Patrie dal Friûl”. Dal 1994 ha curato per il settimanale “La Vita Cattolica” la rubrica Cirint lis olmis di Diu (Cercando le orme di Dio). La produzione letteraria tocca questioni storiche e politiche, espresse prevalentemente nella stampa periodica, o socioantropologiche, nella saggistica, e riflessioni religiose e teologiche. Molto importante e feconda anche la sua attività di traduzione: dalle fiabe di Fedro alle opere di Esopo, La Fontaine e Collodi. La traduzione in assoluto più importante è la versione integrale della Bibbia in friulano: un’opera di elevata qualità e di incomparabile valore simbolico che consente una più capillare diffusione della lingua letteraria nella vita sociale oltre che religiosa del Friuli. La Bibiee altri scritti dell’Autore sono disponibili anche su internet.
16/05/2008
Fpnte: http://qui.uniud.it/notizieEventi/ateneo/articolo.2008-05-16.7942973547
Vivere la Memoria
Vivere la Memoria
(Pierluigi Dipiazza - Messaggero Veneto del 23/04/2008)
Vivere le memorie è fondamentale per la nostra esperienza personale, per quella della comunità di fede, della società, delle istituzioni e della politica.
Il 23 aprile dello scorso anno è morto pre Toni Bellina, profeta del Friuli, sulla piazzetta accanto alla chiesa di Basagliapenta dov'era parroco. Viverne la memoria significa riflettere, pregare, tenere vivo e riproporre il suo insegnamento di uomo e di prete fedele al Vangelo e alle persone. Il ricordo per sempre riconoscente per lo straordinario impegno di traduzione della Bibbia in lingua friulana non dovrebbe mettere in qualche modo in secondo piano le sue parole e i suoi numerosi scritti, che comunicano una fede inquieta e profonda che assume dubbi e interrogativi e vibra della confidenza e dell'affidamento al Signore.
Proprio a partire dalla Bibbia, pre Toni ha letto la vita e la storia, il potere e il denaro, il consumismo e il conformismo, le armi e la guerra, la Chiesa dalla parte degli umili, dei poveri, dei sofferenti, degli scartati dalla logica di questo mondo, cogliendo in loro, assieme al dolore e alle fatiche, la fede e la sapienza del cuore che emergono dal basso. La malattia e il dolore fisico, sperimentati per lunghi anni, in modo particolare nell'ultimo periodo della vita, e la solitudine e l'amarezza per l'incomprensione vissuti nella società e nella Chiesa hanno contribuito via via alla sua essenzialità, all'entrata nel "segreto delle cose", nella profondità dell'anima proprio nel rapporto tra fede e storia, Vangelo e vita, uomo e Dio, vita presente e ulteriorità della stessa nel mistero di Dio. È da questa essenzialità che è venuta la sua critica agli aspetti della società, delle istituzioni, della politica, della Chiesa lontani dalla storia delle persone, dalle loro sofferenze, dalle loro attese e speranze. Un uomo e un prete libero, per questo ancor oggi "temuto" se, per esempio, si continua a censurare il suo libro La fabriche dai predis, in una logica che pretende di nascondere invece di favorire occasioni di analisi, di confronto, di dialogo, dimenticando che il Vangelo stesso ci esorta a cercare con coraggio la verità, perché solo «la verità ci rende liberi».
Il giorno prima di morire, pre Toni nella celebrazione serale dell'Eucarestia aveva comunicato l'ideale e l'esperienza di una Chiesa profetica libera, fedele, coerente, svincolata dal potere del denaro, dell'apparenza e del militarismo; una Chiesa del Vangelo, ricca di fede e di umanità, a partire da quella che vive in Friuli, per contribuire a comunità più libere e autentiche. Pre Toni mi diceva che io guardo troppo al mondo e meno al Friuli; gli rispondevo che la sua attenzione particolare al Friuli e la mia al mondo potevano contribuire a quella visione che lega ormai inscindibilmente le nostre comunità locali a quelle di tutto il pianeta. Qualche anno fa ne avevamo riflettuto pubblicamente insieme nel pomeriggio di una domenica a Venzone. Per me la memoria di pre Toni è viva e significativa; lo sento compagno di fede nel cammino quotidiano.
Il 25 aprile di 16 anni fa, nel 1992, a seguito di un incidente stradale, morì padre Ernesto Balducci, al quale nel settembre successivo abbiamo dedicato il Centro di accoglienza per persone immigrate e di promozione culturale di Zugliano. Figlio di una famiglia povera - il padre era minatore -di Santa Fiora, alle pendici del monte Amiata, dove ora è sepolto, è stata una delle figure profetiche dell'Italia dagli anni 60 agli anni 90, da quando nel 1963 è stato condannato dal Tribunale di Firenze per aver difeso la scelta dell'obiezione di coscienza al servizio militare. Uomo e prete di profonda intelligenza, ha vissuto il passaggio dalla sacralità alla laicità, dalla fede ideologica alla Parola profetica del Vangelo annunciata e vissuta nella celebrazione dell'Eucarestia e come vincolo di fedeltà e coerenza nell'impegno nella storia per contribuire a un'umanità di giustizia e di pace. Studioso, infaticabile scrittore e comunicatore in tutti i luoghi d'Italia, padre Ernesto continua a insegnarci che il vero Dio pur intuito, creduto, pregato, è ancora nascosto e mai può essere identificato con i nostri concetti su di lui né con le nostre liturgie. Ragionevolmente fiducioso nelle possibilità di bene dell'essere umano, si è impegnato per diffondere una cultura della pace, opponendosi in nome della ragione all'irrazionalità delle armi e delle guerre. Continuamente attento alle condizioni di impoverimento di gran parte dell'umanità e alle responsabilità del nostro mondo per questa situazione, specialmente negli ultimi anni, ha approfondito la riflessione sul rapporto con la diversità culturale e religiosa dell'altro. Sulla pietra della tomba è riportata una sua frase pregnante di significati profetici, spirituali e storici: «Gli uomini del futuro o saranno uomini di pace o non saranno», nella duplice accezione: non ci saranno più perché distruggeranno la loro vita e quella degli altri esseri viventi. Non ci saranno più perché non saranno degni di essere considerati umani perché avranno tralasciato il compito di costruire la pace. Nel cimitero di Santa Fiora la tomba è collocata accanto a quella di 23 suoi coetanei, alcuni compagni di banco fucilati dai nazisti nel 1944. Padre Ernesto attivando la memoria viva del loro martirio si chiedeva cosa facciamo noi, oggi, per non tradirla. Vivere la memoria del 25 aprile oggi significa impegnarci in una liberazione continua: dall'ingiustizia, dalla fame, dalle armi, dalle guerre, dalle diverse forme di terrorismo, dall'illegalità e dalla corruzione, dal razzismo di diversa specie, dalla distruzione dell'ambiente e dal materialismo.
Mi pare che possiamo rapportare in modo molto profondo e significativo la memoria di pre Toni Bellina, di padre Ernesto Balducci e di tutte le donne e gli uomini andati incontro alla morte per un paese in cui libertà, giustizia, legalità, democrazia siano praticati: e questo legame è la fedeltà al vero, il fastidio morale per ogni forma di disumanità, la coerenza, il coraggio, la dedizione e l'impegno per il bene comune.
Tratto da: http://www.natisone.it/messe/archivio/messe389.htm
(Pierluigi Dipiazza - Messaggero Veneto del 23/04/2008)
Vivere le memorie è fondamentale per la nostra esperienza personale, per quella della comunità di fede, della società, delle istituzioni e della politica.
Il 23 aprile dello scorso anno è morto pre Toni Bellina, profeta del Friuli, sulla piazzetta accanto alla chiesa di Basagliapenta dov'era parroco. Viverne la memoria significa riflettere, pregare, tenere vivo e riproporre il suo insegnamento di uomo e di prete fedele al Vangelo e alle persone. Il ricordo per sempre riconoscente per lo straordinario impegno di traduzione della Bibbia in lingua friulana non dovrebbe mettere in qualche modo in secondo piano le sue parole e i suoi numerosi scritti, che comunicano una fede inquieta e profonda che assume dubbi e interrogativi e vibra della confidenza e dell'affidamento al Signore.
Proprio a partire dalla Bibbia, pre Toni ha letto la vita e la storia, il potere e il denaro, il consumismo e il conformismo, le armi e la guerra, la Chiesa dalla parte degli umili, dei poveri, dei sofferenti, degli scartati dalla logica di questo mondo, cogliendo in loro, assieme al dolore e alle fatiche, la fede e la sapienza del cuore che emergono dal basso. La malattia e il dolore fisico, sperimentati per lunghi anni, in modo particolare nell'ultimo periodo della vita, e la solitudine e l'amarezza per l'incomprensione vissuti nella società e nella Chiesa hanno contribuito via via alla sua essenzialità, all'entrata nel "segreto delle cose", nella profondità dell'anima proprio nel rapporto tra fede e storia, Vangelo e vita, uomo e Dio, vita presente e ulteriorità della stessa nel mistero di Dio. È da questa essenzialità che è venuta la sua critica agli aspetti della società, delle istituzioni, della politica, della Chiesa lontani dalla storia delle persone, dalle loro sofferenze, dalle loro attese e speranze. Un uomo e un prete libero, per questo ancor oggi "temuto" se, per esempio, si continua a censurare il suo libro La fabriche dai predis, in una logica che pretende di nascondere invece di favorire occasioni di analisi, di confronto, di dialogo, dimenticando che il Vangelo stesso ci esorta a cercare con coraggio la verità, perché solo «la verità ci rende liberi».
Il giorno prima di morire, pre Toni nella celebrazione serale dell'Eucarestia aveva comunicato l'ideale e l'esperienza di una Chiesa profetica libera, fedele, coerente, svincolata dal potere del denaro, dell'apparenza e del militarismo; una Chiesa del Vangelo, ricca di fede e di umanità, a partire da quella che vive in Friuli, per contribuire a comunità più libere e autentiche. Pre Toni mi diceva che io guardo troppo al mondo e meno al Friuli; gli rispondevo che la sua attenzione particolare al Friuli e la mia al mondo potevano contribuire a quella visione che lega ormai inscindibilmente le nostre comunità locali a quelle di tutto il pianeta. Qualche anno fa ne avevamo riflettuto pubblicamente insieme nel pomeriggio di una domenica a Venzone. Per me la memoria di pre Toni è viva e significativa; lo sento compagno di fede nel cammino quotidiano.
Il 25 aprile di 16 anni fa, nel 1992, a seguito di un incidente stradale, morì padre Ernesto Balducci, al quale nel settembre successivo abbiamo dedicato il Centro di accoglienza per persone immigrate e di promozione culturale di Zugliano. Figlio di una famiglia povera - il padre era minatore -di Santa Fiora, alle pendici del monte Amiata, dove ora è sepolto, è stata una delle figure profetiche dell'Italia dagli anni 60 agli anni 90, da quando nel 1963 è stato condannato dal Tribunale di Firenze per aver difeso la scelta dell'obiezione di coscienza al servizio militare. Uomo e prete di profonda intelligenza, ha vissuto il passaggio dalla sacralità alla laicità, dalla fede ideologica alla Parola profetica del Vangelo annunciata e vissuta nella celebrazione dell'Eucarestia e come vincolo di fedeltà e coerenza nell'impegno nella storia per contribuire a un'umanità di giustizia e di pace. Studioso, infaticabile scrittore e comunicatore in tutti i luoghi d'Italia, padre Ernesto continua a insegnarci che il vero Dio pur intuito, creduto, pregato, è ancora nascosto e mai può essere identificato con i nostri concetti su di lui né con le nostre liturgie. Ragionevolmente fiducioso nelle possibilità di bene dell'essere umano, si è impegnato per diffondere una cultura della pace, opponendosi in nome della ragione all'irrazionalità delle armi e delle guerre. Continuamente attento alle condizioni di impoverimento di gran parte dell'umanità e alle responsabilità del nostro mondo per questa situazione, specialmente negli ultimi anni, ha approfondito la riflessione sul rapporto con la diversità culturale e religiosa dell'altro. Sulla pietra della tomba è riportata una sua frase pregnante di significati profetici, spirituali e storici: «Gli uomini del futuro o saranno uomini di pace o non saranno», nella duplice accezione: non ci saranno più perché distruggeranno la loro vita e quella degli altri esseri viventi. Non ci saranno più perché non saranno degni di essere considerati umani perché avranno tralasciato il compito di costruire la pace. Nel cimitero di Santa Fiora la tomba è collocata accanto a quella di 23 suoi coetanei, alcuni compagni di banco fucilati dai nazisti nel 1944. Padre Ernesto attivando la memoria viva del loro martirio si chiedeva cosa facciamo noi, oggi, per non tradirla. Vivere la memoria del 25 aprile oggi significa impegnarci in una liberazione continua: dall'ingiustizia, dalla fame, dalle armi, dalle guerre, dalle diverse forme di terrorismo, dall'illegalità e dalla corruzione, dal razzismo di diversa specie, dalla distruzione dell'ambiente e dal materialismo.
Mi pare che possiamo rapportare in modo molto profondo e significativo la memoria di pre Toni Bellina, di padre Ernesto Balducci e di tutte le donne e gli uomini andati incontro alla morte per un paese in cui libertà, giustizia, legalità, democrazia siano praticati: e questo legame è la fedeltà al vero, il fastidio morale per ogni forma di disumanità, la coerenza, il coraggio, la dedizione e l'impegno per il bene comune.
Tratto da: http://www.natisone.it/messe/archivio/messe389.htm
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