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sabato 21 novembre 2009

dal notiziario n 28 luglio 2009 del centro balducci di zugliano

dal cielo: dialogo immaginario con don Antonio Bellina
... I LIBRI PRESENTATI
Il libro che Gianni Bellinetti ha di recente scritto, immaginandosi
l’esperienza del dialogo telefonico dal cielo,
è stato lo spunto per la serata del 30 aprile nel secondo
anniversario della morte di pre Toni Bellina. In una
sala gremita fino all’inverosimile di gente attenta e in
qualche momento anche fortemente polemica su alcune
posizioni espresse dagli oratori, si sono susseguite
letture del testo a ricordi e testimonianze. Ha iniziato
Patrizia Venier che ha riportato la sua esperienza di
persona ammaliata dalla figura di pre Toni pur avendolo
conosciuto unicamente attraverso i suoi scritti. Il
suo intervento, carico di emozione, ha suscitato anche
un intervento fortemente critico da parte di un ascoltatore
a cui una frase di Patrizia Venier era sembrata
sminuire il valore della traduzione della Bibbia in friulano
fatta da pre Toni. Il giornalista Roberto Jacovissi
ha messo in luce, da parte sua, come il libro abbia
ripreso quel fitto dialogo intessuto negli anni da Gianni
Bellinetti con pre Toni e che si è interrotto troppo presto
con la sua morte. Il dialogo consente all’autore di
riprendere i pensieri, i dubbi, le provocazioni usando
il timbro quasi della voce di pre Toni, ma è un percorso
malinconico per la mancanza della sua presenza
amicale. L’autore esorta a spazzar via la nostalgia e la
tristezza: “la serata deve essere una festa, una rimpatriata
come per il suo funerale avevano fatto i paesani
di Valle e Rivalpo” L’intento di Bellinetti è stato quello
di far emergere la visione rivoluzionaria che pre Toni
aveva della Chiesa. Cristina Benedetti ha letto, poi, il
testo dell’intervento di Marino Plazzotta – autore del
libro intervista “La fatica di essere prete” – che non ha
potuto essere presente per la grave malattia che lo ha
portato, a distanza di pochi giorni, alla morte. Ecco il
suo intervento completo seguito dal saluto fatto al suo
funerale da Pierluigi.
(Gianni Bellinetti, Telefonate dal cielo. Dialogo immaginario con don
Antonio Bellina, Editreg, Trieste, 2009)
Patrizia Venier, Roberto Jacovissi, Gianni Bellinetti,
Cristina Benedetti e Pierluigi Di Piazza
La fatica del credere
Possiamo cominciare questa riflessione ponendoci
una domanda. Chiediamoci: “Per quanto riguarda la
mia vita, le mie speranze, la mia famiglia, i miei amici,
perfino le mie certezze assolute, io ho qualche dubbio?
In sintesi la mia salute, le mie relazioni umane in
che misura sono, possono ritenersi autentiche, vere
oppure insicure perchè attraversate dal dubbio?”
Tutti noi abbiamo bisogno di sicurezza soprattutto per
le cose che non si possono assicurare. Pensiamo alla
salute: gli esami clinici sono aumentati negli ultimi anni
del 70%. La gente è ossessionata da quello che incombe
sulla sua salute fisica, meno da quella mentale!
Da un libretto di Luciano de Crescenzo, scritto proprio
su questo argomento, Il dubbio come problema strettamente
connesso alla vita e alle grandi domande della
vita, riporto alcune di queste domande che sicuramente
hanno occupato molte conversazioni della nostra
adolescenza e continuano ad occuparla:
“Credi in Dio?” “Certo che ci credo”.
“Ma credi proprio per davvero?” “Per davvero”.
“E non hai dubitato nemmeno una volta per un attimo
solo?” “In che senso?”
“Nel senso che ti è venuto un pensierino non richiesto
del tipo: e se poi non c’è nulla? E se tutto si conclude
con la morte e chi si è visto si è visto?” “Certo che mi
è capitato come a tutti credo. Però poi uno ci ragiona
su e si convince di nuovo”.
La breve introduzione solo per accennarvi ad uno
scritto di pre Antonio Bellina del 1994, La fadie dal
crodi, stampato in friulano ed edito da Glesie Furlane.
Purtroppo il libro per ora è solo in friulano e quindi
non è molto conosciuto. Il libro è interessante perchè
evidenzia un aspetto della vita del prete che tende a
configurarlo come una persona assolutamente preparata
a risolvere ogni dubbio anzi ad estirparlo proprio
come fa la Chiesa che per ogni problema ha la sua
soluzione. Dove non basta la ragione, o la fede ci sono
i dogmi e le altre innumerevoli impalcature teologiche,
fino a ricorrere al mistero che tacita ogni obbiezione.
Per darvi una idea ecco come pre Antoni introduce
l’argomento:
Come prete dovrei essere l’esperto della fede e tutti
dovrebbero aver diritto di venire da me a cercare
sicurezze. Questa volta voglio fare qualcosa di diverso.
Voglio sedermi con gli altri nell’ultimo angolo della
chiesa, per spartire con loro, in un momento particola18
NOTIZIARIO
re della mia vita, una sensazione e una situazione profonda:
la sensazione e la situazione del dubbio. E’ un
‘esperienza nuova, sofferta, tremenda e, come cercai
di dare loro una mano quando ero in piena luce, cosi
ora voglio offrire questa esperienza di passione e di
grazia, sorretto dal pensiero che tutto ha un suo posto
nel grande mistero del mondo, benché non sempre
si arrivi a vederlo. La notte non è meno importante
del giorno, anzi, dovrebbe essere la sua preparazione
naturale. Prego che Dio Padre, e il Figlio redentore e
solidale con gli uomini e lo Spirito di santità, non ci
lascino mancare la loro opera creativa di redenzione e
di santificazione e ci trasportino dalla notte alla luce più
viva. Le riflessioni che ho scritto in queste pagine non
sono un trattato sulla fede, né possono risolvere un
problema che durerà fin che durerà il mondo, perché
il mistero è mistero e resta mistero. Si può forse aprire
una finestrella per guardare dentro il mistero, o cercare
di salire più in alto per avere una visione migliore, sapendo
però prima che la verità ultima resterà sempre
più in alto dell’ultimo piolo della nostra povera scala.
Queste riflessioni sono, pertanto, il regalo di un povero
ad altri poveri, per spartire assieme la tenebra spirituale
e camminare insieme verso quella luce che per
noi ha un viso e un nome: Cristo il Signore sorgente e
completamento della nostra fede” (Eb 12,2). Ho scritto
queste pagine con schiettezza e libertà. Domando che
siano lette con la stessa schiettezza e libertà. So che,
soprattutto partendo dai trattati di teologia e delle definizioni
del magistero, è possibile distruggere ad una
ad una tutte queste mie riflessioni, soprattutto da parte
di chi è sicuro nella sua fede. Ma se è tanto sicuro,
non può essere anche tollerante, sapendo che la fede
è un dono di Dio e non un merito suo? In ogni caso
sono già preparato a sentire anatemi dai “buoni”. Spero,
tuttavia, di sentire anche le benedizioni delle anime
tormentate che hanno trovato un fratello che non ha
avuto paura a sedersi accanto a loro per condividere
la notte e dargli la mano, pregando insieme, in attesa
che venga giorno”.
Si può pensare che il dubbio negli anni di seminario
non assillò mai pre Antoni. La certezza a iere sigurade
di dirit, come la liste da blancjarie e dai libris. Era tutto
dato per scontato per cui avevano il tempo di interessarsi
ad altre cose come l’obbedienza e la castità.
Credo che questa sorta di letargo si sia protratta ben
oltre all’adolescenza, quando i giovani trascorrevano
ore a discutere sulle domande eterne. D’altra parte al
seminarista e al sacerdote non era concesso fare certe
domande considerate a priori insensate: Come può
uno che si prepara ad amministrare i sacramenti e a
spiegare la parola di Dio dubitare su Dio? Se proprio
gli vuoi fare una concessione, dubiti sulla Chiesa e su
quello che insegna, ma non su Dio!
A Pre Antoni i dubbi e le difficoltà del credere sono
arrivati poco a poco quando ha cominciato a sentirsi
un distributòr di religion ...ministradòr de fontane de
sapience di Diu, la che ducj e an dirit di là a bevi ... Si
può trovare un prete senza salute, senza soldi, senza
qualità umane , ma non un prete senza fede, almeno
all’apparenza!
Questa radicata convinzione è sempre stata consacrata
dalla Chiesa ed ha trovato nel magistero un assoluto
ed indiscutibile punto di riferimento. Nessuno mette in
discussione il diritto che la Chiesa ha di manifestare
la sua dottrina, né atei, né miscredenti, tanto meno
i laici: parli pure la Chiesa, attingendo alle sue fonti e
alla sua tradizione, ma qualche volta non sarebbe più
opportuno che tacesse? Che si pigliasse un momento
di riflessione? Continuando a parlare su tutto e di tutto
la Chiesa ha cominciato a farsi odiare, non perchè ci
insegna come essere più caritatevoli, più solidali, più
buoni, più pazienti, più tolleranti, ma perchè insiste
contro le pratiche contraccettive, toglie la scomunica
ai lefevriani, condanna l’aborto della giovane bambina
brasiliana scomunicando senza remissione i medici,
nega la comunione ai divorziati.
Condivido le domande che si pone il teologo Vito Mancuso:
Tra cento anni i principi di bioetica affermati oggi
con granitica sicurezza dalla Chiesa saranno i medesimi,
o invece saranno rivisti come lo sono stati i principi
della morale sociale? Siamo sicuri che la fecondazione
assistita sia contraria alla volontà di Dio? Siamo certi
che l’uso di preservativo sia contrario alla volontà di
Dio? Siamo sicuri che il voler morire in modo naturale
senza prolungata dipendenza da macchinari compresi
sondini naso-gastrici sia contrario al volere di Dio?
Il Magistero non vuole lasciare dubbi ai suoi fedeli. Ha
sempre una risposta pronta come se la sua fonte di informazione
fosse consultabile telefonicamente al bisogno.
Stare dentro alla Chiesa e permettersi di dubitare
è un privilegio non ammesso. Il dubbio assale anche chi
prega! Si chiedeva tempo fa don Pierluigi: “Che cosa
è poi la preghiera? Non é una formula che uno dice e
ridice a memoria! I salmi della Bibbia, per esempio, in
numero molto elevato, sono domande pressanti a Dio.
Non sono dubbi di fede per cui, un tempo, quasi si
era invitati a confessarsi. La Bibbia nella preghiera dei
salmi era una raccolta di dubbi di fede. Perché, Dio?
Perché? Fino a quando? Come mai? E sono considerate
preghiere. Non dubbi, preghiere. Anche il dubbio
è preghiera. Può essere anche un’imprecazione, come
diceva Padre Turoldo, una preghiera. Può essere una
non accettazione, una preghiera. Chissà se vivere con
una presenza misteriosa, con cui in qualche modo si
sente di avere a che fare, che si interroga, chissà, se
anche la stessa preghiera non sia occasione per porsi
dubbiose domande, per quanto provocatorie?”
In che cosa crede chi non crede è il titolo di una riflessione
tra il Cardinale Martini e Umberto Eco, ma
probabilmente la domanda andrebbe capovolta: in che
cosa crede chi crede? Uno che non crede ha cancellato
tutto, ma uno che crede deve davvero chiedersi
ogni giorno in che cosa crede e se crede. Non ho
dubbi che se interroghiamo i cristiani che escono dalla
messa domenicale su quello che hanno sentito,su che
cosa pensano della transustanziazione, del peccato
originale, della grazia, della immacolata concezione,
scopriremo degli autentici eretici, pelagiani, ariani, luterani,
calvinisti, miscredenti. Il dubbio anziché diminuire
fra i cristiani cresce e spesso si fa assillante.
Per finire, dal libro La fadie dal crodi:
19 NOTIZIARIO
Tornant al argoment di chest gno resona, a la radiografie
dal dubit, o dis che no mi sint in crisi su Dio e la so
esistence. Ce che mi sta metint in crisi e je la teologje e
lis rispuestis masse siguris che la glesie catoliche cu la
so teologie, e a dat tai secui ... La grande tragiedie de
glesie e je che e a vut masse sigurecis su Dio e masse
insigurecis su l’om.
Pre Antoni ci insegna che Dio è un rifugio e non la
risposta sicura a tutte le nostre domande. Pretendere
che anche la Chiesa si adegui a questo atteggiamento,
non significa stravolgere la sua missione, ma renderla
più vicina agli uomini, più misericordiosa, più comprensiva:
anche se ciò sembra un’utopia.
Marino Plazzotta,
30 aprile 2009
Neanche un mese dopo la presentazione del libro
di Gianni Bellinetti, Marino Plazzotta ci ha lasciati.
Il Centro Balducci lo ricorda con stima e riconoscenza
attraverso le parole che Pierluigi ha espresso
nella celebrazione del saluto a lui nella chiesa di
Buttrio il 23 maggio 2009.
Saluto a Marino Plazzotta
Mi vengono proprio dal profondo del cuore alcuni vissuti
che si fanno riflessione ed espressione pubblica per contribuire
con umiltà e commozione al saluto più vero, autentico
e partecipato a Marino, insieme prima di tutto ai suoi familiari
e poi agli amici e ai conoscenti.
Sento Marino nelle sue dimensioni essenziali che, come avviene
nel paradosso della vita, anche il percorso doloroso e
meditativo della malattia ha contribuito ad approfondire.
Riascolto l’eco della sua umanità di adolescente e giovane
della nostra montagna della Carnia, l’intelligenza intuitiva
e viva che lo portava a indagare e riflettere.
Dopo diversi anni in cui il contatto diretto si era interrotto,
non per motivazioni particolari, tanto meno per scelta di
uno o dell’altro o di entrambi, l’ho reincontrato alcuni anni
fa su quella lunghezza d’onda originaria, verificata, arricchita,
portata all’essenziale dalla complessità della vita e
delle sue vicende.
L’ho reincontrato mentre, insieme ai vissuti con i suoi familiari,
ne intratteneva altri due particolarmente impegnativi
interrogativi e interlocutori: uno con la malattia e l’altro
con l’umanità, la fede, gli interrogativi di pre Toni Bellina;
due riferimenti che spesso sono diventati lo stesso, proprio
perché anche pre Toni ha posto in continuazione la questione
della malattia, del dolore, della sofferenza come questione
aperta a Dio, a Gesù di Nazaret, alla fede in Lui.
E così qualche volta l’ho incontrato in ospedale; abbiamo
camminato insieme dialogando nel Centro Balducci; abbiamo
insieme proposto nel giugno scorso un incontro per
ricordare pre Toni, molto partecipato e vissuto con profonda
intensità e commozione; abbiamo collaborato per riproporlo
anche quest’anno, il 30 aprile; Marino non ha potuto partecipare
perché il male aveva cominciato a dare i segni del
suo sopravanzare invadente. Ho comunicato il motivo della
sua assenza e invitato la folla dei presenti a tributargli un
dovuto applauso di amicizia e riconoscenza; un altro altrettanto
intenso è seguito alla lettura dell’intervento da lui
preparato: ricco di umanità, ricco del dubbio, della fatica e
insieme dell’essenza di una fede inquieta e in ricerca, essenziale,
liberata dalle sovrastrutture ideologiche confessionali
e clericali. Il credere e il non credere con serietà sono un’autentica
impresa. Posso comunicare oggi con commozione che
ho sentito quei due lunghi e caldi applausi come un saluto
a Marino, come un anticipo interiore del silenzio di questa
celebrazione.
Marino, una volta scoperto e incontrato pre Toni, ha sentito
il dovere interiore spirituale ed etico di farne conoscere con
le interviste e i libri l’umanità profonda, la sensibilità, la
libertà, il coraggio, la solitudine, la lettura della vita e della
storia con la Bibbia nel cuore, da lui tradotta in lingua
friulana, dalla parte dei poveri, degli umili, degli ultimi,
degli scartati, leggendovi le sofferenze e insieme le ricchezze
umane, culturali, spirituali.
Sento e saluto con commozione e affetto Marino su questa
profonda lunghezza d’onda: Marino come ricercatore di verità,
di profondità, di essenzialità, di una fede che si lascia
interrogare, che si interroga, che interroga… Marino che
vibra nella profondità del suo essere, che deve arrendersi
alla malattia che spegne le funzioni biologiche vitali, ma
non spegne lo spirito, la profondità dell’essere.
Ricordo che anni fa un intellettuale, economista e poi anche
politico, partito da posizioni dichiarate di non credente,
via via cercando i significati profondi del vivere, soffrire e
morire arrivò a celebrare nella stanza in cui morì poco dopo
colpito anche lui da un tumore, l’Eucarestia con padre Balducci,
Raniero La Valle ed altri… E salutò mentre le forze
erano davvero ormai poche con queste parole: “Ora andrò
finalmente a vedere come stanno davvero le cose.”
Mi viene spontaneo associare questo atteggiamento a Marino
in questo passaggio misterioso della morte; siamo qui
a ridirci sommessamente che non è verso il buio, il vuoto e
l’insignificanza, ma verso una Presenza che misteriosamente
ci accoglie… Esprimiamo questa fiducia non irragionevole,
ma ragionevole: che anche se non sappiamo il dove e il
come, questa accoglienza misteriosamente avviene e Marino,
tutti i nostri cari continuano a vivere e ad accompagnarci
nella nostra vita. Non si tratta di una verità dogmatica
a cui aderire, bensì di una possibile apertura esistenziale a
cui affidarsi.
Con stima, riconoscenza e amicizia saluto, salutiamo Marino.
Pierluigi Di Piazza

C'ERA UNA VOLTA LA FABBRICA DEI PRETI

C'ERA UNA VOLTA LA FABBRICA DEI PRETI

il Piccolo — 08 marzo 2009 pagina 25 sezione: CULTURA - SPETTACOLO
di PAOLO RUMIZ Il parroco di Paluzza che alza la voce contro le interferenze del Vaticano sul caso di Eluana Englaro. Preti carnici arroccati nelle loro valli, con al petto il simbolo alessandrino della chiesa aquileiese e non di quella romana. Tonache irriducibili, in trincea per la conservazione della lingua e della civiltà friulana. Greggi di fedeli montanari in bilico tra cattolicesimo e protestantesimo. Un’ostilità della periferia contro il centralismo di un’Ecclesia che punta alle “piazze piene” e non tiene conto delle “chiese vuote”. Una terra anarchica e socialista, Carnia “cence Dio e cence Madone”. Per capire questo piccolo mondo ai limiti dello scisma, mi hanno detto a Udine, devi leggerti le quattrocento pagine in friulano di un libro semiclandestino e mai tradotto: “La fabriche dai predis” . La fabbrica dei preti, cioè il seminario, descritto come struttura immutabile, iperconservatrice e sessuofobia. Un micidiale pamphlet, gonfio di una lingua schietta fino alla truculenza, scritto non da un politico anticlericale, ma un indomabile prete carnico, il fu Antonio Bellina . Un tipo combattivo e scomodo, attaccato al popolo di Dio, insofferente delle gerarchie e di conseguenza relegato in una parrocchia di periferia, Basagliapenta. Narrano che quando Wojtyla annunciò la sua visita in Friuli, solo una persona osò protestare per l’enormità della spesa. Era sempre lui, “pre Toni Beline” , figlio della Carnia amara. La Curia tentò di tacitarlo, ma quello non era tipo da star zitto e aveva tutti i numeri per parlare: in vent’anni di lavoro “matto e disperatissimo” aveva tradotto la Bibbia in friulano e la sua fatica aveva potentemente contribuito al riconoscimento ufficiale della lingua, gettando le basi delle leggi speciali a tutela della sua gente. E così, dieci anni fa, alla fine di una vita di obbedienza, questo piccolo Lutero del Nordest ha deciso di vuotare il sacco e raccontare l’ultimo segreto del suo mondo. Il più intimo, quello del collegio che per quattro secoli – dal concilio di Trento in poi - ha formato generazioni di preti: il seminario. Quattrocento pagine scritte tutte d’un fiato, come una liberazione. Figurarsi il putiferio in curia. Il testo fu immediatamente tolto di circolazione, bollato dai vescovi e dal Vaticano, tenuto nascosto per dieci anni con divieto assoluto di traduzione in italiano e altre lingue. Poiché non sembrava abbastanza, al prete è stata chiesta una lettera di scuse, quasi un’abiura. Ma il Friuli è terra ostinata, e ostinati sono i suoi preti. Così Don Bellina - nato nel 1941 e nel frattempo passato a miglior vita nell’anno del Signore 2007 - ha deciso di essere ancora scomodo, e di consumare da morto la rappresaglia per la censura subita. Non si sa come, ma da qualche tempo il libro galeotto è scappato di mano e ha preso a circolare con evidente imbarazzo della Chiesa di Roma. L’abbiamo letto, ed è stata una rivelazione. «Leviamoci il cappello e fermiamoci un attimo a pregare per tanta manovalanza sacrificata e assassinata in questi anni e secoli», esordisce Bellina per mettere subito le cose in chiaro. Il termine “assassinata” è una figura retorica, ma siete avvertiti. “Manovalanza” è il modo con cui l’Autore chiama se stesso e i suoi compagni d’avventura. Ma il Nostro chiede di pregare anche per le “maestranze”, i suoi insegnanti, anch’esse “vittime di un sistema che accoppava l’uomo illudendosi di onorare Dio, il quale pure l’aveva voluto a sua immagine come coronamento del Creato”. Il seguito è la descrizione spietata di un pianeta della noia che clona individui tutti eguali. Una “prigione volontaria” dove si cancella l’uomo per fare un automa. Un posto blindato dove – racconta il prete friulano - è vietato far domande, si vive nel terrore della punizione e si obbedisce sempre e comunque. La castità era l’ossessione dominante: a date fisse il bromuro “arrivava a camionate in tre luoghi classici: il seminario, le caserme e la prigione”. In una tazza di latte in polvere con una roba nera chiamata caffè, “mani sante e discrete” mettevano ogni mattina una dose del sedativo, e i ragazzini in tumultuosa adolescenza non riuscivano a capire come mai, tornati nelle loro povere case, bastasse loro una minestra e una crosta di formaggio per sentire “movimenti di truppe”, mentre invece, dopo gli abbondanti pranzi seminariali, tutto taceva sotto la cintura. Le mani in tasca? Guai. Dovevano star fuori, anche d’inverno, per evitare contatti con parti intime. Per questo - spiega l’Autore - i vecchi preti si fregano spesso le mani: non avendo potuto scaldarsele per anni in seminario, hanno ereditato un freddo endemico e l’istinto di scaldarsi altrimenti. La doccia? Andava fatta alla velocità della luce, sempre per scongiurare soste sulle parti di cui sopra, e per questo dopo cinque minuti qualcuno sparava nei tubi acqua gelata. Così, se qualcuno faceva il furbo, “rischiava non solo la dannazione eterna ma anche la polmonite”. Il corpo? Un male necessario, un nemico contro cui combattere. Il sesto comandamento giganteggiava sugli altri nove e le tentazioni corporali erano tutte codificate. Persino la donna che allatta a seno nudo. Racconta Gianpaolo Gri, antropologo dell’università di Udine: “Di famiglia indigente, il piccolo Bellina non era tenuto in nessuna considerazione ed è rimasto emarginato e scomodo anche da prete”. I poveri dovevano tacere; lamentarsi era segno di ingratitudine; ogni momento veniva detto loro che la retta non bastava a coprire le spese. Ma l’Autore aveva un altro handicap: era intelligente, e gli intelligenti erano, scrive egli stesso, “i primi a cadere sotto il plotone di esecuzione”. In seminario “avevano paura di essere sbattuti fuori non i più stupidi e addormentati ma i più intelligenti e svegli”. Dalle 400 pagine emerge un bestiario di personaggi indimenticabili. Come il parroco di Ampezzo, detto Himmler per la sua durezza; Aldo Moretti, che diventa pilastro dell’organizzazione clandestina “Gladio”; o Riccardo della Rovere, che insegna fisica in una catacomba e fuma sputando fumo dalle narici come un dragone. “Nella tradizione carceraria si usa dare ai prigionieri un’ora d’aria... In quella prigione mistica e volontaria che è il seminario, ci era consentito uscire in quel mondo dove (agli occhi dei nostri insegnanti, n.d.r.) regnavano solo brame inconfessabili e porcherie inimmaginabili”. L’intervallo era di un’oretta, i ragazzi potevano camminare solo in fila, due a due, ed era proibito tutto: parlare, correre, ridere, curiosare, fermarsi e ovviamente appartarsi. “Si andava là dove destinava il prefetto. Se lui diceva di fermarsi, bisognava fermarsi anche se si aveva voglia di camminare”. Niente coppie fisse: gli abbinamenti erano decisi dal seminario e il compagno era cambiato ogni tre mesi, per il timore ossessivo di “amicizie particolari”. E che dire dei silenzi imposti per esercitazione ascetica. Non era facile, per degli scriccioli di undici-dodici anni “ancora innamorati della vita”, stare un giorno e talvolta una settimana senza proferir parola. «Loro ci dicevano che si trattava di un atto di grande virtù; a noi sembrava un atto di una crudeltà disumana. E difatti, quando suonava la campanella per avvertirci che iniziava il ritiro, si sentiva in tutto il seminario un grido collettivo e disumano come di bestie in agonia. Dopodiché calava su tutto un silenzio innaturale». Un mondo che non c’è quasi più, è vero. Ma le gerarchie da esso formate ci sono eccome, incalza Bellina. Esse spiegano una struttura tesa “all’autoconservazione e quindi all’immobilismo”, strada che rischiava di portare la Chiesa nel modo più rapido alla “sparizione autoconsunzione”. Un mondo finito più per esaurimento demografico che per capacità di rinnovamento. Per formare un esercito di obbedienti, scrive il prete ribelle, venne estirpata da essi l’umanità esattamente “come il dentista, per prima cosa, uccide il nervo”. E non è finita, perché, dopo la “castrazione”, arriva la “clonazione”. Con preti, frati, monache, vescovi, “cardinali e papi che ripetono sempre la stessa solfa centinaia di migliaia di volte”. Che ne sappiamo dei preti? Quanti di essi scompaiono senza lasciar traccia dopo una vita oscura? Chi racconterà mai la loro ultima resistenza nelle periferie dimenticate? «Sparisce il politico, sparisce l’intellettuale, e resta solo il prete a pagare per tutti, a fare da papa e re». Per questo, scrive Bellina, l’epopea di questi eroi sconosciuti va narrata fin dall’inizio, senza veli, per far capire che essi sono stati in fondo “migliori di quello che avrebbero dovuto essere stanti le premesse”. Il libro ti porta in un mondo tenebroso fatto di preghiere terribili; orazioni che spaventano, mostrano un Dio che punisce, spiegano in morbosi dettagli la decomposizione del corpo umano, creano il terrore della morte. «Ho visto andarsene tanta gente, preti inclusi - si confida Bellina, che ha fatto il parroco per quarant’anni, - e posso dire che tanti preti non ce l’hanno fatta a morire con dignità, perché tornava fuori in loro quella paura di Dio che gli era stata instillata come veleno negli anni più sereni della vita». Come “Padre padrone” di Gavino Ledda, anche “La Fabbrica dei preti” è un’opera spietata, destinata a sollevare polemiche, ma anche un lavoro di robusto vigore morale, figlio ruspante della provincia italiana dimenticata. Talvolta “eccessivo”: ma certamente su cui riflettere. Una parte delle attuali gerarchie vaticane sono figlie di questo mondo. E certe chiusure della Chiesa sotto il pontificato di Ratzinger diventano più comprensibili alla luce di questo libro.

fonte:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/ar...NZ_25_APRE.html

gli amici di pre toni su facebook

amis di pre toni:

http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=mk&u=http://mk-mk.facebook.com/group.php%3Fgid%3D67673947642&ei=eTIHS9Ie1IL9Bona0FA&sa=X&oi=translate&ct=result&resnum=4&ved=0CBAQ7gEwAzgy&prev=/search%3Fq%3Dpre%2Btoni%2Bbeline%26hl%3Dit%26client%3Dfirefox-a%26channel%3Ds%26rls%3Dorg.mozilla:it:official%26sa%3DN%26start%3D50

secondo anniversario della morte di pre toni

Secont aniversari di pre Toni Beline
Venerdì 17 Aprile 2009 10:57
In ocasion dal secont aniversari de muart di pre Toni Beline, e vignarà fate une messe in so ricuart a Visepente di Basilian joibe ai 23 di Avrîl a lis 20.00. In chê ocasion e sarà inmaneade une iniziative che e à voie di meti adun lis testemoneancis di cui che al à cognossût e vivût pre Toni: testemoneancis fatis di fotografiis, scrits, intervistis e altri ancjemò, cu la voie di podê organizâlis e publicâlis par ducj chei che a vessin voie e plasê di puartâ indenant lis ideis di chest om, che cul so lavôr e testemoneance al à dât un jutori no di pôc tal cjapâ cussience de particolaritât di jessi furlans, no dome dal pont di viste gjeografic, ma ancje storic e culturâl, par tocjâ il politic e l'etiche, soredut intune suaze come chê di vuê li che l'omologazion globâl e culturâl e pâr nivelâ dut viers il bas. Par contats e informazions: 0432 764381 o ancje 0432 848882, vie pueste eletroniche: mauro.della.schiava@alice.it

fonte: http://www.friulweb.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=340:secont-aniversari-di-pre-toni-beline&catid=69:marilenghe&Itemid=84

una poesia di pre Toni

GLESEUTE BANDONADE
di Pre Toni Beline

Gleseute bandonade
Lassù,
tal boscs,
ad ôr di une stradele
che nol passe plui nissun.
D’invier t’invuluce la nêf
e ti dà une man di blanc
che tu semeis une nuvice.
Po la nêf a si disfâs
e il prin soreli de vierte
al met a rût duc’ i tiei agns
e lis tôs ramis rotis
e lis tôs puartis caruladis
e lis tôs clavàriis inrusinidis,
parceche nol ven plui nissun
a preâ
a domandâ
a vaî
a polsâ
a pensâ

*************
Ti àn fate tun âtri mont ;
tu sês di un âtri mont.
E tu stonis tal nestri.
Cui si fermial a cjalâ
chei tiei sanz
cussì fers
tun mont ch’al vultuline come un mat?
Chês musis ch’a cjalin dal altâr
il nestri lanbicâsi,
e ch’a no vain cuanche nô o vaîn,
e ca no ridin cuanche nô o ridîn;
ch’al semee ch’a vetin relativisât
il nestri ridi e il nestri vaî,
il nestri nassi e il nestri murî?
E an viodût a passâ sot dai lôr vôi,
chei granc’ voglons ch’a cjalin dut
cence viodi nuje,
e vueris e pestilensis
e disgraciis e furtunis,
e miserie e massepassudèrie,
e int di ogni etât
e dolôrs di ogni sorte:
Ju àn preâz suspirant,
ur àn berlât porconant
te streme dal lôr cûr.
E lôr sinpri alì,
chei sanz fûr de storie,
chei sanz cence storie,
ch’a no bassìlin,
ch’a no s’incòrin,
ch’a no cjapin bot,
fûr come ch’a son
e dal tinp
e de passions dal onp.

****

Ma ce fâ di une sdrume di int
che ti sta li a cjalâ
cence dâti une man,
cence dâti rispueste,
cence disberdeâ
chei gredeis
ch’a invelegnin la tô vite
e ch’a ti lanbìchin
de scune ‘e tonbe?
Sanz ch’o veis mangjât dome bêz,
bêz di biade int;
sanz ch’o veis cunsumade dome cere,
cere di biade int;
sanz ch’o cjalais la nestre storie
cence bati cei?

*****
E tu cjanpane,
che tu sunis cul stes intono
e la vite e la muart;
che tu saludis
cun chel sunôr stes
il dì ch’al nas
e il dì ch’al mûr?

****
E vuâtri predis,
ch’o vignîs cassù
sinpri plui da râr
e sinpri plui in presse,
a contâ chê e sinpri chê,
che si sa che no à comedât nuje
e che la int e jè disperade come sinpri
e plui di sinpri,
e vuâtris o lais indenant sinpri cun chê letanìe
fûr di ogni logjche,
fûr di ogni speriense?
Ce staiso a fâ?

****
Gleseute bandonade,
che dibot nessun ti cjale,
che no tu zovis a nuje…..
Ma cui à dit che tu às di zovâ?
Sanz che no rispuindeis……
Ma cui à dit ch’o veis di rispuindi?
E rispuindi ce?
Cui à dit che chei voglons,
fodrâz di telis di rai,
no cjalin cul voli de eternitât,
là che la nestre tagjedie
e devente comedie,
e la nestre grande sapiense
e devente stupiditât,
e il nestri strussiâsi
un butâ vie il tinp
e un sassinâ la vite?
O sin tant usâz a doprâ dut,
a cirî une rispueste in dut,
e a lâ indenant cu la nestre logjche,
che glesiis e sanz e cjanpanis
a jessin de nestre logjche
e a nus dan fastidi
e ju calcolìn une robe in plui.
Parceche no son sul nestri stanp
e nô no volìn deventât sul lôr
e scomenzâ a cjalâ li robis
cul voli de eternitât
e no sinpri cun chel dal profit.

****
Sanz e santis pituradis su pai mûrs
Immufîz
e pojadis tes nicjs dai nestris altârs
in crassigne,
preait par nô,
ch’a no savìn preâ ;
taseit par nô,
ch’a no savìn tasê;
dait un sens di eternitât
al nestri strussiâsi di un lanp;
meteinus in crisi,
nô ch’o volìn rispuindi a dut.
Se ancje nô no us cjalìn,
lassù lontan dal sunsûr incasinât dal mont,
vuâtris cjalait jù instes
cun chei granc’ voglons.

*****
E cuanche, atôr de gleseute bandonade,
ti rive une cubiute di zovins
a cisicâsi,
a palpučâsi,
a suspirâ,
e a fâ i granc’ progjez de vite,
cjalàiju di bon voli :
a son i unics
in grât di fâ progjez maz
tun mont condanât a jessi sinpri serio
e calcoladôr;
a son i unics ch’a san fâ progjez maz
cjalant il soreli ch’al plôf jù framieč dai ramaz.
Cheâtris a son duc’ inpegnâz
a fâ calcui
sul vuè e sul doman
e sul passandoman
e di chi a cent’agns.
No us fàsino pene
cun chei vôi strcs,
cun chei tacuins sglonfs
e cun chei cûrs glačâz?

****
Joi, ce ben che tu stâs lassù,
gleseute bandonade dai onps,
cui uceluz ch’a ti cjantin
dut il dì la lôr voe di vivi
e soresere si poin stracs
tôr des tôs gornis
e sui tiei barconuz cui gàtars.
E il soreli ti clipis,
e il folc ti inlumine ancje di gnot,
e tal pradut toratôr
al è dut un siminâ di lisertis
e dentri, su pai mûrs e tai trâfs,
i rais ti regalin
in pâs
i lôr ricams.
La ploe, ogni tant, ti lave la muse
e l’ajar ti suje.
E cuanche a svinte la buere
ancje la cjanpanute e cjape gust
e si ničule
cun tun sgrìsul
che di cajù al parares un lament.



da: “fantasticant……” ribis editôr

fonte: http://www.viverearagogna.it/pagine/articoli/carnia26.html

video di pre toni

su Cjargne Online:

http://www.videotelecarnia.it/cirint%20lis%20olmis%20di%20Diu.htm

da Cjargne Online

un ricordo di pre Toni Beline

fonte: http://www.cjargne.it/libri/PRETONIBELINE.htm

da lenghe.net

PRE TONI BELINE INTUN LUNARI PAL 2010
INTE SUAZE DI UN PROGJET DI BENEFICENCE

Sabide ai 7 di Novembar te glesie di Visepente, aes cuatri sot sere, al vignarà presentât il lunari 2010 dedicât a Pre Toni Beline. Realizât pal tierç an par cure di Alida Pevere e Cristian Liberale, al cjape dentri cetancj strucs dai plui biei e profonts pinsîrs di chest predi, fotografiis sôs e di famee, une preiere e poesiis dal stes Beline e dai poetis Gloria Angeli, Giacomina De Michieli, Ciro Di Gleria, Lucina Dorigo, Giuliana Pellegrini, Alida Pevere, Celestino Vezzi, Domenico Zannier, Sergio Zannier. Il ritrat di cuviertine al è stât realizât de artiste Marina Coccolo.

Ae presentazion a intervignaran a ricuardâ il tradutôr de Bibie in marilenghe: Pre Romano Michelotti de Associazion “Glesie Furlane”, Pio Bellina, fradi di pre Toni, Guido Sut e Celestino Vezzi che pe ocasion al puartarà ancje une video interviste fate a pre Toni in colaborazion cun Video Tele Carnia, la emitent che lu à simpri seguît cun interès e afiet.

La finalitât di chest lunari, oltri al ricuart, e je chê di continuâ une opare di beneficence tacade propit di lui: fâ poçs di aghe e scuelis in Cueste d’Avori e Benin. E al è propit cu la proiezion di un filmât di Danilo Pigat, ae fin de serade, che al vignarà fat il rindicont des oparis realizadis in Afriche cul rigjâf dal calendari di chest an.

Chest lunari al è stât patrocinât di diviersis associazions e sostignût cun promesse di compre de bande di sengulis personis che lu àn prenotât in anticipi permetint cussì la sô realizazion.

Daspò la presentazion si podarà cjatâlu te edicule di Visepente, in chês dai paîs dongje e di Colorêt di Montalban.

fonte: http://www.lenghe.net/read_art.php?articles_id=1755&PHPSESSID=0721331d7c8a2ff27c69941154d5060b

gli scritti di Pre Toni Beline in una raccolta

Creare una raccolta completa di tutti gli scritti di Pre Toni Beline. È il progetto di Glesie furlane che la Provincia di Udine sosterrà con il suo contributo. Oggi a palazzo Belgrado la sottoscrizione del protocollo d’intesa che impegna l’ente di area vasta ad assegnare all’associazione Glesie furlane un contributo quinquennale - fino al 2013 - per la realizzazione del progetto “Pre Antoni Beline: un profete pal Friûl di doman”. Il progetto è finalizzato alla raccolta e alla pubblicazione del patrimonio letterario di don Antonio Bellina in un’edizione completa e organica. Complessivamente la Provincia assegnerà 80 mila euro che saranno impiegati per la pubblicazione di 9 opere letterarie di Pre Antoni Beline: “Sul at di voltâ pagjine”, “Par amôr o par fuarce?”, “Eutanasie di un Patriarcjât”, “Amôr di patrie”, “Fortunât il popul che il Signôr al è il so Diu”, “Rogazions”, “Cirint li solmis di Diu – V”, “Trilogie” e “De Senectute”. Proprio quest’ultimo scritto, inedito, sarà presentato domenica prossima a Venzone.
A sottoscrivere il documento, dunque, il presidente Pietro Fontanini e il presidente di Glesie furlane Giovanni Pietro Biasatti.«Ritengo che si stia parlando di uno dei progetti più importanti per la letteratura friulana – ha confermato Fontanini –. Tutti noi abbiamo un debito verso quest’uomo che ha speso tutta la sua vita per il Friuli, la sua gente e la sua cultura». Il progetto di Glesie furlane prevede l’edizione completa in marilenghe. «Qui non si tratta di essere contro l’italiano – ha commentato Fontanini – ma di rispettare la volontà di divulgazione della marilenghe di pre Toni».
Pier Antonio Bellina (detto Pre Toni Beline) Ordinato sacerdote nel 1965, Esercitò il ministero a Codroipo, a Valle e Rivalpo e a Trelli, infine a Basagliapenta di Basiliano. Morì il 23 aprile del 2007. Fu uno dei protagonisti della vita culturale friulana a cavallo tra il XX ed i XXI secolo. Si distinse per la sua lucida e spesso polemica analisi di temi relativi alla friulanità ed alla pastorale religiosa.

fonte: http://aldorossi.splinder.com/post/20387635/Udine%3A+gli+scritti+di+Pre+Toni

Sior Santul

recensione da Cjargne Online:

http://www.cjargne.it/libri/siorsantul.htm

Sior Santul (letteralmente: signor Padrino) è l’appellativo con cui, solamente in Carnia, viene ancora oggi indicato e chiamato il parroco del paese. Questo termine racchiude in sé un profondo significato poiché il parroco, battezzando tutti i bambini del paese, diviene automaticamente SANTUL (cioè Padrino) di tutti e, per diversificarlo dal padrino personale di ciascuno, viene appunto chiamato SIOR SANTUL.

Su inconsapevole e benevola istigazione dell’amico Marino, ho riletto (per la terza volta, come accade solitamente per i libri che emozionano) questo primo lavoro di pre Antoni Bellina, pubblicato 30 anni fa, nel 1976, alcuni mesi PRIMA del terremoto del 6 maggio, quando l’autore non aveva che 35 anni.

Pur se ancora acerbo nello stile, che avrà completa maturazione negli anni seguenti, pur se appesantito da inutili ripetizioni, questa opera (che a mio avviso resta la più fresca e genuina di questo autore) racchiude già in nuce tutta la filosofia ed il pensiero di pre Toni Beline, che saranno via via riproposti e approfonditi successivamente nelle oltre 100 altre pubblicazioni, che la penna fantasiosa e assai prolifica di pre Toni ha finora partorito e continua a partorire incessantemente. Vi è perfino (pag. 49 e pag. 65) il preludio al suo lavoro più conosciuto e contestato, pubblicato poi nel 1999, “La fabriche dai predis” (già presente nella nostra biblioteca), che è una singolare autobiografia nella quale pre Bellina, prendendo lo spunto da fatti personali, fa l’autopsia ad un cadavere (il seminario) riesumato dopo 30 anni dalla sua morte (avvenuta per consunzione propria e conseguente implosione). Caro pre Toni, quelle cose sul Seminario, dovevi scriverle prima, quando il malato era ancora vivente e forse (?) poteva essere ancora salvato; un’ autopsia eseguita a 30 anni di distanza dal decesso, non è mai troppo attendibile e dà spesso risultati fuorvianti o contradditori…

Questo libro invece, scritto in lingua friulana, è la biografia di don Luigi Zuliani (1876-1953), un prete carnico, che restò SIOR SANTUL nel paese di Cercivento per ben 53 anni, dal 1900 al 1953! Una vita spesa interamente a favore di un paese, fiaccato da due guerre, dal fascismo, dalla miseria, dall’ emigrazione… La penna di pre Toni sa cogliere (pur non avendolo egli conosciuto personalmente) le varie sfaccettature di SIOR SANTUL, i suoi aspetti esaltanti e i suoi limiti, i suoi tics e i suoi sbalzi d’umore, la sua totale generosità e la sua cronica povertà… Pre Toni sa scrivere in un friulano squisito, che piace fin da subito, facile, piano ma ricco di significati e immediate emozioni: si gusta davvero lo scrivere di pre Toni, che sa mirabilmente estrarre dalla nostra lingua madre i termini più adeguati (e a volte ormai desueti) per esprimere sentimenti, giudizi, perplessità, stupore, sdegno, allegria…

La grande figura di SIOR SANTUL emerge senza aureola e senza volute d’incenso ma non per questo è meno affascinante e meno coinvolgente: proprio perché è umanamente vera, questa figura di prete appare oggi molto più concreta e solida di tante altre agiografie di preti (e vescovi) che furoreggiano in questi tempi di fiction. Il SIOR SANTUL di pre Toni è un prete vero, reale, che magari va a rubare le mele ai ricchi per darle ai poveri, che magari non paga i debiti fatti per acquistare regali ai bambini, che magari non paga la bolletta della luce adducendo che l’acqua che muove le turbine della SECAB è mandata da Dio anche per lui, che magari ama il vino e non disdegna la compagnia allegra, che magari teme la Madonna Missionaria con la sua corte di mangjons… eppure SIOR SANTUL ci resta nel cuore per sempre con la sua disincantata sapienza, con la sua bonaria semplicità, con la sua fede di bambino, con quel suo terrore dei vescovi-funzionari, freddi come il naso del gatto e lontani dalla gente e dai preti…

Oltre alla splendida biografia di questo SIOR SANTUL, pre Toni Bellina ci offre nelle prime 50 pagine del libro un interessantissimo antipasto, che riguarda l’AMBIENTE in cui si muove il romanzo-biografia. Tra questi capitoli iniziali, meritano senz’altro un interesse i seguenti:

- LA CHIESA E LA SCUOLA in Carnia, dove vengono tratteggiati per sommi capi i lineamenti del problema “SCUOLA” come venne vissuto e realizzato in Carnia nel ‘700 e ‘800, quando la Chiesa era l’unica sostenitrice della istruzione del popolo, poiché lo Stato non esisteva oppure era del tutto assente su questo versante. Vi si racconta dei capellani-maestri, degli ispettori-monsignori…

- LA FAMIGLIA viene raccontata sul modello pre-terremoto 1976 e fa riferimento al tipo di famiglia patriarcale in auge in Carnia fino agli inizi degli anni ’70: molto significativi anche gli spunti profetici inseriti che vi si trovano.

- La RELIGIONE in Carnia ha da sempre una venatura consistente di luteranesimo che la rende diversa e più personale rispetto a quella del Friuli e del Veneto, più bigotta, barocca e preote…

- Il CLERICALISMO dei preti è il capitolo più singolare e sincero di pre Toni, in cui vi sono raccolti tutti i temi della successiva attività di scrittore: perché esiste il clericalismo dei preti? E quindi perché è nato poi l’anticlericalismo? Sono temi questi molto cari a pre Toni e ancora oggi costituiscono, a ben vedere, l’architrave di tutta la sua vastissima produzione letteraria in cui traspare sempre questa ansia genuina, mai appagata, di volere eliminare il CLERICALISMO dei preti, causa di tantissimi mali per il Popolo di Dio. Pre Toni ama comunque profondamente la sua Chiesa “casta et meretrix”, la vorrebbe però meno meretrix e più casta, più genuina e meno burocratica, più “accanto” e “nel” popolo, che “sopra” il popolo. Di questo si angustiava Pre Toni Beline nel 1976, a 35 anni. Di questo si angustia oggi, nel 2005, a 64 anni!

Wikipedia e Vichipedie

note su Pier antonio Bellina

http://it.wikipedia.org/wiki/Pier_Antonio_Bellina

note su pre Antoni Beline:

http://fur.wikipedia.org/wiki/Antoni_Beline

un blog

tutto dedicato alla figura di pre toni beline:

http://gosperidea.blogspot.com/

contiene filmati e recensioni dei suoi libri
oltre che aforismi in lingua friulana e tradotti in italiano

venerdì 20 novembre 2009

presentazione libro

"Dialogo immaginario con don Antonio Bellina"
del 30 aprile 2009
reportage della serata:

http://www.natisone.it/gnovis/nuove0911.htm

trilogjie tormentade

reportage della serata di presentazione
della ristampa del libro:

http://www.natisone.it/gnovis/nuove0944.htm

un blog interessante

http://cromatianum.splinder.com/post/15739140