dal cielo: dialogo immaginario con don Antonio Bellina
... I LIBRI PRESENTATI
Il libro che Gianni Bellinetti ha di recente scritto, immaginandosi
l’esperienza del dialogo telefonico dal cielo,
è stato lo spunto per la serata del 30 aprile nel secondo
anniversario della morte di pre Toni Bellina. In una
sala gremita fino all’inverosimile di gente attenta e in
qualche momento anche fortemente polemica su alcune
posizioni espresse dagli oratori, si sono susseguite
letture del testo a ricordi e testimonianze. Ha iniziato
Patrizia Venier che ha riportato la sua esperienza di
persona ammaliata dalla figura di pre Toni pur avendolo
conosciuto unicamente attraverso i suoi scritti. Il
suo intervento, carico di emozione, ha suscitato anche
un intervento fortemente critico da parte di un ascoltatore
a cui una frase di Patrizia Venier era sembrata
sminuire il valore della traduzione della Bibbia in friulano
fatta da pre Toni. Il giornalista Roberto Jacovissi
ha messo in luce, da parte sua, come il libro abbia
ripreso quel fitto dialogo intessuto negli anni da Gianni
Bellinetti con pre Toni e che si è interrotto troppo presto
con la sua morte. Il dialogo consente all’autore di
riprendere i pensieri, i dubbi, le provocazioni usando
il timbro quasi della voce di pre Toni, ma è un percorso
malinconico per la mancanza della sua presenza
amicale. L’autore esorta a spazzar via la nostalgia e la
tristezza: “la serata deve essere una festa, una rimpatriata
come per il suo funerale avevano fatto i paesani
di Valle e Rivalpo” L’intento di Bellinetti è stato quello
di far emergere la visione rivoluzionaria che pre Toni
aveva della Chiesa. Cristina Benedetti ha letto, poi, il
testo dell’intervento di Marino Plazzotta – autore del
libro intervista “La fatica di essere prete” – che non ha
potuto essere presente per la grave malattia che lo ha
portato, a distanza di pochi giorni, alla morte. Ecco il
suo intervento completo seguito dal saluto fatto al suo
funerale da Pierluigi.
(Gianni Bellinetti, Telefonate dal cielo. Dialogo immaginario con don
Antonio Bellina, Editreg, Trieste, 2009)
Patrizia Venier, Roberto Jacovissi, Gianni Bellinetti,
Cristina Benedetti e Pierluigi Di Piazza
La fatica del credere
Possiamo cominciare questa riflessione ponendoci
una domanda. Chiediamoci: “Per quanto riguarda la
mia vita, le mie speranze, la mia famiglia, i miei amici,
perfino le mie certezze assolute, io ho qualche dubbio?
In sintesi la mia salute, le mie relazioni umane in
che misura sono, possono ritenersi autentiche, vere
oppure insicure perchè attraversate dal dubbio?”
Tutti noi abbiamo bisogno di sicurezza soprattutto per
le cose che non si possono assicurare. Pensiamo alla
salute: gli esami clinici sono aumentati negli ultimi anni
del 70%. La gente è ossessionata da quello che incombe
sulla sua salute fisica, meno da quella mentale!
Da un libretto di Luciano de Crescenzo, scritto proprio
su questo argomento, Il dubbio come problema strettamente
connesso alla vita e alle grandi domande della
vita, riporto alcune di queste domande che sicuramente
hanno occupato molte conversazioni della nostra
adolescenza e continuano ad occuparla:
“Credi in Dio?” “Certo che ci credo”.
“Ma credi proprio per davvero?” “Per davvero”.
“E non hai dubitato nemmeno una volta per un attimo
solo?” “In che senso?”
“Nel senso che ti è venuto un pensierino non richiesto
del tipo: e se poi non c’è nulla? E se tutto si conclude
con la morte e chi si è visto si è visto?” “Certo che mi
è capitato come a tutti credo. Però poi uno ci ragiona
su e si convince di nuovo”.
La breve introduzione solo per accennarvi ad uno
scritto di pre Antonio Bellina del 1994, La fadie dal
crodi, stampato in friulano ed edito da Glesie Furlane.
Purtroppo il libro per ora è solo in friulano e quindi
non è molto conosciuto. Il libro è interessante perchè
evidenzia un aspetto della vita del prete che tende a
configurarlo come una persona assolutamente preparata
a risolvere ogni dubbio anzi ad estirparlo proprio
come fa la Chiesa che per ogni problema ha la sua
soluzione. Dove non basta la ragione, o la fede ci sono
i dogmi e le altre innumerevoli impalcature teologiche,
fino a ricorrere al mistero che tacita ogni obbiezione.
Per darvi una idea ecco come pre Antoni introduce
l’argomento:
Come prete dovrei essere l’esperto della fede e tutti
dovrebbero aver diritto di venire da me a cercare
sicurezze. Questa volta voglio fare qualcosa di diverso.
Voglio sedermi con gli altri nell’ultimo angolo della
chiesa, per spartire con loro, in un momento particola18
NOTIZIARIO
re della mia vita, una sensazione e una situazione profonda:
la sensazione e la situazione del dubbio. E’ un
‘esperienza nuova, sofferta, tremenda e, come cercai
di dare loro una mano quando ero in piena luce, cosi
ora voglio offrire questa esperienza di passione e di
grazia, sorretto dal pensiero che tutto ha un suo posto
nel grande mistero del mondo, benché non sempre
si arrivi a vederlo. La notte non è meno importante
del giorno, anzi, dovrebbe essere la sua preparazione
naturale. Prego che Dio Padre, e il Figlio redentore e
solidale con gli uomini e lo Spirito di santità, non ci
lascino mancare la loro opera creativa di redenzione e
di santificazione e ci trasportino dalla notte alla luce più
viva. Le riflessioni che ho scritto in queste pagine non
sono un trattato sulla fede, né possono risolvere un
problema che durerà fin che durerà il mondo, perché
il mistero è mistero e resta mistero. Si può forse aprire
una finestrella per guardare dentro il mistero, o cercare
di salire più in alto per avere una visione migliore, sapendo
però prima che la verità ultima resterà sempre
più in alto dell’ultimo piolo della nostra povera scala.
Queste riflessioni sono, pertanto, il regalo di un povero
ad altri poveri, per spartire assieme la tenebra spirituale
e camminare insieme verso quella luce che per
noi ha un viso e un nome: Cristo il Signore sorgente e
completamento della nostra fede” (Eb 12,2). Ho scritto
queste pagine con schiettezza e libertà. Domando che
siano lette con la stessa schiettezza e libertà. So che,
soprattutto partendo dai trattati di teologia e delle definizioni
del magistero, è possibile distruggere ad una
ad una tutte queste mie riflessioni, soprattutto da parte
di chi è sicuro nella sua fede. Ma se è tanto sicuro,
non può essere anche tollerante, sapendo che la fede
è un dono di Dio e non un merito suo? In ogni caso
sono già preparato a sentire anatemi dai “buoni”. Spero,
tuttavia, di sentire anche le benedizioni delle anime
tormentate che hanno trovato un fratello che non ha
avuto paura a sedersi accanto a loro per condividere
la notte e dargli la mano, pregando insieme, in attesa
che venga giorno”.
Si può pensare che il dubbio negli anni di seminario
non assillò mai pre Antoni. La certezza a iere sigurade
di dirit, come la liste da blancjarie e dai libris. Era tutto
dato per scontato per cui avevano il tempo di interessarsi
ad altre cose come l’obbedienza e la castità.
Credo che questa sorta di letargo si sia protratta ben
oltre all’adolescenza, quando i giovani trascorrevano
ore a discutere sulle domande eterne. D’altra parte al
seminarista e al sacerdote non era concesso fare certe
domande considerate a priori insensate: Come può
uno che si prepara ad amministrare i sacramenti e a
spiegare la parola di Dio dubitare su Dio? Se proprio
gli vuoi fare una concessione, dubiti sulla Chiesa e su
quello che insegna, ma non su Dio!
A Pre Antoni i dubbi e le difficoltà del credere sono
arrivati poco a poco quando ha cominciato a sentirsi
un distributòr di religion ...ministradòr de fontane de
sapience di Diu, la che ducj e an dirit di là a bevi ... Si
può trovare un prete senza salute, senza soldi, senza
qualità umane , ma non un prete senza fede, almeno
all’apparenza!
Questa radicata convinzione è sempre stata consacrata
dalla Chiesa ed ha trovato nel magistero un assoluto
ed indiscutibile punto di riferimento. Nessuno mette in
discussione il diritto che la Chiesa ha di manifestare
la sua dottrina, né atei, né miscredenti, tanto meno
i laici: parli pure la Chiesa, attingendo alle sue fonti e
alla sua tradizione, ma qualche volta non sarebbe più
opportuno che tacesse? Che si pigliasse un momento
di riflessione? Continuando a parlare su tutto e di tutto
la Chiesa ha cominciato a farsi odiare, non perchè ci
insegna come essere più caritatevoli, più solidali, più
buoni, più pazienti, più tolleranti, ma perchè insiste
contro le pratiche contraccettive, toglie la scomunica
ai lefevriani, condanna l’aborto della giovane bambina
brasiliana scomunicando senza remissione i medici,
nega la comunione ai divorziati.
Condivido le domande che si pone il teologo Vito Mancuso:
Tra cento anni i principi di bioetica affermati oggi
con granitica sicurezza dalla Chiesa saranno i medesimi,
o invece saranno rivisti come lo sono stati i principi
della morale sociale? Siamo sicuri che la fecondazione
assistita sia contraria alla volontà di Dio? Siamo certi
che l’uso di preservativo sia contrario alla volontà di
Dio? Siamo sicuri che il voler morire in modo naturale
senza prolungata dipendenza da macchinari compresi
sondini naso-gastrici sia contrario al volere di Dio?
Il Magistero non vuole lasciare dubbi ai suoi fedeli. Ha
sempre una risposta pronta come se la sua fonte di informazione
fosse consultabile telefonicamente al bisogno.
Stare dentro alla Chiesa e permettersi di dubitare
è un privilegio non ammesso. Il dubbio assale anche chi
prega! Si chiedeva tempo fa don Pierluigi: “Che cosa
è poi la preghiera? Non é una formula che uno dice e
ridice a memoria! I salmi della Bibbia, per esempio, in
numero molto elevato, sono domande pressanti a Dio.
Non sono dubbi di fede per cui, un tempo, quasi si
era invitati a confessarsi. La Bibbia nella preghiera dei
salmi era una raccolta di dubbi di fede. Perché, Dio?
Perché? Fino a quando? Come mai? E sono considerate
preghiere. Non dubbi, preghiere. Anche il dubbio
è preghiera. Può essere anche un’imprecazione, come
diceva Padre Turoldo, una preghiera. Può essere una
non accettazione, una preghiera. Chissà se vivere con
una presenza misteriosa, con cui in qualche modo si
sente di avere a che fare, che si interroga, chissà, se
anche la stessa preghiera non sia occasione per porsi
dubbiose domande, per quanto provocatorie?”
In che cosa crede chi non crede è il titolo di una riflessione
tra il Cardinale Martini e Umberto Eco, ma
probabilmente la domanda andrebbe capovolta: in che
cosa crede chi crede? Uno che non crede ha cancellato
tutto, ma uno che crede deve davvero chiedersi
ogni giorno in che cosa crede e se crede. Non ho
dubbi che se interroghiamo i cristiani che escono dalla
messa domenicale su quello che hanno sentito,su che
cosa pensano della transustanziazione, del peccato
originale, della grazia, della immacolata concezione,
scopriremo degli autentici eretici, pelagiani, ariani, luterani,
calvinisti, miscredenti. Il dubbio anziché diminuire
fra i cristiani cresce e spesso si fa assillante.
Per finire, dal libro La fadie dal crodi:
19 NOTIZIARIO
Tornant al argoment di chest gno resona, a la radiografie
dal dubit, o dis che no mi sint in crisi su Dio e la so
esistence. Ce che mi sta metint in crisi e je la teologje e
lis rispuestis masse siguris che la glesie catoliche cu la
so teologie, e a dat tai secui ... La grande tragiedie de
glesie e je che e a vut masse sigurecis su Dio e masse
insigurecis su l’om.
Pre Antoni ci insegna che Dio è un rifugio e non la
risposta sicura a tutte le nostre domande. Pretendere
che anche la Chiesa si adegui a questo atteggiamento,
non significa stravolgere la sua missione, ma renderla
più vicina agli uomini, più misericordiosa, più comprensiva:
anche se ciò sembra un’utopia.
Marino Plazzotta,
30 aprile 2009
Neanche un mese dopo la presentazione del libro
di Gianni Bellinetti, Marino Plazzotta ci ha lasciati.
Il Centro Balducci lo ricorda con stima e riconoscenza
attraverso le parole che Pierluigi ha espresso
nella celebrazione del saluto a lui nella chiesa di
Buttrio il 23 maggio 2009.
Saluto a Marino Plazzotta
Mi vengono proprio dal profondo del cuore alcuni vissuti
che si fanno riflessione ed espressione pubblica per contribuire
con umiltà e commozione al saluto più vero, autentico
e partecipato a Marino, insieme prima di tutto ai suoi familiari
e poi agli amici e ai conoscenti.
Sento Marino nelle sue dimensioni essenziali che, come avviene
nel paradosso della vita, anche il percorso doloroso e
meditativo della malattia ha contribuito ad approfondire.
Riascolto l’eco della sua umanità di adolescente e giovane
della nostra montagna della Carnia, l’intelligenza intuitiva
e viva che lo portava a indagare e riflettere.
Dopo diversi anni in cui il contatto diretto si era interrotto,
non per motivazioni particolari, tanto meno per scelta di
uno o dell’altro o di entrambi, l’ho reincontrato alcuni anni
fa su quella lunghezza d’onda originaria, verificata, arricchita,
portata all’essenziale dalla complessità della vita e
delle sue vicende.
L’ho reincontrato mentre, insieme ai vissuti con i suoi familiari,
ne intratteneva altri due particolarmente impegnativi
interrogativi e interlocutori: uno con la malattia e l’altro
con l’umanità, la fede, gli interrogativi di pre Toni Bellina;
due riferimenti che spesso sono diventati lo stesso, proprio
perché anche pre Toni ha posto in continuazione la questione
della malattia, del dolore, della sofferenza come questione
aperta a Dio, a Gesù di Nazaret, alla fede in Lui.
E così qualche volta l’ho incontrato in ospedale; abbiamo
camminato insieme dialogando nel Centro Balducci; abbiamo
insieme proposto nel giugno scorso un incontro per
ricordare pre Toni, molto partecipato e vissuto con profonda
intensità e commozione; abbiamo collaborato per riproporlo
anche quest’anno, il 30 aprile; Marino non ha potuto partecipare
perché il male aveva cominciato a dare i segni del
suo sopravanzare invadente. Ho comunicato il motivo della
sua assenza e invitato la folla dei presenti a tributargli un
dovuto applauso di amicizia e riconoscenza; un altro altrettanto
intenso è seguito alla lettura dell’intervento da lui
preparato: ricco di umanità, ricco del dubbio, della fatica e
insieme dell’essenza di una fede inquieta e in ricerca, essenziale,
liberata dalle sovrastrutture ideologiche confessionali
e clericali. Il credere e il non credere con serietà sono un’autentica
impresa. Posso comunicare oggi con commozione che
ho sentito quei due lunghi e caldi applausi come un saluto
a Marino, come un anticipo interiore del silenzio di questa
celebrazione.
Marino, una volta scoperto e incontrato pre Toni, ha sentito
il dovere interiore spirituale ed etico di farne conoscere con
le interviste e i libri l’umanità profonda, la sensibilità, la
libertà, il coraggio, la solitudine, la lettura della vita e della
storia con la Bibbia nel cuore, da lui tradotta in lingua
friulana, dalla parte dei poveri, degli umili, degli ultimi,
degli scartati, leggendovi le sofferenze e insieme le ricchezze
umane, culturali, spirituali.
Sento e saluto con commozione e affetto Marino su questa
profonda lunghezza d’onda: Marino come ricercatore di verità,
di profondità, di essenzialità, di una fede che si lascia
interrogare, che si interroga, che interroga… Marino che
vibra nella profondità del suo essere, che deve arrendersi
alla malattia che spegne le funzioni biologiche vitali, ma
non spegne lo spirito, la profondità dell’essere.
Ricordo che anni fa un intellettuale, economista e poi anche
politico, partito da posizioni dichiarate di non credente,
via via cercando i significati profondi del vivere, soffrire e
morire arrivò a celebrare nella stanza in cui morì poco dopo
colpito anche lui da un tumore, l’Eucarestia con padre Balducci,
Raniero La Valle ed altri… E salutò mentre le forze
erano davvero ormai poche con queste parole: “Ora andrò
finalmente a vedere come stanno davvero le cose.”
Mi viene spontaneo associare questo atteggiamento a Marino
in questo passaggio misterioso della morte; siamo qui
a ridirci sommessamente che non è verso il buio, il vuoto e
l’insignificanza, ma verso una Presenza che misteriosamente
ci accoglie… Esprimiamo questa fiducia non irragionevole,
ma ragionevole: che anche se non sappiamo il dove e il
come, questa accoglienza misteriosamente avviene e Marino,
tutti i nostri cari continuano a vivere e ad accompagnarci
nella nostra vita. Non si tratta di una verità dogmatica
a cui aderire, bensì di una possibile apertura esistenziale a
cui affidarsi.
Con stima, riconoscenza e amicizia saluto, salutiamo Marino.
Pierluigi Di Piazza
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