Il mio viaggio nella malattia
Post n°5 pubblicato il 27 Gennaio 2009 da io_sono_qui_oggi
Nel suo "De profundis" il compianto Pre antoni Beline (mancato proprio quest'anno) ha scritto che prima o poi ogniuno di noi si dovrà confrontare con la morte e con la malattia che di solito la precede. E' una realtà a cui nessuno può sfuggire. Ma pre Toni ha scritto anche che non si deve pensare che la malattia sia la cosa peggiore di questo mondo. Spesso è la salute che fa emergere il peggio di noi, come la prepotenza e l'invidia, la bramosia, la violenza. La malattia fa emergere il meglio di noi come la pazienza, la solidarietà, la spiritualità, la sensibilità..An che se ogni malato è povero. Qualche volta di amici, qualche volta di speranza. Però anche ricco di tempo per riflettere, per pregare e per intraprendere quel viaggio lungo e impegnativo verso il suo profondo e ultimo destino. E per ironia della sorte, proprio mentre stavo leggendo il "De Profundis" lo scorso mese di agosto mi è stato diagnosticato e in seguito eradicato dal retto, dopo due delicati interventi chirurgici, un tumore maligno. Durante la mia degenza in ospedale ho riflettuto sul fatto che ogni cultura ha il suo modo di affrontare la malattia, la sofferenza, il dolore. Alla fine il viaggio alla ricerca di una cura risolutiva si trasforma in un viaggio interiore alle radici divine dell'uomo. E' questo che ci comunica Tiziano Terzani nel suo "Un altro giro di giostra" ma lui ci insegna anche che niente succede per caso nelle nostre vite e che la cura di tutte le cure è quella di cambiare punto di vista, di cambiare se stessi e dare in tal modo il proprio contributo alla speranza in un mondo migliore, ma anche ci insegna a credere che i miracoli esistono veramente, solo che ognuno deve essere artefice del proprio.
E leggere "la citta della gioia", il grande romanzo di Dominique La Pierre ha avuto per me l'effetto di un farmaco antidolorifico. Le sofferenze di Hasari Pal (l'uomo cavallo) hanno fatto si che i miei dolori fossero più sopportabili. E ha lenito i miei dolori anche solo il fatto di pensare a tutti gli abitanti della "Città della gioia" una bidonville di Calcutta, vero e proprio inferno di miseria e degradazione, nel quale cercano di sopravvivere in mezzo fame e malattie, tra la merda che scorre a fiumi, ma soprattutto solidali gli uni con gli altri.
Non voglio dilungarmi oltre ne approffittare dell'ospitalità concessami gentilmente dal giornale per esternare e rendere pubblici i soliti ringraziamenti di rito (anche se doverosi), ma vorrei tanto mi fosse consentito qui ricordare la giovane infermiera che, dopo avermi visto in lacrime, accarezzandomi e senza dire una parola, ma con grande slancio di empatia, ha saputo alleviare non solo il mio dolore, ma soprattutto le mie paure e la mia solitudine.
Vorrei tanto citarne il nome , ma preferisco custodirlo nel mio cuore.
Gobbi Claudio
fonte: http://blog.libero.it/ifeellikeawoman/
lunedì 20 aprile 2009
domenica 19 aprile 2009
L' ultima intervista a Pre Toni
L' ultima intervista a Pre Toni
A Ovaro, Lunedì 10 Novembre
alle ore 19,30 presso la chiesa di San Martin
Marino Plazzotta commenterà il libro-intervista
"La fatica di essere prete" di Pre Toni Bellina,
esponente di primissimo piano della cultura friulana.
"Pre Toni ha scritto decine di libri (47 per la precisione), ha collaborato a varie testate giornalistiche (Vita Cattolica, La Patrie dal Friûl, Friuli d'Oggi...), ha affrontato varie tematiche (religione, società, scuola, formazione umana, politica, identità friulana...).
Ha tradotto in friulano la Bibbia: già questo fatto lo rende grande e unico nella storia del Friuli!
Ha coordinato e lavorato tantissimo alla stesura del Nuovo Messale in friulano che attende ancora l'imprimatur della CEI.
Molti amici ed estimatori avevano variamente sollecitato la LAUREA HONORIS CAUSA per questo grande scrittore, ignorato dalle èlite ecclesiastiche e accademiche, dalle grandi case editrici, dai giornali locali, dall'establishement culturale: ora è tardi e la laurea potranno dargliela solo IN MEMORIAM.
Davvero una vergogna, una scandalosa vergogna! Ora molti si affretteranno ad esaltarlo, a riempirsi la bocca di lui... Biât pre Toni, tanche il purcit (absit jniuria verbis): bon nome dopo muart!
TUTTA la sua vastissima produzione letteraria è stata scritta in MARILENGHE (in friulano), tutte le sue interviste sono state rilasciate in friulano, tutto il suo parlare e il suo pensare è sempre stato in friulano, un friulano agile, scopiettante, fluente, ironico, aderente al concetto espresso; mai avrebbe accettato di parlare o di scrivere non in friulano, mai avrebbe accettato di tenere una predica non in friulano..."
http://croncachedicarnia.splinder.com/post/18994020/L%27+ultima+intervista+a+Pre+Ton
IL MALESSERE DEI GIOVANI
IL MALESSERE DEI GIOVANI di pre toni beline
Dico la verità.
Ogni volta che la televisione e i mezzi di comunicazione parlano dei giovani mi viene un tonfo cuore perché sicuramente, tre volte su quattro, hanno commesso qualche cosa di grave.
Anche se le notizie di cronaca nera che ci vengono riversate nelle case via etere sono talmente grandi che non si riesce né a ricordarle né tanto meno a riflettere, non si può dimenticare le violenze, gli atti delittuosi, le assurdità che capitano in un campo di gioco o sugli spalti quando le tifoserie di due città o di due squadre antagoniste si scontrano. Lo spettacolo è uno dei più deprimenti e il terreno di gioco è ridotto ad un campo di battaglia.
Tutto distrutto, tutto rovinato.
E quando mostrano le scene delle ultras che si bastonano fra di loro oppure assalgono le forze dell’ordine ti rammenta i momenti più duri di una dittatura.
Eppure siamo in piena libertà o democrazia al limite dell’anarchia.
Il caso dell’ispettore di Catania di trent’otto anni ucciso da un ragazzo di diciasette, il solito bravo ragazzo che non farebbe del male neanche ad una mosca, è inquietante. Se i bravi ragazzi sono così chissà come saranno quelli che invece non lo sono? Se a diciassette anni si ha questa carica di violenza che cosa ne sarà a trenta o a quaranta? Se si presentano nella primavera della vita in questo modo come sarà nella maturità?
Ho menzionato il calcio perché è uno sport nazional-popolare che coinvolge e conoscono tutti.
Ma sarebbe da aggiungere, senza nessuna ambizione di essere esaustivo, i tafferugli che nascono fuori della discoteche, nei rioni delle città come Napoli, Palermo, Bari e altre di vecchia e nuova manovalanza; là dove per uno sguardo di troppo, per un complimento pesante, per una graffiatura alla moto o alla macchina ti scappa il morto.
E il giorno dopo tutti in Chiesa a piangere e ad applaudire e a chiedere l’aiuto allo Stato per dopo contrastarlo e ostacolare le indagini e il lavoro ogni volta che si presenta l’occasione.
E le violenze in famiglia con i figli che diventano degli assassini lucidi e impietosi?
E il mondo della prostituzione e della droga?
Ma veramente la seconda o terza generazione venuta alla luce dalla nostra, che aveva provato sulla propria pelle la fame, la paura, la mancanza del lavoro, la mancanza di tutto è ridotta in questa condizione? E perché? Ma soprattutto cosa si può fare?
In primo luogo mi permetterei di non cadere nella banalità della generalizzazione la dove parte con il criminalizzare e termina poi con l’assoluzione di tutti.
Poiché non è vero che tutti sono ammalati, bacati, violenti e negativi.
Tralasciando il proprio figlio, che per i genitori di oggi, contrariamente ai nostri, è sempre il più buono, il più bravo, il più innocente, il più onesto, si trovano anche oggi e forse più di ieri ragazzi e ragazze sensibili al volontariato, ai problemi mondiali della pace e della tutela dell’ambiente con tutte le contraddizioni tipiche di questa età splendida e problematica. Ciò che più mi fa riflettere è che il ragazzo d’oggi preso singolarmente è piuttosto pauroso, taciturno e riservato.
Si sta ripetendo con i ragazzi quello che i romani dicevano dei loro rappresentanti: “ Senatores boni viri, senatus autem mala bestia” . i senatori sono uno meglio dell’altro ma il senato è un letamaio.
Infatti tante, troppe volte i ragazzi si lasciano coinvolgere dalla violenza del gruppo dove sfogano tutte le loro frustrazioni ed inibizioni e sembra loro di essere finalmente liberi, mentre invece sono schiavi del gruppo, solitamente nelle mani del più prepotente.
I ragazzi, come tutti noi respirano l’aria dell’ambiente che li avvolge compreso l’inquinamento culturale, sociale, psicologico e quant’altro. Il clima di oggi, a differenza di quello del passato, schiaccia il buono e premia invece il prepotente. Un giovane deve andare in giro con le toppe nei pantaloni, con i pearcing, con i tatuaggi, con un atteggiamento volgare, deve bestemmiare, aggredire il prossimo per non essere considerato uno debole. Uno sfigato.Alla nostra epoca emergeva il ritratto del bravo ragazzo anche se tale non era. Adesso per il momento vince il ritratto della prevaricazione anche se sono diversi da quello che vogliono apparire.
Ho toccato la questione dell’apparire e dunque della televisione che è un altro argomento doloroso, non per il fatto che la televisione sia opera del demonio ma semplicemente per il fatto che è utilizzata male sia da quelli che la fanno sia da quelli che la guardano. È diventata la bibbia di oggi il nuovo trattato di educazione e maleducazione, la strada obbligata per avere successo ad ogni costo, l’unico parametro fra il tutto e il niente. E tanti ragazzi hanno la bramosia di andare a finire lì, magari anche nella cronaca nera ma l’importante è finire lì. Forse perché non esiste reale all’infuori del virtuale e questa è una grande tragedia oltre che una fandonia.
Qualcuno, parlando del malessere dei ragazzi fa un paragone con le stagioni atmosferiche: come non esistono le stagioni atmosferiche, così non esistono più le stagioni della vita ma abbiamo giovani vecchi e vecchi giovani, vecchi rivoluzionari e giovani scialbi. Dunque sembrerebbe di capire che non è tanto, o solo, ammalata la stagione della gioventù ma l’ affezione di questa stagione faccia parte di un malessere generale, di una confusione, contraddizione, schizofrenia generalizzata. Questo potrebbe avere anche una sua logica ma non deve diventare un alibi per non dare alla gioventù i suoi meriti e le proprie responsabilità. Sicuramente, su questo malessere morale e psicologico, va ad incidere la precarietà cronicizzata dei ragazzi, l’impossibilità concreta di realizzarsi, il fatto di rimanere in famiglia, eterni bamboccioni, non solo per comodità ma perché non hanno alternativa con la evidente sensazione di frustrazione pronta ad esplodere.Si può aggiungere la mancanza di valori, di riferimento validi e precisi, la scarsità di modelli positivi l’esempio cinico e amorale che ci viene dato dalla stragrande maggioranza del mondo politico ed economico. Non avendo ideali, non avendo prospettive, non avendo sogni e progetti è evidente che vivono alla giornata imitando più le galline nel loro razzolare piuttosto che le aquile nel loro volo libero e liberante: sono senza ali, senza stimoli, senza anima.
Che ci piaccia o no la gioventù di oggi è il ritratto della nostra anima ammalata e materialista; è il risultato della nostra inesistente o scarsa semina. Il fatto di aver fallito con i giovani, giovani intesi come investimento per il futuro,ci fa capire quanto poco lungimiranti, saggi, intelligenti siamo stati. Abbiamo costruito una reggia su un piedistallo di argilla che da un momento all’altro franerà, in quanto c’è l’assenza delle fondamenta basate sull’etica, sulla cultura e sulla spiritualità. Ai nostri ragazzi, nel loro relativo benessere è mancato forse l’aspetto più prezioso della vita: la fame, la voglia, la speranza ha lasciato posto all’assuefazione, alla noia, alla demotivazione da riempire ad ogni costo con il nulla.Per questo motivo vanno capiti, aiutati, amati con grande attenzione, comprensione e soprattutto con esempi, modelli positivi.
TRATTO DA “IL DONO” N° 1/ 2007- Periodico dell’AFDS –Associazione Friulana Donatori Sangue. TRADUZIONE DAL FRIULANO A CURA DI STEFANIA DEREANI.
Fonte: http://www.viverearagogna.it/pagine/articoli/ragognaoggi147.html
Dico la verità.
Ogni volta che la televisione e i mezzi di comunicazione parlano dei giovani mi viene un tonfo cuore perché sicuramente, tre volte su quattro, hanno commesso qualche cosa di grave.
Anche se le notizie di cronaca nera che ci vengono riversate nelle case via etere sono talmente grandi che non si riesce né a ricordarle né tanto meno a riflettere, non si può dimenticare le violenze, gli atti delittuosi, le assurdità che capitano in un campo di gioco o sugli spalti quando le tifoserie di due città o di due squadre antagoniste si scontrano. Lo spettacolo è uno dei più deprimenti e il terreno di gioco è ridotto ad un campo di battaglia.
Tutto distrutto, tutto rovinato.
E quando mostrano le scene delle ultras che si bastonano fra di loro oppure assalgono le forze dell’ordine ti rammenta i momenti più duri di una dittatura.
Eppure siamo in piena libertà o democrazia al limite dell’anarchia.
Il caso dell’ispettore di Catania di trent’otto anni ucciso da un ragazzo di diciasette, il solito bravo ragazzo che non farebbe del male neanche ad una mosca, è inquietante. Se i bravi ragazzi sono così chissà come saranno quelli che invece non lo sono? Se a diciassette anni si ha questa carica di violenza che cosa ne sarà a trenta o a quaranta? Se si presentano nella primavera della vita in questo modo come sarà nella maturità?
Ho menzionato il calcio perché è uno sport nazional-popolare che coinvolge e conoscono tutti.
Ma sarebbe da aggiungere, senza nessuna ambizione di essere esaustivo, i tafferugli che nascono fuori della discoteche, nei rioni delle città come Napoli, Palermo, Bari e altre di vecchia e nuova manovalanza; là dove per uno sguardo di troppo, per un complimento pesante, per una graffiatura alla moto o alla macchina ti scappa il morto.
E il giorno dopo tutti in Chiesa a piangere e ad applaudire e a chiedere l’aiuto allo Stato per dopo contrastarlo e ostacolare le indagini e il lavoro ogni volta che si presenta l’occasione.
E le violenze in famiglia con i figli che diventano degli assassini lucidi e impietosi?
E il mondo della prostituzione e della droga?
Ma veramente la seconda o terza generazione venuta alla luce dalla nostra, che aveva provato sulla propria pelle la fame, la paura, la mancanza del lavoro, la mancanza di tutto è ridotta in questa condizione? E perché? Ma soprattutto cosa si può fare?
In primo luogo mi permetterei di non cadere nella banalità della generalizzazione la dove parte con il criminalizzare e termina poi con l’assoluzione di tutti.
Poiché non è vero che tutti sono ammalati, bacati, violenti e negativi.
Tralasciando il proprio figlio, che per i genitori di oggi, contrariamente ai nostri, è sempre il più buono, il più bravo, il più innocente, il più onesto, si trovano anche oggi e forse più di ieri ragazzi e ragazze sensibili al volontariato, ai problemi mondiali della pace e della tutela dell’ambiente con tutte le contraddizioni tipiche di questa età splendida e problematica. Ciò che più mi fa riflettere è che il ragazzo d’oggi preso singolarmente è piuttosto pauroso, taciturno e riservato.
Si sta ripetendo con i ragazzi quello che i romani dicevano dei loro rappresentanti: “ Senatores boni viri, senatus autem mala bestia” . i senatori sono uno meglio dell’altro ma il senato è un letamaio.
Infatti tante, troppe volte i ragazzi si lasciano coinvolgere dalla violenza del gruppo dove sfogano tutte le loro frustrazioni ed inibizioni e sembra loro di essere finalmente liberi, mentre invece sono schiavi del gruppo, solitamente nelle mani del più prepotente.
I ragazzi, come tutti noi respirano l’aria dell’ambiente che li avvolge compreso l’inquinamento culturale, sociale, psicologico e quant’altro. Il clima di oggi, a differenza di quello del passato, schiaccia il buono e premia invece il prepotente. Un giovane deve andare in giro con le toppe nei pantaloni, con i pearcing, con i tatuaggi, con un atteggiamento volgare, deve bestemmiare, aggredire il prossimo per non essere considerato uno debole. Uno sfigato.Alla nostra epoca emergeva il ritratto del bravo ragazzo anche se tale non era. Adesso per il momento vince il ritratto della prevaricazione anche se sono diversi da quello che vogliono apparire.
Ho toccato la questione dell’apparire e dunque della televisione che è un altro argomento doloroso, non per il fatto che la televisione sia opera del demonio ma semplicemente per il fatto che è utilizzata male sia da quelli che la fanno sia da quelli che la guardano. È diventata la bibbia di oggi il nuovo trattato di educazione e maleducazione, la strada obbligata per avere successo ad ogni costo, l’unico parametro fra il tutto e il niente. E tanti ragazzi hanno la bramosia di andare a finire lì, magari anche nella cronaca nera ma l’importante è finire lì. Forse perché non esiste reale all’infuori del virtuale e questa è una grande tragedia oltre che una fandonia.
Qualcuno, parlando del malessere dei ragazzi fa un paragone con le stagioni atmosferiche: come non esistono le stagioni atmosferiche, così non esistono più le stagioni della vita ma abbiamo giovani vecchi e vecchi giovani, vecchi rivoluzionari e giovani scialbi. Dunque sembrerebbe di capire che non è tanto, o solo, ammalata la stagione della gioventù ma l’ affezione di questa stagione faccia parte di un malessere generale, di una confusione, contraddizione, schizofrenia generalizzata. Questo potrebbe avere anche una sua logica ma non deve diventare un alibi per non dare alla gioventù i suoi meriti e le proprie responsabilità. Sicuramente, su questo malessere morale e psicologico, va ad incidere la precarietà cronicizzata dei ragazzi, l’impossibilità concreta di realizzarsi, il fatto di rimanere in famiglia, eterni bamboccioni, non solo per comodità ma perché non hanno alternativa con la evidente sensazione di frustrazione pronta ad esplodere.Si può aggiungere la mancanza di valori, di riferimento validi e precisi, la scarsità di modelli positivi l’esempio cinico e amorale che ci viene dato dalla stragrande maggioranza del mondo politico ed economico. Non avendo ideali, non avendo prospettive, non avendo sogni e progetti è evidente che vivono alla giornata imitando più le galline nel loro razzolare piuttosto che le aquile nel loro volo libero e liberante: sono senza ali, senza stimoli, senza anima.
Che ci piaccia o no la gioventù di oggi è il ritratto della nostra anima ammalata e materialista; è il risultato della nostra inesistente o scarsa semina. Il fatto di aver fallito con i giovani, giovani intesi come investimento per il futuro,ci fa capire quanto poco lungimiranti, saggi, intelligenti siamo stati. Abbiamo costruito una reggia su un piedistallo di argilla che da un momento all’altro franerà, in quanto c’è l’assenza delle fondamenta basate sull’etica, sulla cultura e sulla spiritualità. Ai nostri ragazzi, nel loro relativo benessere è mancato forse l’aspetto più prezioso della vita: la fame, la voglia, la speranza ha lasciato posto all’assuefazione, alla noia, alla demotivazione da riempire ad ogni costo con il nulla.Per questo motivo vanno capiti, aiutati, amati con grande attenzione, comprensione e soprattutto con esempi, modelli positivi.
TRATTO DA “IL DONO” N° 1/ 2007- Periodico dell’AFDS –Associazione Friulana Donatori Sangue. TRADUZIONE DAL FRIULANO A CURA DI STEFANIA DEREANI.
Fonte: http://www.viverearagogna.it/pagine/articoli/ragognaoggi147.html
La AFDS par furlan
La AFDS par furlan
A un an de muart di pre Toni Beline la AFDS e à publicât un libri cun lis sôs riflessions, pinsîrs che lui al scriveve su la riviste il “Dono”. Come che nus dîs te prefazion Renzo Peressoni “Te nestre associazion o sin usâts a dî che, tra i valôrs che plui a dan un sburt a un desideri tant grant di donâ sanc, al sedi il jessi leâts in maniere profonde a la nestre tiere, a la sô vere tradizion, a chel che i dâ origjinalitât culturâl. Pre Antoni Beline di cheste furlanetât al jere il naturâl puarte bandiere parcè che e je i à savût dâ il miôr di se come om, come scritôr e come studiôs e naturalmentri come predi stant che l’amôr pe nestre tiere al à components sacrâi une vore fuarts.”
Il libri al è stât presentât in ocasion dal congrès nazionâl e par difondi in dute Italie i principis e i valôrs di pre Toni al è stât voltât ancje par talian di pre Romano Michelot che al à curât la selezion dai articui. La semence plantade di pre Antoni no je muarte di bant: ancje se cumò lui nol pues plui puartâ indevant la rubriche, la riviste il Dono e continue a presentâ la pagjine par furlan, che cumò si clame apont “Friûl”.
Venusia Dominici
13/06/2008
fonte: http://www.lapatriedalfriul.org/?p=202
A un an de muart di pre Toni Beline la AFDS e à publicât un libri cun lis sôs riflessions, pinsîrs che lui al scriveve su la riviste il “Dono”. Come che nus dîs te prefazion Renzo Peressoni “Te nestre associazion o sin usâts a dî che, tra i valôrs che plui a dan un sburt a un desideri tant grant di donâ sanc, al sedi il jessi leâts in maniere profonde a la nestre tiere, a la sô vere tradizion, a chel che i dâ origjinalitât culturâl. Pre Antoni Beline di cheste furlanetât al jere il naturâl puarte bandiere parcè che e je i à savût dâ il miôr di se come om, come scritôr e come studiôs e naturalmentri come predi stant che l’amôr pe nestre tiere al à components sacrâi une vore fuarts.”
Il libri al è stât presentât in ocasion dal congrès nazionâl e par difondi in dute Italie i principis e i valôrs di pre Toni al è stât voltât ancje par talian di pre Romano Michelot che al à curât la selezion dai articui. La semence plantade di pre Antoni no je muarte di bant: ancje se cumò lui nol pues plui puartâ indevant la rubriche, la riviste il Dono e continue a presentâ la pagjine par furlan, che cumò si clame apont “Friûl”.
Venusia Dominici
13/06/2008
fonte: http://www.lapatriedalfriul.org/?p=202
sacerdote e intellettuale friulano
incontro giovedì 22 maggio a palazzo Antonini
Pietrantonio Bellina, sacerdote e intellettuale friulano
A un anno dalla scomparsa Ateneo e Glesie furlane
ricordano la figura e l’opera di pre Antoni
Sacerdote, insegnante, scrittore, giornalista e traduttore, Pietrantonio Bellina (Venzone, 1941 – Basiliano, 2007) è stato uno dei maggiori protagonisti della vita culturale friulana degli ultimi decenni. A un anno dalla scomparsa dell’autore della traduzione integrale in friulano della Bibbia, la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Udine e Glesie furlane organizzano il convegno “Pietrantonio Bellina, sacerdote e intellettuale friulano” in programma giovedì 22 maggio, dalle 9.30, nella sala Convegni di Palazzo Antonini, in via Petracco 8 a Udine.
I lavori saranno aperti dall’intervento del preside della facoltà di Scienze della formazione, Franco Fabbro. Seguiranno le relazioni che delineeranno la personalità e il percorso spirituale, culturale e professionale di pre Antoni. Roberto Dapit, docente di Antropologia e storia del Friuli all’Università di Udine, spiegherà perché l’Ateneo intendeva conferire a Bellina la laurea honoris causa in Scienze della formazione primaria. Lo storico Remo Cacitti illustrerà poi il percorso spirituale del sacerdote nell’intervento “Dalla Pieve alla paroikia: l’itinerario cristiano di don Pietrantonio Bellina”. Il biblista Rinaldo Fabris parlerà della “Parola di Dio nella lingua degli uomini”, mentre il giornalista Federico Rossi terrà una relazione dal titolo “Autonomia, percorso di libertà”.
«La divulgazione culturale e linguistica – spiega Roberto Dapit – realizzata attraverso l’ampia opera letteraria, in particolare la traduzione del testo biblico in friulano, è l’attività di insegnante che ha intuito il valore di una scuola in armonia con il territorio hanno motivato la proposta di conferire la laurea honoris causa a Pietrantonio Bellina».
Considerato uno dei maggiori scrittori in lingua friulana, Pietrantonio Bellina è stato ordinato sacerdote nel 1965. Dal 1968 al 1985 ha svolto l’attività di insegnante nella scuola primaria e superiore. La sua produzione letteraria comprende un ampio numero di opere. Molto numerosi anche i contributi minori: pubblicazioni di conferenze e interventi, articoli in giornali, periodici e miscellanee. Nel 1981 e nel 1999 ha ricevuto il premio letterario San Simon, nel 2000 il Premio Epifania. Dal 1979 al 1988 e poi dal 1997 è stato direttore del mensile “La Patrie dal Friûl”. Dal 1994 ha curato per il settimanale “La Vita Cattolica” la rubrica Cirint lis olmis di Diu (Cercando le orme di Dio). La produzione letteraria tocca questioni storiche e politiche, espresse prevalentemente nella stampa periodica, o socioantropologiche, nella saggistica, e riflessioni religiose e teologiche. Molto importante e feconda anche la sua attività di traduzione: dalle fiabe di Fedro alle opere di Esopo, La Fontaine e Collodi. La traduzione in assoluto più importante è la versione integrale della Bibbia in friulano: un’opera di elevata qualità e di incomparabile valore simbolico che consente una più capillare diffusione della lingua letteraria nella vita sociale oltre che religiosa del Friuli. La Bibiee altri scritti dell’Autore sono disponibili anche su internet.
16/05/2008
Fpnte: http://qui.uniud.it/notizieEventi/ateneo/articolo.2008-05-16.7942973547
Pietrantonio Bellina, sacerdote e intellettuale friulano
A un anno dalla scomparsa Ateneo e Glesie furlane
ricordano la figura e l’opera di pre Antoni
Sacerdote, insegnante, scrittore, giornalista e traduttore, Pietrantonio Bellina (Venzone, 1941 – Basiliano, 2007) è stato uno dei maggiori protagonisti della vita culturale friulana degli ultimi decenni. A un anno dalla scomparsa dell’autore della traduzione integrale in friulano della Bibbia, la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Udine e Glesie furlane organizzano il convegno “Pietrantonio Bellina, sacerdote e intellettuale friulano” in programma giovedì 22 maggio, dalle 9.30, nella sala Convegni di Palazzo Antonini, in via Petracco 8 a Udine.
I lavori saranno aperti dall’intervento del preside della facoltà di Scienze della formazione, Franco Fabbro. Seguiranno le relazioni che delineeranno la personalità e il percorso spirituale, culturale e professionale di pre Antoni. Roberto Dapit, docente di Antropologia e storia del Friuli all’Università di Udine, spiegherà perché l’Ateneo intendeva conferire a Bellina la laurea honoris causa in Scienze della formazione primaria. Lo storico Remo Cacitti illustrerà poi il percorso spirituale del sacerdote nell’intervento “Dalla Pieve alla paroikia: l’itinerario cristiano di don Pietrantonio Bellina”. Il biblista Rinaldo Fabris parlerà della “Parola di Dio nella lingua degli uomini”, mentre il giornalista Federico Rossi terrà una relazione dal titolo “Autonomia, percorso di libertà”.
«La divulgazione culturale e linguistica – spiega Roberto Dapit – realizzata attraverso l’ampia opera letteraria, in particolare la traduzione del testo biblico in friulano, è l’attività di insegnante che ha intuito il valore di una scuola in armonia con il territorio hanno motivato la proposta di conferire la laurea honoris causa a Pietrantonio Bellina».
Considerato uno dei maggiori scrittori in lingua friulana, Pietrantonio Bellina è stato ordinato sacerdote nel 1965. Dal 1968 al 1985 ha svolto l’attività di insegnante nella scuola primaria e superiore. La sua produzione letteraria comprende un ampio numero di opere. Molto numerosi anche i contributi minori: pubblicazioni di conferenze e interventi, articoli in giornali, periodici e miscellanee. Nel 1981 e nel 1999 ha ricevuto il premio letterario San Simon, nel 2000 il Premio Epifania. Dal 1979 al 1988 e poi dal 1997 è stato direttore del mensile “La Patrie dal Friûl”. Dal 1994 ha curato per il settimanale “La Vita Cattolica” la rubrica Cirint lis olmis di Diu (Cercando le orme di Dio). La produzione letteraria tocca questioni storiche e politiche, espresse prevalentemente nella stampa periodica, o socioantropologiche, nella saggistica, e riflessioni religiose e teologiche. Molto importante e feconda anche la sua attività di traduzione: dalle fiabe di Fedro alle opere di Esopo, La Fontaine e Collodi. La traduzione in assoluto più importante è la versione integrale della Bibbia in friulano: un’opera di elevata qualità e di incomparabile valore simbolico che consente una più capillare diffusione della lingua letteraria nella vita sociale oltre che religiosa del Friuli. La Bibiee altri scritti dell’Autore sono disponibili anche su internet.
16/05/2008
Fpnte: http://qui.uniud.it/notizieEventi/ateneo/articolo.2008-05-16.7942973547
Vivere la Memoria
Vivere la Memoria
(Pierluigi Dipiazza - Messaggero Veneto del 23/04/2008)
Vivere le memorie è fondamentale per la nostra esperienza personale, per quella della comunità di fede, della società, delle istituzioni e della politica.
Il 23 aprile dello scorso anno è morto pre Toni Bellina, profeta del Friuli, sulla piazzetta accanto alla chiesa di Basagliapenta dov'era parroco. Viverne la memoria significa riflettere, pregare, tenere vivo e riproporre il suo insegnamento di uomo e di prete fedele al Vangelo e alle persone. Il ricordo per sempre riconoscente per lo straordinario impegno di traduzione della Bibbia in lingua friulana non dovrebbe mettere in qualche modo in secondo piano le sue parole e i suoi numerosi scritti, che comunicano una fede inquieta e profonda che assume dubbi e interrogativi e vibra della confidenza e dell'affidamento al Signore.
Proprio a partire dalla Bibbia, pre Toni ha letto la vita e la storia, il potere e il denaro, il consumismo e il conformismo, le armi e la guerra, la Chiesa dalla parte degli umili, dei poveri, dei sofferenti, degli scartati dalla logica di questo mondo, cogliendo in loro, assieme al dolore e alle fatiche, la fede e la sapienza del cuore che emergono dal basso. La malattia e il dolore fisico, sperimentati per lunghi anni, in modo particolare nell'ultimo periodo della vita, e la solitudine e l'amarezza per l'incomprensione vissuti nella società e nella Chiesa hanno contribuito via via alla sua essenzialità, all'entrata nel "segreto delle cose", nella profondità dell'anima proprio nel rapporto tra fede e storia, Vangelo e vita, uomo e Dio, vita presente e ulteriorità della stessa nel mistero di Dio. È da questa essenzialità che è venuta la sua critica agli aspetti della società, delle istituzioni, della politica, della Chiesa lontani dalla storia delle persone, dalle loro sofferenze, dalle loro attese e speranze. Un uomo e un prete libero, per questo ancor oggi "temuto" se, per esempio, si continua a censurare il suo libro La fabriche dai predis, in una logica che pretende di nascondere invece di favorire occasioni di analisi, di confronto, di dialogo, dimenticando che il Vangelo stesso ci esorta a cercare con coraggio la verità, perché solo «la verità ci rende liberi».
Il giorno prima di morire, pre Toni nella celebrazione serale dell'Eucarestia aveva comunicato l'ideale e l'esperienza di una Chiesa profetica libera, fedele, coerente, svincolata dal potere del denaro, dell'apparenza e del militarismo; una Chiesa del Vangelo, ricca di fede e di umanità, a partire da quella che vive in Friuli, per contribuire a comunità più libere e autentiche. Pre Toni mi diceva che io guardo troppo al mondo e meno al Friuli; gli rispondevo che la sua attenzione particolare al Friuli e la mia al mondo potevano contribuire a quella visione che lega ormai inscindibilmente le nostre comunità locali a quelle di tutto il pianeta. Qualche anno fa ne avevamo riflettuto pubblicamente insieme nel pomeriggio di una domenica a Venzone. Per me la memoria di pre Toni è viva e significativa; lo sento compagno di fede nel cammino quotidiano.
Il 25 aprile di 16 anni fa, nel 1992, a seguito di un incidente stradale, morì padre Ernesto Balducci, al quale nel settembre successivo abbiamo dedicato il Centro di accoglienza per persone immigrate e di promozione culturale di Zugliano. Figlio di una famiglia povera - il padre era minatore -di Santa Fiora, alle pendici del monte Amiata, dove ora è sepolto, è stata una delle figure profetiche dell'Italia dagli anni 60 agli anni 90, da quando nel 1963 è stato condannato dal Tribunale di Firenze per aver difeso la scelta dell'obiezione di coscienza al servizio militare. Uomo e prete di profonda intelligenza, ha vissuto il passaggio dalla sacralità alla laicità, dalla fede ideologica alla Parola profetica del Vangelo annunciata e vissuta nella celebrazione dell'Eucarestia e come vincolo di fedeltà e coerenza nell'impegno nella storia per contribuire a un'umanità di giustizia e di pace. Studioso, infaticabile scrittore e comunicatore in tutti i luoghi d'Italia, padre Ernesto continua a insegnarci che il vero Dio pur intuito, creduto, pregato, è ancora nascosto e mai può essere identificato con i nostri concetti su di lui né con le nostre liturgie. Ragionevolmente fiducioso nelle possibilità di bene dell'essere umano, si è impegnato per diffondere una cultura della pace, opponendosi in nome della ragione all'irrazionalità delle armi e delle guerre. Continuamente attento alle condizioni di impoverimento di gran parte dell'umanità e alle responsabilità del nostro mondo per questa situazione, specialmente negli ultimi anni, ha approfondito la riflessione sul rapporto con la diversità culturale e religiosa dell'altro. Sulla pietra della tomba è riportata una sua frase pregnante di significati profetici, spirituali e storici: «Gli uomini del futuro o saranno uomini di pace o non saranno», nella duplice accezione: non ci saranno più perché distruggeranno la loro vita e quella degli altri esseri viventi. Non ci saranno più perché non saranno degni di essere considerati umani perché avranno tralasciato il compito di costruire la pace. Nel cimitero di Santa Fiora la tomba è collocata accanto a quella di 23 suoi coetanei, alcuni compagni di banco fucilati dai nazisti nel 1944. Padre Ernesto attivando la memoria viva del loro martirio si chiedeva cosa facciamo noi, oggi, per non tradirla. Vivere la memoria del 25 aprile oggi significa impegnarci in una liberazione continua: dall'ingiustizia, dalla fame, dalle armi, dalle guerre, dalle diverse forme di terrorismo, dall'illegalità e dalla corruzione, dal razzismo di diversa specie, dalla distruzione dell'ambiente e dal materialismo.
Mi pare che possiamo rapportare in modo molto profondo e significativo la memoria di pre Toni Bellina, di padre Ernesto Balducci e di tutte le donne e gli uomini andati incontro alla morte per un paese in cui libertà, giustizia, legalità, democrazia siano praticati: e questo legame è la fedeltà al vero, il fastidio morale per ogni forma di disumanità, la coerenza, il coraggio, la dedizione e l'impegno per il bene comune.
Tratto da: http://www.natisone.it/messe/archivio/messe389.htm
(Pierluigi Dipiazza - Messaggero Veneto del 23/04/2008)
Vivere le memorie è fondamentale per la nostra esperienza personale, per quella della comunità di fede, della società, delle istituzioni e della politica.
Il 23 aprile dello scorso anno è morto pre Toni Bellina, profeta del Friuli, sulla piazzetta accanto alla chiesa di Basagliapenta dov'era parroco. Viverne la memoria significa riflettere, pregare, tenere vivo e riproporre il suo insegnamento di uomo e di prete fedele al Vangelo e alle persone. Il ricordo per sempre riconoscente per lo straordinario impegno di traduzione della Bibbia in lingua friulana non dovrebbe mettere in qualche modo in secondo piano le sue parole e i suoi numerosi scritti, che comunicano una fede inquieta e profonda che assume dubbi e interrogativi e vibra della confidenza e dell'affidamento al Signore.
Proprio a partire dalla Bibbia, pre Toni ha letto la vita e la storia, il potere e il denaro, il consumismo e il conformismo, le armi e la guerra, la Chiesa dalla parte degli umili, dei poveri, dei sofferenti, degli scartati dalla logica di questo mondo, cogliendo in loro, assieme al dolore e alle fatiche, la fede e la sapienza del cuore che emergono dal basso. La malattia e il dolore fisico, sperimentati per lunghi anni, in modo particolare nell'ultimo periodo della vita, e la solitudine e l'amarezza per l'incomprensione vissuti nella società e nella Chiesa hanno contribuito via via alla sua essenzialità, all'entrata nel "segreto delle cose", nella profondità dell'anima proprio nel rapporto tra fede e storia, Vangelo e vita, uomo e Dio, vita presente e ulteriorità della stessa nel mistero di Dio. È da questa essenzialità che è venuta la sua critica agli aspetti della società, delle istituzioni, della politica, della Chiesa lontani dalla storia delle persone, dalle loro sofferenze, dalle loro attese e speranze. Un uomo e un prete libero, per questo ancor oggi "temuto" se, per esempio, si continua a censurare il suo libro La fabriche dai predis, in una logica che pretende di nascondere invece di favorire occasioni di analisi, di confronto, di dialogo, dimenticando che il Vangelo stesso ci esorta a cercare con coraggio la verità, perché solo «la verità ci rende liberi».
Il giorno prima di morire, pre Toni nella celebrazione serale dell'Eucarestia aveva comunicato l'ideale e l'esperienza di una Chiesa profetica libera, fedele, coerente, svincolata dal potere del denaro, dell'apparenza e del militarismo; una Chiesa del Vangelo, ricca di fede e di umanità, a partire da quella che vive in Friuli, per contribuire a comunità più libere e autentiche. Pre Toni mi diceva che io guardo troppo al mondo e meno al Friuli; gli rispondevo che la sua attenzione particolare al Friuli e la mia al mondo potevano contribuire a quella visione che lega ormai inscindibilmente le nostre comunità locali a quelle di tutto il pianeta. Qualche anno fa ne avevamo riflettuto pubblicamente insieme nel pomeriggio di una domenica a Venzone. Per me la memoria di pre Toni è viva e significativa; lo sento compagno di fede nel cammino quotidiano.
Il 25 aprile di 16 anni fa, nel 1992, a seguito di un incidente stradale, morì padre Ernesto Balducci, al quale nel settembre successivo abbiamo dedicato il Centro di accoglienza per persone immigrate e di promozione culturale di Zugliano. Figlio di una famiglia povera - il padre era minatore -di Santa Fiora, alle pendici del monte Amiata, dove ora è sepolto, è stata una delle figure profetiche dell'Italia dagli anni 60 agli anni 90, da quando nel 1963 è stato condannato dal Tribunale di Firenze per aver difeso la scelta dell'obiezione di coscienza al servizio militare. Uomo e prete di profonda intelligenza, ha vissuto il passaggio dalla sacralità alla laicità, dalla fede ideologica alla Parola profetica del Vangelo annunciata e vissuta nella celebrazione dell'Eucarestia e come vincolo di fedeltà e coerenza nell'impegno nella storia per contribuire a un'umanità di giustizia e di pace. Studioso, infaticabile scrittore e comunicatore in tutti i luoghi d'Italia, padre Ernesto continua a insegnarci che il vero Dio pur intuito, creduto, pregato, è ancora nascosto e mai può essere identificato con i nostri concetti su di lui né con le nostre liturgie. Ragionevolmente fiducioso nelle possibilità di bene dell'essere umano, si è impegnato per diffondere una cultura della pace, opponendosi in nome della ragione all'irrazionalità delle armi e delle guerre. Continuamente attento alle condizioni di impoverimento di gran parte dell'umanità e alle responsabilità del nostro mondo per questa situazione, specialmente negli ultimi anni, ha approfondito la riflessione sul rapporto con la diversità culturale e religiosa dell'altro. Sulla pietra della tomba è riportata una sua frase pregnante di significati profetici, spirituali e storici: «Gli uomini del futuro o saranno uomini di pace o non saranno», nella duplice accezione: non ci saranno più perché distruggeranno la loro vita e quella degli altri esseri viventi. Non ci saranno più perché non saranno degni di essere considerati umani perché avranno tralasciato il compito di costruire la pace. Nel cimitero di Santa Fiora la tomba è collocata accanto a quella di 23 suoi coetanei, alcuni compagni di banco fucilati dai nazisti nel 1944. Padre Ernesto attivando la memoria viva del loro martirio si chiedeva cosa facciamo noi, oggi, per non tradirla. Vivere la memoria del 25 aprile oggi significa impegnarci in una liberazione continua: dall'ingiustizia, dalla fame, dalle armi, dalle guerre, dalle diverse forme di terrorismo, dall'illegalità e dalla corruzione, dal razzismo di diversa specie, dalla distruzione dell'ambiente e dal materialismo.
Mi pare che possiamo rapportare in modo molto profondo e significativo la memoria di pre Toni Bellina, di padre Ernesto Balducci e di tutte le donne e gli uomini andati incontro alla morte per un paese in cui libertà, giustizia, legalità, democrazia siano praticati: e questo legame è la fedeltà al vero, il fastidio morale per ogni forma di disumanità, la coerenza, il coraggio, la dedizione e l'impegno per il bene comune.
Tratto da: http://www.natisone.it/messe/archivio/messe389.htm
BIOGRAFIA
sacerdote, insegnante, pubblicista, scrittore, traduttore (n. Venzone 11.2.1941). È stato ordinato nel 1965. Ha esercitato il ministero a Valle e Rivalpo in Carnia e a Basagliapenta di Basiliano. È considerato l'enfant terrible del Furlanentum per la sua verve polemica. Nel genere, il suo capolavoro è La fabriche dai predis, opera in cui mette alla gogna tutto il corpo docente del Seminario di Udine, dove studiò, e ogni altra autorità a cui era sottoposto. Dal 1979 al 1988 ha firmato come responsabile il mensile “La Patrie dal Friûl”. In collaborazione con F. Placereani ha tradotto la Bibbia in friulano, pubblicata tra il 1984 e il 1993 dall'editore Ribis di Udine. Nel 1997 ha pubblicato una sua seconda traduzione della Bibbia. Ha inoltre dato alle stampe una cinquantina tra libri e libretti. Si è cimentato anche in poesia. Dal 1994 cura per il settimanale “La Vita Cattolica”, la rubrica Cirint lis olmis di Diu pubblicata poi in volume. Nel 1981 ha avuto il premio letterario San Simon per la prosa in lingua friulana, nel 2000 il Premio Epifania.
Bibl.: Par amôr o par fuarce?, Davâr 1975; Siôr santul, Davâr 1976; Misteris gloriôs (Vitis di un predi e de sô int), Davâr 1980; Tiere di cunfin, Udine 1982; Vanseli par un popul B-C-A, Udine 1984, '88, '90; La Bibie par furlan: un at di fede, un fat di culture, GPF II, 1984; Pre Pitin, Codroipo 1986; Fantasticant..., Udine 1990; Fortunât il popul che il Signôr al è il so Diu.Par une leture sapienziâl de Bibie, Basagliapenta 1991; La fadìe dal crodi, Venčon 1994; Impressions di un Levit Furlan pelegrìn in Tiere Sante, Basagliapenta 1995; Trilogìe tormentade.Don L.Milani, Oscar F.Wilde, P.P.Pasolini, Basagliapenta 1995; A San Jacum là ch'al finis il mont, Venčon 1996; Complean, VC 8.2.1997; A. Garlini, La Bibbia, parabola del Friuli, GAZ 5.6.1999; A la risultive de vite, “Il dono” maggio 2001.
Cfr.: D'Ar. III, 473; F.Ulliana, Tornare con la gente.Clero e identità friulana, Udine 1982; L. Sinesio, Territorio ed identità linguistica dei friulani, tesi di laurea, facoltà di scienze politiche, Università di Trieste, a. a. 1990-91; A.Lanfrit, Bibie par un popul, VC 4.12.1993; G.D'Aronco, L'anime di pre' B., VC 7.1.1995; R.Beretta, Messa in dialetto, “Avvenire” 9.7.1996; L.Sebastianutti, “Turoldo esagerava: la nostra cultura non è ancora morta”, “Il gazzettino” 20.11.1996; P. Roseano, Identità friulana. Così è e così l'hanno prodotta i miti, i parroci, le élite locali, Gorizia 1999; P. Mosanghini, La Curia bandisce il libro e pre B. lo fa ritirare, MV 19.7.2000; G. Colledani, La fabbrica dei preti, “Il barbacian” luglio 2001;M. Verdini, Quella medaglia al gonfalone di Zara, VC 24.11.2001.
tratto da: http://www.friul.net/dizionario_biografico/?id=290&x=1
Bibl.: Par amôr o par fuarce?, Davâr 1975; Siôr santul, Davâr 1976; Misteris gloriôs (Vitis di un predi e de sô int), Davâr 1980; Tiere di cunfin, Udine 1982; Vanseli par un popul B-C-A, Udine 1984, '88, '90; La Bibie par furlan: un at di fede, un fat di culture, GPF II, 1984; Pre Pitin, Codroipo 1986; Fantasticant..., Udine 1990; Fortunât il popul che il Signôr al è il so Diu.Par une leture sapienziâl de Bibie, Basagliapenta 1991; La fadìe dal crodi, Venčon 1994; Impressions di un Levit Furlan pelegrìn in Tiere Sante, Basagliapenta 1995; Trilogìe tormentade.Don L.Milani, Oscar F.Wilde, P.P.Pasolini, Basagliapenta 1995; A San Jacum là ch'al finis il mont, Venčon 1996; Complean, VC 8.2.1997; A. Garlini, La Bibbia, parabola del Friuli, GAZ 5.6.1999; A la risultive de vite, “Il dono” maggio 2001.
Cfr.: D'Ar. III, 473; F.Ulliana, Tornare con la gente.Clero e identità friulana, Udine 1982; L. Sinesio, Territorio ed identità linguistica dei friulani, tesi di laurea, facoltà di scienze politiche, Università di Trieste, a. a. 1990-91; A.Lanfrit, Bibie par un popul, VC 4.12.1993; G.D'Aronco, L'anime di pre' B., VC 7.1.1995; R.Beretta, Messa in dialetto, “Avvenire” 9.7.1996; L.Sebastianutti, “Turoldo esagerava: la nostra cultura non è ancora morta”, “Il gazzettino” 20.11.1996; P. Roseano, Identità friulana. Così è e così l'hanno prodotta i miti, i parroci, le élite locali, Gorizia 1999; P. Mosanghini, La Curia bandisce il libro e pre B. lo fa ritirare, MV 19.7.2000; G. Colledani, La fabbrica dei preti, “Il barbacian” luglio 2001;M. Verdini, Quella medaglia al gonfalone di Zara, VC 24.11.2001.
tratto da: http://www.friul.net/dizionario_biografico/?id=290&x=1
La fatica di essere prete
venerdì 18 aprile 2008
La fatica di essere prete - Pietrantonio Bellina****
Sì, lo so. Sto trascurando il blogghe in questi ultimi giorni. Ma cercherò di recuperare in qualità. :)
Questo post, per esempio, vi renderà più colti, anche se si tratta di un personaggio strettamente legato alla mia regione. Le scrivo qui, infatti, queste cose, piuttosto del blogghe in friulano, dove si sarebbero trovate più a casa loro. Il fatto è che mi piace l'idea di diffondere pensieri globali nati in ambito locale.
Prendiamola alla larga.
Tipo come adesso, a fine aprile di un anno fa, capitano in visita a casa mia due vecchietti da cui stavo quand'ero piccolo. Fra una chiacchiera e l'altra, uno dei due ha le lacrime agli occhi. Mia madre gli chiede che c'è che non va, e questo fa che è disperato perché è morto il prete del paese.
Ora.
Aldilà del rapporto di noi altri con la Chiesa e la Religione in generale, un prete non è proprio quel tipo di morto che piangi. Almeno questo è quanto vale per me, che, per dire, il mio prete nemmeno so che faccia abbia.
Comunque, dicevo, capita che scopro che sto prete non era uno qualsiasi. Oddio, certo, il nome l'avevo già sentito, ma non mi ero mai interessato più di tanto a cosa e quanto facesse.
Così ho scoperto parecchie cose che mi hanno fatto sentire un po' una merda, perché a saperlo prima, sarei andato anche io, come facevano tanti, a sentire qualche sua predica. Quindi è con estrema vergogna che scrivo queste righe, perché spesso abbiamo un tesoro in cantina, ma siamo troppo pigri per scendere le scale o accendere la luce.
Diciamo così, il mio consiglio sarebbe, riguardo al libro di leggere queste righe, riguardo alla sua opera, di dare un'occhiata veloce a wikipedia e riguardo al personaggio di cliccare qui, oppure ancora meglio qui.
Se invece volete che vi faccia un breve elenco delle cose interessanti da dire, eccolo qua.
Pietrantonio Bellina, più comunemente conosciuto come Pre Toni, ha scritto un sacco di libri, tutte in friulano (pare 47). Questo lavoro è il primo che viene pubblicato in italiano (anche se è un'intervista, più che un libro suo)
Ha tradotto la Bibbia in friulano, e non se se riuscite a cogliere il peso di questo lavoro. Ve lo ripeto: ha tradotto la Bibbia in friulano, con approvazione del Vaticano. Ergo, grazie a lui, non Friulani siamo un popolo che, nella propria ricerca di identità (religiosa, in questo caso), ha la Bibbia.
Ha tradotto in friulano anche un sacco di cose come le fiabe di Esopo e Fedro o il Pinocchio di Collodi.
Aveva posizioni poco allineate con la Chiesa e il papà quasi su tutto, e nonostante questo non è mai balza agli onori delle cronache, non ha mai fatto cagnara e non è mai venuto meno ai suoi obblighi di prete cattolico.
E' protagonista, con il suo lavoro più famoso, di uno dei casi italiani di censura strisciante più subdoli e silenziosi. "La fabriche dai predis", libro autobiografico che racconta delle brutture e della non-formazione della vita in seminario, è stato fatto sparire da tutte le librerie. (Tra l'altro è proprio di questi giorni la notizia che si sta cercando di pubblicarlo in italiano, in una traduzione approvata dallo stesso pre Toni Belina, ma osteggiata dai familiari). E per dire, io che lo voglio, già ho visto quanta fatica si fa a ordinarlo on line (25€ - 25-30gg di spedizione, ma arriverà?). Insomma, è riuscito a farci tornare ai tempi dell'inquisizione, provocando il gigante che muore, questo piccolo prete di provincia.
Beh, basta direi. Non voglio essere palloso.
Vi lascio qualche impressione mia sul libro e qualche riflessione del Belina Pensiero.
In quest'intervista mi hanno stupito almeno tre o quattro cose. Tanto per cominciare è un'intervista in cui si mette in mostra un potere della dialettica devastante. Usando parole semplicissime, eppure profonde, Pre Toni riesce a spiegare e prendere posizioni personali e, a volte, incontestabili, su temi spinosi quali i gay, il celibato, il sesso, la morte, l'aldilà, il mistero della fede e i comportamenti della Chiesa in generale.
Punto secondo, Pre Toni riesce a trovare una via personale che lo mette a riparo da molte critiche che si può volgere alla chiesa ma non si può rivolgere a lui. E' un libro, questo, che mi sentirei di consigliare fortemente a tutti i preti e a tutti gli atei, perchè in molti ragionamenti nobilita sia chi crede che chi non crede.
Punto terzo, e poi basta, mi è piaciuta molto la tenerezza e la delicatezza con cui Pre Toni parla. Il suo riuscire a essere tenero e determinato al tempo stesso è a dir poco sorprendente. Mi son fatto l'idea, alla fine, che dev'essere stato anche un gran rompipalle, sto prete, ma uno di quelli da stimare.
Ok. Finito il post. Siete più colti? Spero di sì.
Vi saluto con alcuni passi del Belina-pensiero.
"Uno che va in chiesa deve guadagnare in spiritualità e serenità, non perdere tempo e soldi."
"Riuscire a portare il latino in Africa o in Asia non è un vanto, è una vergogna."
"I morti sono il nostro scrigno di santità, il nostro capitale di storia e di sapienza, il nostro tesoro di esperienza e di cultura, le nostre radici piantate nella terra."
"Se devo essere sincero il rosario mi ha sempre ispirato poco. L'ho sempre considerato come una preghiera noiosa, come la conta delle pecore per sollecitare il sonno. Poi mi fa tornare in mente quanto mi ha raccontato un prete stravagante: 'Se devo dire a mia madre 50 volte la stessa cosa, o non capisce nulla o non vuole ascoltarmi.' "
tratto da: http://gelostellato.blogspot.com/2008/04/la-fatica-di-essere-prete-pietrantonio.html
La fatica di essere prete - Pietrantonio Bellina****
Sì, lo so. Sto trascurando il blogghe in questi ultimi giorni. Ma cercherò di recuperare in qualità. :)
Questo post, per esempio, vi renderà più colti, anche se si tratta di un personaggio strettamente legato alla mia regione. Le scrivo qui, infatti, queste cose, piuttosto del blogghe in friulano, dove si sarebbero trovate più a casa loro. Il fatto è che mi piace l'idea di diffondere pensieri globali nati in ambito locale.
Prendiamola alla larga.
Tipo come adesso, a fine aprile di un anno fa, capitano in visita a casa mia due vecchietti da cui stavo quand'ero piccolo. Fra una chiacchiera e l'altra, uno dei due ha le lacrime agli occhi. Mia madre gli chiede che c'è che non va, e questo fa che è disperato perché è morto il prete del paese.
Ora.
Aldilà del rapporto di noi altri con la Chiesa e la Religione in generale, un prete non è proprio quel tipo di morto che piangi. Almeno questo è quanto vale per me, che, per dire, il mio prete nemmeno so che faccia abbia.
Comunque, dicevo, capita che scopro che sto prete non era uno qualsiasi. Oddio, certo, il nome l'avevo già sentito, ma non mi ero mai interessato più di tanto a cosa e quanto facesse.
Così ho scoperto parecchie cose che mi hanno fatto sentire un po' una merda, perché a saperlo prima, sarei andato anche io, come facevano tanti, a sentire qualche sua predica. Quindi è con estrema vergogna che scrivo queste righe, perché spesso abbiamo un tesoro in cantina, ma siamo troppo pigri per scendere le scale o accendere la luce.
Diciamo così, il mio consiglio sarebbe, riguardo al libro di leggere queste righe, riguardo alla sua opera, di dare un'occhiata veloce a wikipedia e riguardo al personaggio di cliccare qui, oppure ancora meglio qui.
Se invece volete che vi faccia un breve elenco delle cose interessanti da dire, eccolo qua.
Pietrantonio Bellina, più comunemente conosciuto come Pre Toni, ha scritto un sacco di libri, tutte in friulano (pare 47). Questo lavoro è il primo che viene pubblicato in italiano (anche se è un'intervista, più che un libro suo)
Ha tradotto la Bibbia in friulano, e non se se riuscite a cogliere il peso di questo lavoro. Ve lo ripeto: ha tradotto la Bibbia in friulano, con approvazione del Vaticano. Ergo, grazie a lui, non Friulani siamo un popolo che, nella propria ricerca di identità (religiosa, in questo caso), ha la Bibbia.
Ha tradotto in friulano anche un sacco di cose come le fiabe di Esopo e Fedro o il Pinocchio di Collodi.
Aveva posizioni poco allineate con la Chiesa e il papà quasi su tutto, e nonostante questo non è mai balza agli onori delle cronache, non ha mai fatto cagnara e non è mai venuto meno ai suoi obblighi di prete cattolico.
E' protagonista, con il suo lavoro più famoso, di uno dei casi italiani di censura strisciante più subdoli e silenziosi. "La fabriche dai predis", libro autobiografico che racconta delle brutture e della non-formazione della vita in seminario, è stato fatto sparire da tutte le librerie. (Tra l'altro è proprio di questi giorni la notizia che si sta cercando di pubblicarlo in italiano, in una traduzione approvata dallo stesso pre Toni Belina, ma osteggiata dai familiari). E per dire, io che lo voglio, già ho visto quanta fatica si fa a ordinarlo on line (25€ - 25-30gg di spedizione, ma arriverà?). Insomma, è riuscito a farci tornare ai tempi dell'inquisizione, provocando il gigante che muore, questo piccolo prete di provincia.
Beh, basta direi. Non voglio essere palloso.
Vi lascio qualche impressione mia sul libro e qualche riflessione del Belina Pensiero.
In quest'intervista mi hanno stupito almeno tre o quattro cose. Tanto per cominciare è un'intervista in cui si mette in mostra un potere della dialettica devastante. Usando parole semplicissime, eppure profonde, Pre Toni riesce a spiegare e prendere posizioni personali e, a volte, incontestabili, su temi spinosi quali i gay, il celibato, il sesso, la morte, l'aldilà, il mistero della fede e i comportamenti della Chiesa in generale.
Punto secondo, Pre Toni riesce a trovare una via personale che lo mette a riparo da molte critiche che si può volgere alla chiesa ma non si può rivolgere a lui. E' un libro, questo, che mi sentirei di consigliare fortemente a tutti i preti e a tutti gli atei, perchè in molti ragionamenti nobilita sia chi crede che chi non crede.
Punto terzo, e poi basta, mi è piaciuta molto la tenerezza e la delicatezza con cui Pre Toni parla. Il suo riuscire a essere tenero e determinato al tempo stesso è a dir poco sorprendente. Mi son fatto l'idea, alla fine, che dev'essere stato anche un gran rompipalle, sto prete, ma uno di quelli da stimare.
Ok. Finito il post. Siete più colti? Spero di sì.
Vi saluto con alcuni passi del Belina-pensiero.
"Uno che va in chiesa deve guadagnare in spiritualità e serenità, non perdere tempo e soldi."
"Riuscire a portare il latino in Africa o in Asia non è un vanto, è una vergogna."
"I morti sono il nostro scrigno di santità, il nostro capitale di storia e di sapienza, il nostro tesoro di esperienza e di cultura, le nostre radici piantate nella terra."
"Se devo essere sincero il rosario mi ha sempre ispirato poco. L'ho sempre considerato come una preghiera noiosa, come la conta delle pecore per sollecitare il sonno. Poi mi fa tornare in mente quanto mi ha raccontato un prete stravagante: 'Se devo dire a mia madre 50 volte la stessa cosa, o non capisce nulla o non vuole ascoltarmi.' "
tratto da: http://gelostellato.blogspot.com/2008/04/la-fatica-di-essere-prete-pietrantonio.html
MANDI PRE BELINE ANCJE DA NOU
MANDI PRE BELINE ANCJE DA NOU
UN GRANT OMP, UN PREDI SCLET , UN CULTURAT FURLAN CENCE PARAGONS NUS A LASAT
23 di avril dal 2007
-Pre Toni Beline al è muart usgnot passade, daspò di agns segnâts de malatie che, dut câs, no veve rivât a cidinâlu. Al jere nassût intal 1941 a Vençon e intal 1965 al jere stât ordenât predi, davuelzint il so ministeri pastorâl prime in Cjargne e po a Visepente. Proprietari de testade "La Patrie dal Friûl", par agns le à curade in prime persone cjapant in man la ereditât di oms tant che Felix Marchi, pre Josef Marchet e Marie Del Fabro, ma al è lât indenant fin sul ultin a stâi daûr al lavôr di redazion. Al à scrit diviers libris e une vore di articui (al curave ancje une rubriche fisse sul setemanâl "La Vita Cattolica". La sô opare plui grande, metude jù cun pre Francesc Placerean, e je la traduzion de Biblie par furlan. Come autôr, invezit, al à scrit libris tant che "La fabriche dai predis", "Siôr santul", "Pre Pitin" e altris ancjemò. Cofondadôr dal grup di "Glesie Furlane", al è stât un pont di riferiment par tancj di lôr, che a son in prime linie inte difese dai dirits linguistics e nazionâi dal Friûl. Cun pre Toni, il Friûl al piert une des vôs plui fuartis, plui scletis e plui significativis che al à vût tai ultins agns.
Tratto da: http://www.viverearagogna.it/pagine/articoli/ragognaoggi129.htm
UN GRANT OMP, UN PREDI SCLET , UN CULTURAT FURLAN CENCE PARAGONS NUS A LASAT
23 di avril dal 2007
-Pre Toni Beline al è muart usgnot passade, daspò di agns segnâts de malatie che, dut câs, no veve rivât a cidinâlu. Al jere nassût intal 1941 a Vençon e intal 1965 al jere stât ordenât predi, davuelzint il so ministeri pastorâl prime in Cjargne e po a Visepente. Proprietari de testade "La Patrie dal Friûl", par agns le à curade in prime persone cjapant in man la ereditât di oms tant che Felix Marchi, pre Josef Marchet e Marie Del Fabro, ma al è lât indenant fin sul ultin a stâi daûr al lavôr di redazion. Al à scrit diviers libris e une vore di articui (al curave ancje une rubriche fisse sul setemanâl "La Vita Cattolica". La sô opare plui grande, metude jù cun pre Francesc Placerean, e je la traduzion de Biblie par furlan. Come autôr, invezit, al à scrit libris tant che "La fabriche dai predis", "Siôr santul", "Pre Pitin" e altris ancjemò. Cofondadôr dal grup di "Glesie Furlane", al è stât un pont di riferiment par tancj di lôr, che a son in prime linie inte difese dai dirits linguistics e nazionâi dal Friûl. Cun pre Toni, il Friûl al piert une des vôs plui fuartis, plui scletis e plui significativis che al à vût tai ultins agns.
Tratto da: http://www.viverearagogna.it/pagine/articoli/ragognaoggi129.htm
il seminario arearea
il seminario arearea
Inserito da fluido il Dom, 14/10/2007 - 09:30
udine
ieri sera dopo tanto tempo ho rivisto uno spettacolo degli Arearea. Come sempre con il loro stile sobrio e immediato senza troppi fronzoli, senza troppe pippe mentali hanno messo in scena assieme all'attore Massimo Somaglino uno spettacolo di testo e danza. Un testo forte come la danza eseguita da 4 uomini. Solo uomini perché si parlava di seminari e della vita in seminario. Somaglino leggeva delle parti del libro "La fabriche dai predis", un testo tolto dalla circolazione dopo 2 giorni dalla pubblicazione perché scomodo alla Chiesa. Il suo autore Antoni Beline, o pre Beline, descrive la sua vita in seminario "fabbrica" di preti. Il testo è forte, non lascia scampo a immaginazioni o interpretazioni. Ovviamente nello spettacolo c'erano solo degli estratti che però davano l'idea della rigidità dell'educazione in seminario. Mi ha colpito moltissimo un canto dedicato a Maria che mi ricordava i canti che facevo alla scuola militare, dove la morte non aveva importanza perché si moriva per la Patria, o, citando il testo di ieri, per l'altare. Il libro è stato semplicemente fatto sparire. Censure dell'Inquisizione? No tutto ciò accadeva nell'anno santo 2000.
Se volete saperne di più http://www.cjargne.it/fabriche.htm
fonte: http://www.fluido.tv/fluidotag/udine
Inserito da fluido il Dom, 14/10/2007 - 09:30
udine
ieri sera dopo tanto tempo ho rivisto uno spettacolo degli Arearea. Come sempre con il loro stile sobrio e immediato senza troppi fronzoli, senza troppe pippe mentali hanno messo in scena assieme all'attore Massimo Somaglino uno spettacolo di testo e danza. Un testo forte come la danza eseguita da 4 uomini. Solo uomini perché si parlava di seminari e della vita in seminario. Somaglino leggeva delle parti del libro "La fabriche dai predis", un testo tolto dalla circolazione dopo 2 giorni dalla pubblicazione perché scomodo alla Chiesa. Il suo autore Antoni Beline, o pre Beline, descrive la sua vita in seminario "fabbrica" di preti. Il testo è forte, non lascia scampo a immaginazioni o interpretazioni. Ovviamente nello spettacolo c'erano solo degli estratti che però davano l'idea della rigidità dell'educazione in seminario. Mi ha colpito moltissimo un canto dedicato a Maria che mi ricordava i canti che facevo alla scuola militare, dove la morte non aveva importanza perché si moriva per la Patria, o, citando il testo di ieri, per l'altare. Il libro è stato semplicemente fatto sparire. Censure dell'Inquisizione? No tutto ciò accadeva nell'anno santo 2000.
Se volete saperne di più http://www.cjargne.it/fabriche.htm
fonte: http://www.fluido.tv/fluidotag/udine
PRE TONI BELINE NUS À LASSÂTS
PRE TONI BELINE NUS À LASSÂTS
AL DISCOMPARÌS UN GRANT PERSONAÇ DE CULTURE FURLANE
Corot in dut il Friûl pe muart, te gnot passade, di pre Toni Beline, 66 agns. Natîf di Vençon, predi a Visepente, diretôr responsabil dal mensîl La Patrie dal Friûl, al è stât un dai grancj animadôrs de culture furlane fintremai tal orepresint. Al à voltât la Biblie par furlan, adun cun pre Checo Placerean, al è autôr dal cetant cjacarât libri “La fabriche dai predis” e di plusôrs tescj, ancje di poesie. Il funerâl al sarà celebrât miercus ai 25 di Avrîl, aes 5 sot sere, te glesie parochiâl di Visepente. Al sarà l'arcivescul emerit bons.Alfredo Battisti a dî la Sante Messe.
O publichìn ca il comunicât dal Comitât 482 dedicât a pre Toni.
Corot par pre Toni Beline
Vuê pre Toni Beline al torne tal grim di chê tiere che tant al à amât e che par jê cussì tant al à lotât. Tiere che no je dome un miscliç di elements inorganics, ma che e je cjar vive, formade di feminis e oms, cu lis lôr sperancis e lis lôr lagrimis, cu lis lôr faturis e cui lôr siums.
Al è dificil di cjatâ lis peraulis par spiegâ ce che o sintìn ta chest moment, pe pierdite di un om che nus à dât tant e, prin di dut, il so esempli. O speravin che al sarès restât ancjemò chi cun nô, parcè che al jere inmò plen di snait, parcè che al veve inmò tant di dî, e parcè che, in lui, la peraule e veve la fuarce de profezie. Magari cussì no, no je lade come che o varessin sperât. Pre Toni al è lât a fâi compagnie a Marchet e a Placerean, a Marchi e a Tellini. A di chei furlans che tant a àn dât e cussì pôc a àn vût de lôr int, che a àn mostrât a clâr che umii nol vûl dî sotans, che si àn batûts par che il Friûl al fos libar e Patrie di oms libars.
Alore, il miôr salût che o podìn dâi a pre Toni al è chel di no avilîsi e di no molâ, parcè che ancje chês bataiis che a somein di pôcs a puedin deventâ di tancj. Si trate, come che al à vût scrit, di “celebrâ lis gloriis di un Friûl vîf e no lis memoriis di un Friûl muart”. Nus tocje duncje ancje a nô di costruî il Friûl gnûf e sperìn di fâlu cu la stesse fantasie, cu la stesse creativitât, cu la stesse inteligjence e cu la stesse ironie di pre Toni.
Udin, 25/04/2007
Il puartevôs dal Comitât 482
Carli Pup
fonte: http://www.lenghe.net/read_art.php?articles_id=1251&PHPSESSID=6
AL DISCOMPARÌS UN GRANT PERSONAÇ DE CULTURE FURLANE
Corot in dut il Friûl pe muart, te gnot passade, di pre Toni Beline, 66 agns. Natîf di Vençon, predi a Visepente, diretôr responsabil dal mensîl La Patrie dal Friûl, al è stât un dai grancj animadôrs de culture furlane fintremai tal orepresint. Al à voltât la Biblie par furlan, adun cun pre Checo Placerean, al è autôr dal cetant cjacarât libri “La fabriche dai predis” e di plusôrs tescj, ancje di poesie. Il funerâl al sarà celebrât miercus ai 25 di Avrîl, aes 5 sot sere, te glesie parochiâl di Visepente. Al sarà l'arcivescul emerit bons.Alfredo Battisti a dî la Sante Messe.
O publichìn ca il comunicât dal Comitât 482 dedicât a pre Toni.
Corot par pre Toni Beline
Vuê pre Toni Beline al torne tal grim di chê tiere che tant al à amât e che par jê cussì tant al à lotât. Tiere che no je dome un miscliç di elements inorganics, ma che e je cjar vive, formade di feminis e oms, cu lis lôr sperancis e lis lôr lagrimis, cu lis lôr faturis e cui lôr siums.
Al è dificil di cjatâ lis peraulis par spiegâ ce che o sintìn ta chest moment, pe pierdite di un om che nus à dât tant e, prin di dut, il so esempli. O speravin che al sarès restât ancjemò chi cun nô, parcè che al jere inmò plen di snait, parcè che al veve inmò tant di dî, e parcè che, in lui, la peraule e veve la fuarce de profezie. Magari cussì no, no je lade come che o varessin sperât. Pre Toni al è lât a fâi compagnie a Marchet e a Placerean, a Marchi e a Tellini. A di chei furlans che tant a àn dât e cussì pôc a àn vût de lôr int, che a àn mostrât a clâr che umii nol vûl dî sotans, che si àn batûts par che il Friûl al fos libar e Patrie di oms libars.
Alore, il miôr salût che o podìn dâi a pre Toni al è chel di no avilîsi e di no molâ, parcè che ancje chês bataiis che a somein di pôcs a puedin deventâ di tancj. Si trate, come che al à vût scrit, di “celebrâ lis gloriis di un Friûl vîf e no lis memoriis di un Friûl muart”. Nus tocje duncje ancje a nô di costruî il Friûl gnûf e sperìn di fâlu cu la stesse fantasie, cu la stesse creativitât, cu la stesse inteligjence e cu la stesse ironie di pre Toni.
Udin, 25/04/2007
Il puartevôs dal Comitât 482
Carli Pup
fonte: http://www.lenghe.net/read_art.php?articles_id=1251&PHPSESSID=6
sabato 18 aprile 2009
pre celest
Una pagina al giorno: «Pre Celest» di Antonio Bellina
di Francesco Lamendola - 26/03/2009
Sono ben poche - crediamo - le persone, fuori del Friuli, che hanno mai sentito il nome di Antonio Bellina.
Viceversa, in Friuli, sono ben poche quelle che non lo hanno mai sentito nominare; anzi, che non hanno mai sentito fare il nome di pre Toni Beline, dove «pre» sta per l'italiano «don» in senso ecclesiastico, e indica un sacerdote, generalmente il parroco di un paese.
Con i suoi quarantasette libri pubblicati, tutti rigorosamente in lingua friulana - dalle riflessioni sulla pastorale e sulla friulanità, alla traduzione delle favole di Esopo e di Fedro, alle avventure di Pinocchio, passando per un numero imprecisato di saggi, di racconti, di poesie, e, infine, per la gigantesca fatica (insieme, almeno all'inizio, a un altro sacerdote, Francesco Placereani) di tradurre integralmente la Bibbia in lingua friulana - egli è stato uno straordinario animatore della cultura friulana, al punto che devono essere ben poche le case di quella regione in cui non vi sia almeno uno dei suoi libri.
Diciamo subito, d'altra parte, che pre Toni Beline era - come lo sono quasi tutti i figli di quella terra - un uomo schivo, non amante della pubblicità.
Scriveva sul giornale diocesano «La Vita Cattolica», sul mensile dell'Associazione Friulana Donatori del Sangue, «Il Dono», e su una rivista di cultura friulana, «La Patrie dal Friûl»; ma non andava mai in televisione, o quasi mai (fa eccezione una lunga intervista per una stazione carnica, svolta in forma di conversazione, registrata all'aria aperta sullo sfondo della verdeggiante campagna estiva);. E non teneva conferenze: le sue conferenze erano, in un certo senso, le prediche che da anni e anni faceva nella chiesa del paese di cui era stato nominato cappellano e poi parroco: Basagliapenta di Basiliano, alle porte di Udine (per chi viene da Venezia; in friulano, Visepente), seguitissime dalla comunità dei fedeli.
Eppure, la sua modestia e la sua ritrosia non bastano a spiegare la vistosa distrazione della cultura «ufficiale» nei suoi confronti, particolarmente fuori dal Friuli. Il fatto è che Antoni Beline era un prete scomodo (come lo era stato don Placereani); un prete molto vicino alla gente, ma poco propenso a strusciarsi lungo le scale e i corridoi del palazzo; e che, in alcuni suoi libri - particolarmente in «La fabriche dai predis», del 1999, che fu censurato dall'autorità religiosa e fatto scomparire dalle librerie - non aveva esitato a criticare un certo conformismo diffuso negli ambienti della curia vescovile.
Di preti scomodi, in effetti, il Friuli - terra di profondo radicamento religioso - ne ha prodotto più d'uno; basti ricordare David Maria Turoldo, poeta e coautore del bellissimo film «Gli ultimi», insieme al regista Vito Pandolfi, e del quale ci siamo già occupati nella serie «Un film al giorno»; oppure, su un versante completamente diverso (anche in senso ideologico e politico), quello scomodissimo sacerdote che è stato don Luigi Cozzi, parroco di Solimbergo (Pordenone), del quale ci proponiamo di dire qualcosa, una volta o l'altra.
Preti di sinistra, preti di destra: ma sempre preti animati da una profonda vocazione, da un amore bruciante per la Chiesa e per la loro terra natale, da un senso di fedeltà indefettibile verso la propria missione e verso la propria gente. Abbiamo già sfiorato l'argomento in un precedente saggio, «Il decollo dell'economia friulana: un compromesso riuscito fra tradizione e modernizzazione?» (consultabile sempre sul sito di Arianna Editrice).
La terra friulana, storicamente, è sempre stata caratterizzata da uno stretto legame fra popolo e Chiesa, fin dai tempi del Patriarcato di Aquileia (il più esteso Stato italiano settentrionale dell'epoca pre-comunale). Con Dio si può anche litigare, bestemmiando a tutto spiano (noi stessi abbiamo visto dei bambini piccolissimi, ancora in carrozzella, cui era stato insegnato dal nonno a bestemmiare sonoramente); ma nessun Friulano è capace di ignorarlo. Anche quando ci litiga, diceva Turoldo, lo riconosce: e la bestemmia, così diffusa da non farci quasi più caso, è anch'essa, in fondo, una preghiera rovesciata.
Fra tutti i libri di Antonio Bellina, abbiamo scelto di proporre al pubblico questo breve racconto intitolato «Pre Celest» («Don Celeste»), che fa parte del volume «Fantasticant» (ossia Fantasticando», Udine, Ribis Editore, 1990, pp. 22-24), per la sua schietta freschezza e per quel candore così disarmante, quasi naïf, che lo rende simile a una fiaba d'altri tempi; ma che, per il contenuto morale, lo avvicina a un apologo francescano (pur con qualche tollerabilissima sfumatura di zolfo).
E ci piace pensare che, scrivendo questa pagina, il Nostro abbia provato un certo qual gusto nel descrivere le disavventure di quel vescovo potente e prepotente; immedesimandosi invece, lui semplice prete del popolo, nella simpatica figura di pre Celeste, un sacerdote che amava Dio di tutto cuore, ma che, a sua volta, era poco amato dalla Curia episcopale, e velenosamente invidiato da tanti suoi colleghi.
Poiché tradurre una pagina di questo autore vorrebbe dire ammazzarla (Antonio Bellina è considerato, giustamente, uno dei maggior scrittori moderni in lingua friulana), abbiamo ritenuto indispensabile riprodurla così com'è, con tutte le saporose sfumature dell'originale (e non si dica del dialetto, perché il friulano non è un dialetto, ma una lingua: non è una versione locale dell'italiano, come il veneto, ma un idioma a sé stante, derivato direttamente dal latino, come lo è il romancio della Svizzera).
Il lettore non friulano, tuttavia, non si scoraggi: non è affatto una lingua incomprensibile; con un po' di pazienza e di buona volontà, e - magari, con l'aiuto di un vocabolario friulano-italiano (come l'ottimo Pirona), lo scoglio è superato più facilmente di quel che non si pensi, e - crediamo - con notevole soddisfazione di chi può accostarsi direttamente all'originale di un testo come questo, peraltro «facile» e discorsivo.
Ad ogni modo, per fornire un aiuto a chi non se la senta di provare da solo, diamo una traduzione della parte iniziale del racconto, o, per dir meglio, della novella; con il suggerimento di provare, comunque, a leggere prima il testo originale, per entrare nello spirito della lingua friulana.
Se non ci cerca di penetrare lo spirito di una lingua, non si riesce neppure ad entrare nell'anima di quel determinato popolo.
PRE CELEST
«Pre celest al à vivût chenti prin dal nestri ricuart e nol è segnât tai libris parceche lu vevin mandât provisori.Al ere un sant predi, bon come il bon pan, ma nol veve nè teologhie né siense, ch'al veve stentât che mai a imparâ ancje chel sbit di latin del Messe, e par chel nol veve fate ferade.
La curie lu mandave mo ca mo là a stropâ bûsis e lui, chel no veve supierbiis di sorte, al veve passât duc' i borcs e i paîs dal cjanâl cence mai lamentâsi di nuje.Cu la int, po, al veve une bontât e un trat ch'al rivave a tirâ dongje ancje i plui resiastics.»
[Traduzione: «Don Celeste è vissuto assai prima di quanto può spingersi il nostro ricordo, e il suo nome non compare sui registri parrocchiali, perché lo avevano mandato a titolo provvisorio. Era un santo prete, buono come può esserlo il buon pane; ma non possedeva né teologia, né scienza: al punto che aveva faticato come non mai ad imparare perfino quel poco di latino per dire la Messa, e per questo non aveva fatto strada.
La curia lo mandava ora di qua, ora di là, a tappare buchi; e lui, che non era per nulla superbo, era passato per tutti i borghi e i paesi della vallata, senza lamentarsi di niente. Con la gente, poi, possedeva una bontà e un modo di fare tali, che arrivava ad attirare la simpatia anche dei più refrattari.»]
«Tun mâl, tune disgracje, tune conseguense, tun cavîl, lui si prontave tanche il Signôr e al semeave dome pâs e confuart e buine armonie. Par chel la int lu puartave in ecelsis; e simpri par chel, i predis, rassate invidiose, no podevin concepîlu. E stant ch'al bateve lis cjasis e ch'al ere libar cun duc', onps e feminis, j meterin fûr une brute cjàcare sul onôr, fasint in mût che j rivas drete al vescul.»
[Segue traduzione: «Per un male, per una disgrazia, per una conseguenza, per un cavillo, lui si prodigava come avrebbe fatto il Signore, e seminava solo pace e conforto e buona armonia. Per cui la gente lo teneva in altissima considerazione; e, sempre per lo stesso motivo, i preti, brutta razza invidiosa, non potevano sopportarlo. E, dal momento che egli visitava le case e si comportava familiarmente con tutti, uomini e donne, essi sparsero una brutta diceria sul suo onore, facendo in modo che arrivasse dritta fino al vescovo.»]
«Si sa de storie e de' speriense che i vescui s'impensin dai predis dome cuanche a sintin cjàcaris e che, tun scandul, a crodin simpri a di chel ch'al semene la sinsànie. E cussì pre Celest si cjatà di cumò a dibot segnât sul libri neri e condanât, cence nancje la pussibilitât di sclarî la s inocense.
Il danp nol ere dome tal cûr, ma ancje tal stomi. Parceche, tornant un pont indaûr, pre Celest non vevin mai volût fâlu plevan par vie che ur semeave masse a la buine par frontâ la cjame di un paîs e al veve dome ch'êi de messe, e messis di puars che ben s'intint. Cuanche j gjavarin ancje chêi cuatri, al plonbà tal aviliment plui font e al clamà la muart.»
[Segue traduzione: «Si sa, tanto dalla storia che dall'esperienza, che i vescovi si preoccupano dei preti solo quando sentono delle chiacchiere e che, in uno scandalo, prestano sempre fede a colui che ha seminato la zizzania. E così Don Celeste si trovò, da un momento all'altro, segnato sul libro nero e condannato, senza neanche la possibilità di dimostrare la sua innocenza.
Il danno, però, non era solo nel cuore, ma anche nello stomaco. Infatti, tornando un poco indietro, Don Celeste non avevano mai voluto farlo parroco, perché sembrava troppo alla buona per affrontare il carico di un paese; e poteva contare solo sulle entrate relative alle messe, e messe di poveri, beninteso. Allorché gli tolsero anche quei quattro soldi, egli piombò nella più profonda desolazione, e giunse ad invocare la morte.»]
Ma il Signôr nol bandone mai il just tes grifis dal trist, e j mandà une ispirazion tremende.
Tun armarat dut carulât dal cjamarìn, pre Celest al veve une tassute di libris inproibîz, che j ai veve lassâz puar so barbe predi e j veve racomandât di no doprâju mai, dome tune streme. Jenfri di chesc' libris, and'ere un, par latin, cun miegis peraulis roseadis des tarmis, ch'al ere il plui periculôs. E pre Celest, cu la fede de disperazion, al spietà il moment ch'al ere dibessôl in cjase e, cun doi ceris e un Crist, si sierà cul clostri e al tirà fûr chest libri. J clopavin i genôi come ch'al ves vude la fiere batècule, ma si fasè il cûr fuart e al lejè dôs pagjnis di file cence dibot nancje tirâ flât. Podopo si sentà te cort, solevât.
La gnove che il vescul al ere cjamât di pedôi e che nol podeve lassâ il palač, e fasè il gîr tun batûtdi voli»
[Segue traduzione: «Ma il Signore non abbandona mai il giusto nelle grinfie del malvagio, e gli mandò una terribile ispirazione.
In un vecchio armadio tutto tarlato della sua stanza, Don Celeste aveva una raccolta di libri proibiti, che gli erano stati lasciati da un suo zio prete, il quale gli aveva raccomandato di non adoperarli mai, tranne che in situazioni estreme. In mezzo a questi libri ce n'era uno, scritto in latino, con metà delle parole rosicchiate dalle tarme, che era il più pericoloso. E Don Celeste, con la forza della disperazione, attese il momento in cui sarebbe stato solo in casa; poi, con due ceri e un Crocifisso, si chiuse con il catenaccio e tirò fuori proprio quel libro. Gli tremavano le ginocchia come se avesse avuto la febbre da burla, tuttavia si fece coraggio, e lesse due pagine di fila, senza nemmeno tirare il fiato. Da ultimo si sedette in cortile, sollevato.
La notizia che il vescovo era infestato dai pidocchi e che non poteva lasciare il palazzo, fece il giro in un batter d'occhio.»
A partire da questo punto ci fermiamo, e lasciamo che il volonteroso lettore si sforzi di proseguire da solo nella traduzione del testo. Può darsi che, se non possiede un vocabolario, gli sfugga il significato di una o due parole; ma il senso complessivo della storia non potrà sfuggirgli, a patto che legga lentamente e rifletta bene su ogni frase.]
«La massàrie j fasè boli tune munture, ancje ché sot, ma dibant. I cjalunis a provarin cun tune messe a part, in dômo, e nuje. Lis muiniis, spirtadis de digracie che j ere capitade al vescul, j puartarin pečoz e pečotuz di pojâlu su la part sničade, ma nuje nancje chel. I frâris a tirarin fûr un vues di un lôr sant, muart cjamât di pedôi e di glandons e di cragne, e lu platarin sot dal cjavečâl ch'al durmive il vescul ma la gracie no rivà. Par dutis lis glesiis oremus e letaniis "per il pronto ristabilimento dell'Angelo della Diocesi", ma nond'ere rimiedis. Il vescul si ere ridusût dut une gruse a sun di gratâsi e al veve il vîf. Al faseve ancje pene, cun dut ch'al ere trist.»
Viodint che no žovavin né prejeris né lissivis, al scugnì rindisi e ricognossi ch'al ere un spieli e un cjastic pal mâl che j veve fat a pre Celest lant daûr des cjàcaris a pote vie.
Lu mandà a cjoli biroč plui fin ch'al veve e j domandà perdon de sô inicuitât. Alore pre Celest, che nol ere mai stât stilôs cun nissun, al tirà fûr il libri e j giavà il striament. Il vescul, par palesâj il so agrât, lu distinà plevan tun paîs grant, cun samence di siet vacjs, e i predis a vevin ancjmò plui invidie, ma no levin dal vescul parceche a savevin ch'al ere scjarterût e ch'al veve une pore santissimade des maludizions di pre Celest.»
Concludiamo con pochi, scarni cenni biografici.
Antonio Bellina nasce a Venzone (ma da madre carnica) l'11 febbraio del 1941, e muore a Basagliapenta di Basiliano il 23 aprile del 2007.
Ordinato sacerdote nel 1965, svolge la sua missione in diversi paesi prima di arrivare a Villaorba e poi a Basagliapenta, di cui diviene parroco e dove è stata scoperta, nel 2008, una targa alla sua memoria.
La sua produzione letteraria, come abbiamo detto, è sterminata: sono quasi cinquanta libri, più un numero imprecisato di articoli, apparsi nelle riviste sopra ricordate. Di tutti questi libri, uno solo è stato - finora - tradotto in italiano: «La fatica di credere», del 2007.
Antonio Bellina era una persona schietta e profondamente religiosa, che ha lasciato un ricordo assai vivo in quanti l'hanno conosciuta (e non erano in pochi a recarsi appositamente a Basagliapenta, la domenica, per poter ascoltare le sue prediche, durante la messa festiva).
Il ritratto dell'uomo emerge con forza da questa sua caratteristica affermazione: «Il vero pastore di un paese non è il parroco, ma il Signore. Se manca il parroco, non cade il mondo. Se manca il Signore, il mondo non si regge».
fonte: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=25395
di Francesco Lamendola - 26/03/2009
Sono ben poche - crediamo - le persone, fuori del Friuli, che hanno mai sentito il nome di Antonio Bellina.
Viceversa, in Friuli, sono ben poche quelle che non lo hanno mai sentito nominare; anzi, che non hanno mai sentito fare il nome di pre Toni Beline, dove «pre» sta per l'italiano «don» in senso ecclesiastico, e indica un sacerdote, generalmente il parroco di un paese.
Con i suoi quarantasette libri pubblicati, tutti rigorosamente in lingua friulana - dalle riflessioni sulla pastorale e sulla friulanità, alla traduzione delle favole di Esopo e di Fedro, alle avventure di Pinocchio, passando per un numero imprecisato di saggi, di racconti, di poesie, e, infine, per la gigantesca fatica (insieme, almeno all'inizio, a un altro sacerdote, Francesco Placereani) di tradurre integralmente la Bibbia in lingua friulana - egli è stato uno straordinario animatore della cultura friulana, al punto che devono essere ben poche le case di quella regione in cui non vi sia almeno uno dei suoi libri.
Diciamo subito, d'altra parte, che pre Toni Beline era - come lo sono quasi tutti i figli di quella terra - un uomo schivo, non amante della pubblicità.
Scriveva sul giornale diocesano «La Vita Cattolica», sul mensile dell'Associazione Friulana Donatori del Sangue, «Il Dono», e su una rivista di cultura friulana, «La Patrie dal Friûl»; ma non andava mai in televisione, o quasi mai (fa eccezione una lunga intervista per una stazione carnica, svolta in forma di conversazione, registrata all'aria aperta sullo sfondo della verdeggiante campagna estiva);. E non teneva conferenze: le sue conferenze erano, in un certo senso, le prediche che da anni e anni faceva nella chiesa del paese di cui era stato nominato cappellano e poi parroco: Basagliapenta di Basiliano, alle porte di Udine (per chi viene da Venezia; in friulano, Visepente), seguitissime dalla comunità dei fedeli.
Eppure, la sua modestia e la sua ritrosia non bastano a spiegare la vistosa distrazione della cultura «ufficiale» nei suoi confronti, particolarmente fuori dal Friuli. Il fatto è che Antoni Beline era un prete scomodo (come lo era stato don Placereani); un prete molto vicino alla gente, ma poco propenso a strusciarsi lungo le scale e i corridoi del palazzo; e che, in alcuni suoi libri - particolarmente in «La fabriche dai predis», del 1999, che fu censurato dall'autorità religiosa e fatto scomparire dalle librerie - non aveva esitato a criticare un certo conformismo diffuso negli ambienti della curia vescovile.
Di preti scomodi, in effetti, il Friuli - terra di profondo radicamento religioso - ne ha prodotto più d'uno; basti ricordare David Maria Turoldo, poeta e coautore del bellissimo film «Gli ultimi», insieme al regista Vito Pandolfi, e del quale ci siamo già occupati nella serie «Un film al giorno»; oppure, su un versante completamente diverso (anche in senso ideologico e politico), quello scomodissimo sacerdote che è stato don Luigi Cozzi, parroco di Solimbergo (Pordenone), del quale ci proponiamo di dire qualcosa, una volta o l'altra.
Preti di sinistra, preti di destra: ma sempre preti animati da una profonda vocazione, da un amore bruciante per la Chiesa e per la loro terra natale, da un senso di fedeltà indefettibile verso la propria missione e verso la propria gente. Abbiamo già sfiorato l'argomento in un precedente saggio, «Il decollo dell'economia friulana: un compromesso riuscito fra tradizione e modernizzazione?» (consultabile sempre sul sito di Arianna Editrice).
La terra friulana, storicamente, è sempre stata caratterizzata da uno stretto legame fra popolo e Chiesa, fin dai tempi del Patriarcato di Aquileia (il più esteso Stato italiano settentrionale dell'epoca pre-comunale). Con Dio si può anche litigare, bestemmiando a tutto spiano (noi stessi abbiamo visto dei bambini piccolissimi, ancora in carrozzella, cui era stato insegnato dal nonno a bestemmiare sonoramente); ma nessun Friulano è capace di ignorarlo. Anche quando ci litiga, diceva Turoldo, lo riconosce: e la bestemmia, così diffusa da non farci quasi più caso, è anch'essa, in fondo, una preghiera rovesciata.
Fra tutti i libri di Antonio Bellina, abbiamo scelto di proporre al pubblico questo breve racconto intitolato «Pre Celest» («Don Celeste»), che fa parte del volume «Fantasticant» (ossia Fantasticando», Udine, Ribis Editore, 1990, pp. 22-24), per la sua schietta freschezza e per quel candore così disarmante, quasi naïf, che lo rende simile a una fiaba d'altri tempi; ma che, per il contenuto morale, lo avvicina a un apologo francescano (pur con qualche tollerabilissima sfumatura di zolfo).
E ci piace pensare che, scrivendo questa pagina, il Nostro abbia provato un certo qual gusto nel descrivere le disavventure di quel vescovo potente e prepotente; immedesimandosi invece, lui semplice prete del popolo, nella simpatica figura di pre Celeste, un sacerdote che amava Dio di tutto cuore, ma che, a sua volta, era poco amato dalla Curia episcopale, e velenosamente invidiato da tanti suoi colleghi.
Poiché tradurre una pagina di questo autore vorrebbe dire ammazzarla (Antonio Bellina è considerato, giustamente, uno dei maggior scrittori moderni in lingua friulana), abbiamo ritenuto indispensabile riprodurla così com'è, con tutte le saporose sfumature dell'originale (e non si dica del dialetto, perché il friulano non è un dialetto, ma una lingua: non è una versione locale dell'italiano, come il veneto, ma un idioma a sé stante, derivato direttamente dal latino, come lo è il romancio della Svizzera).
Il lettore non friulano, tuttavia, non si scoraggi: non è affatto una lingua incomprensibile; con un po' di pazienza e di buona volontà, e - magari, con l'aiuto di un vocabolario friulano-italiano (come l'ottimo Pirona), lo scoglio è superato più facilmente di quel che non si pensi, e - crediamo - con notevole soddisfazione di chi può accostarsi direttamente all'originale di un testo come questo, peraltro «facile» e discorsivo.
Ad ogni modo, per fornire un aiuto a chi non se la senta di provare da solo, diamo una traduzione della parte iniziale del racconto, o, per dir meglio, della novella; con il suggerimento di provare, comunque, a leggere prima il testo originale, per entrare nello spirito della lingua friulana.
Se non ci cerca di penetrare lo spirito di una lingua, non si riesce neppure ad entrare nell'anima di quel determinato popolo.
PRE CELEST
«Pre celest al à vivût chenti prin dal nestri ricuart e nol è segnât tai libris parceche lu vevin mandât provisori.Al ere un sant predi, bon come il bon pan, ma nol veve nè teologhie né siense, ch'al veve stentât che mai a imparâ ancje chel sbit di latin del Messe, e par chel nol veve fate ferade.
La curie lu mandave mo ca mo là a stropâ bûsis e lui, chel no veve supierbiis di sorte, al veve passât duc' i borcs e i paîs dal cjanâl cence mai lamentâsi di nuje.Cu la int, po, al veve une bontât e un trat ch'al rivave a tirâ dongje ancje i plui resiastics.»
[Traduzione: «Don Celeste è vissuto assai prima di quanto può spingersi il nostro ricordo, e il suo nome non compare sui registri parrocchiali, perché lo avevano mandato a titolo provvisorio. Era un santo prete, buono come può esserlo il buon pane; ma non possedeva né teologia, né scienza: al punto che aveva faticato come non mai ad imparare perfino quel poco di latino per dire la Messa, e per questo non aveva fatto strada.
La curia lo mandava ora di qua, ora di là, a tappare buchi; e lui, che non era per nulla superbo, era passato per tutti i borghi e i paesi della vallata, senza lamentarsi di niente. Con la gente, poi, possedeva una bontà e un modo di fare tali, che arrivava ad attirare la simpatia anche dei più refrattari.»]
«Tun mâl, tune disgracje, tune conseguense, tun cavîl, lui si prontave tanche il Signôr e al semeave dome pâs e confuart e buine armonie. Par chel la int lu puartave in ecelsis; e simpri par chel, i predis, rassate invidiose, no podevin concepîlu. E stant ch'al bateve lis cjasis e ch'al ere libar cun duc', onps e feminis, j meterin fûr une brute cjàcare sul onôr, fasint in mût che j rivas drete al vescul.»
[Segue traduzione: «Per un male, per una disgrazia, per una conseguenza, per un cavillo, lui si prodigava come avrebbe fatto il Signore, e seminava solo pace e conforto e buona armonia. Per cui la gente lo teneva in altissima considerazione; e, sempre per lo stesso motivo, i preti, brutta razza invidiosa, non potevano sopportarlo. E, dal momento che egli visitava le case e si comportava familiarmente con tutti, uomini e donne, essi sparsero una brutta diceria sul suo onore, facendo in modo che arrivasse dritta fino al vescovo.»]
«Si sa de storie e de' speriense che i vescui s'impensin dai predis dome cuanche a sintin cjàcaris e che, tun scandul, a crodin simpri a di chel ch'al semene la sinsànie. E cussì pre Celest si cjatà di cumò a dibot segnât sul libri neri e condanât, cence nancje la pussibilitât di sclarî la s inocense.
Il danp nol ere dome tal cûr, ma ancje tal stomi. Parceche, tornant un pont indaûr, pre Celest non vevin mai volût fâlu plevan par vie che ur semeave masse a la buine par frontâ la cjame di un paîs e al veve dome ch'êi de messe, e messis di puars che ben s'intint. Cuanche j gjavarin ancje chêi cuatri, al plonbà tal aviliment plui font e al clamà la muart.»
[Segue traduzione: «Si sa, tanto dalla storia che dall'esperienza, che i vescovi si preoccupano dei preti solo quando sentono delle chiacchiere e che, in uno scandalo, prestano sempre fede a colui che ha seminato la zizzania. E così Don Celeste si trovò, da un momento all'altro, segnato sul libro nero e condannato, senza neanche la possibilità di dimostrare la sua innocenza.
Il danno, però, non era solo nel cuore, ma anche nello stomaco. Infatti, tornando un poco indietro, Don Celeste non avevano mai voluto farlo parroco, perché sembrava troppo alla buona per affrontare il carico di un paese; e poteva contare solo sulle entrate relative alle messe, e messe di poveri, beninteso. Allorché gli tolsero anche quei quattro soldi, egli piombò nella più profonda desolazione, e giunse ad invocare la morte.»]
Ma il Signôr nol bandone mai il just tes grifis dal trist, e j mandà une ispirazion tremende.
Tun armarat dut carulât dal cjamarìn, pre Celest al veve une tassute di libris inproibîz, che j ai veve lassâz puar so barbe predi e j veve racomandât di no doprâju mai, dome tune streme. Jenfri di chesc' libris, and'ere un, par latin, cun miegis peraulis roseadis des tarmis, ch'al ere il plui periculôs. E pre Celest, cu la fede de disperazion, al spietà il moment ch'al ere dibessôl in cjase e, cun doi ceris e un Crist, si sierà cul clostri e al tirà fûr chest libri. J clopavin i genôi come ch'al ves vude la fiere batècule, ma si fasè il cûr fuart e al lejè dôs pagjnis di file cence dibot nancje tirâ flât. Podopo si sentà te cort, solevât.
La gnove che il vescul al ere cjamât di pedôi e che nol podeve lassâ il palač, e fasè il gîr tun batûtdi voli»
[Segue traduzione: «Ma il Signore non abbandona mai il giusto nelle grinfie del malvagio, e gli mandò una terribile ispirazione.
In un vecchio armadio tutto tarlato della sua stanza, Don Celeste aveva una raccolta di libri proibiti, che gli erano stati lasciati da un suo zio prete, il quale gli aveva raccomandato di non adoperarli mai, tranne che in situazioni estreme. In mezzo a questi libri ce n'era uno, scritto in latino, con metà delle parole rosicchiate dalle tarme, che era il più pericoloso. E Don Celeste, con la forza della disperazione, attese il momento in cui sarebbe stato solo in casa; poi, con due ceri e un Crocifisso, si chiuse con il catenaccio e tirò fuori proprio quel libro. Gli tremavano le ginocchia come se avesse avuto la febbre da burla, tuttavia si fece coraggio, e lesse due pagine di fila, senza nemmeno tirare il fiato. Da ultimo si sedette in cortile, sollevato.
La notizia che il vescovo era infestato dai pidocchi e che non poteva lasciare il palazzo, fece il giro in un batter d'occhio.»
A partire da questo punto ci fermiamo, e lasciamo che il volonteroso lettore si sforzi di proseguire da solo nella traduzione del testo. Può darsi che, se non possiede un vocabolario, gli sfugga il significato di una o due parole; ma il senso complessivo della storia non potrà sfuggirgli, a patto che legga lentamente e rifletta bene su ogni frase.]
«La massàrie j fasè boli tune munture, ancje ché sot, ma dibant. I cjalunis a provarin cun tune messe a part, in dômo, e nuje. Lis muiniis, spirtadis de digracie che j ere capitade al vescul, j puartarin pečoz e pečotuz di pojâlu su la part sničade, ma nuje nancje chel. I frâris a tirarin fûr un vues di un lôr sant, muart cjamât di pedôi e di glandons e di cragne, e lu platarin sot dal cjavečâl ch'al durmive il vescul ma la gracie no rivà. Par dutis lis glesiis oremus e letaniis "per il pronto ristabilimento dell'Angelo della Diocesi", ma nond'ere rimiedis. Il vescul si ere ridusût dut une gruse a sun di gratâsi e al veve il vîf. Al faseve ancje pene, cun dut ch'al ere trist.»
Viodint che no žovavin né prejeris né lissivis, al scugnì rindisi e ricognossi ch'al ere un spieli e un cjastic pal mâl che j veve fat a pre Celest lant daûr des cjàcaris a pote vie.
Lu mandà a cjoli biroč plui fin ch'al veve e j domandà perdon de sô inicuitât. Alore pre Celest, che nol ere mai stât stilôs cun nissun, al tirà fûr il libri e j giavà il striament. Il vescul, par palesâj il so agrât, lu distinà plevan tun paîs grant, cun samence di siet vacjs, e i predis a vevin ancjmò plui invidie, ma no levin dal vescul parceche a savevin ch'al ere scjarterût e ch'al veve une pore santissimade des maludizions di pre Celest.»
Concludiamo con pochi, scarni cenni biografici.
Antonio Bellina nasce a Venzone (ma da madre carnica) l'11 febbraio del 1941, e muore a Basagliapenta di Basiliano il 23 aprile del 2007.
Ordinato sacerdote nel 1965, svolge la sua missione in diversi paesi prima di arrivare a Villaorba e poi a Basagliapenta, di cui diviene parroco e dove è stata scoperta, nel 2008, una targa alla sua memoria.
La sua produzione letteraria, come abbiamo detto, è sterminata: sono quasi cinquanta libri, più un numero imprecisato di articoli, apparsi nelle riviste sopra ricordate. Di tutti questi libri, uno solo è stato - finora - tradotto in italiano: «La fatica di credere», del 2007.
Antonio Bellina era una persona schietta e profondamente religiosa, che ha lasciato un ricordo assai vivo in quanti l'hanno conosciuta (e non erano in pochi a recarsi appositamente a Basagliapenta, la domenica, per poter ascoltare le sue prediche, durante la messa festiva).
Il ritratto dell'uomo emerge con forza da questa sua caratteristica affermazione: «Il vero pastore di un paese non è il parroco, ma il Signore. Se manca il parroco, non cade il mondo. Se manca il Signore, il mondo non si regge».
fonte: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=25395
La fabbrica dei preti
Don Antonio Bellina (pre Toni Belline), è un sacerdote friulano piuttosto scomodo: scrive troppo e pensa troppo, e ciò per la Chiesa non va tanto bene. Nato a Venzone (UD) nel 1941, è stato direttore della "La patrie dal Friul", ha una rubrica sulla Vita Cattolica, ha tradotto la Bibbia in lingua friulana, ed ha scritto diversi libri tra i quali il più controverso ed al momento introvabile è "La fabriche dai predis" ovvero "la fabbrica dei preti" in altre parole il seminario. Dato che Antonio Bellina scrive esclusivamente in lingua friulana, le traduzioni in lingua italiana che riporto non sono autorizzate dall'autore, e sono di Marino Plazzotta esponente di spicco della cultura friulana. "La fabriche dai predis", libro che racconta le esperienze vissute in seminario da Don Antonio Bellina, e su come venisse "forgiata" la mente dei giovani preti, è sparito misteriosamente dalla circolazione per non si sa bene per quale Santo Uffizio. Il libro io ce l'ho, l'ho letto volentieri, e sinceramente l'ho apprezzato molto. E' il racconto del seminario ovvero come dice Bellina tradotto: "Il posto si chiama “seminario”. E’ stato inventato e codificato nel 1500, e precisamente in quel Concilio Tridentino (1545-1563) organizzato per combattere i protestanti, che è durato e dura, nella sostanza, fino al giorno d’oggi. La parola viene chiaramente da “semente “, una sorte di vivaio per piantine che dovevano essere guardate dai venti del secolo e riscaldate con il calore della santità".
Secondo Bellina i seminaristi sono solo piantine, da guardare (difendere), dai venti pericolosi e riscaldare con il calore della santità. Alcuni passi del libro sono veramente fenomenali, ed in particolare me ne ritorna in mente uno ove un giovine seminarista dato che gli avevano detto di lavarsi i denti con il COLGATE, avendo pochi soldi va in negozio e chiede se il COLGATE senza il GATE costa meno. Altri passi riguardano i dubbi dei seminaristi e le risposte dell'insegnante di Teologia. Bellina scrive: "In quei tempi di miseria materiale, i seminari godevano di grande abbondanza numerica, al punto che la nostra gente, per dire che ce n’era una strage, diceva un seminario. Cosa che sicuramente oggi stonerebbe. Però l’aspetto più caratteristico di questo posto di formazione clericale, che la retorica del tempo chiamava anche santuario, non era il numero degli eletti, ma lo stampo di educazione. Uno stampo soprattutto negativo, immobile, ossessionato a far sparire l’uomo vero, l’uomo che diventa prete, per sostituirlo con l’uomo nuovo, il prete che non è più uomo". Un po' come il concetto di Ermanno Olmi nel film "Centochiodi": cristianesimo ridotto a religione.
Il prete che non è più uomo, ma un quasi una specie di "automa" creato da una struttura che "ha mandato fuori centinaia, migliaia di preti, una stirpe per conto suo, tutta compatta, tutta uguale, tutta differente e alternativa alla gente normale. Che se in tempi di clericalizzazione e di sacralizzazione generalizzate poteva essere comprensibile e addirittura accettabile, oggi è tremendamente, scandalosamente stonata, incomprensibile e soprattutto inaccettabile". Bellina prosegue: Queste pagine sono una visita in quel luogo e in quell’ambiente, fatta da uno che ha passato li dentro tredici anni e dunque può vantare qualche titolo. Le ho scritte per fare luce sull’anormalità del prete, per trovare una qualche ragione alla sua stravaganza rispetto alla gente normale. Per capire quello che gli hanno fatto per ridurlo così e dunque per trovare una qualche attenuante e, se è possibile, un po’ di comprensione, come si ha per tutte le vittime. Non è un lavoro contro i preti ma, contro la struttura che li ha ridotti così. Ho scritto anche per dare una testimonianza alternativa a quella oleografica fornita dal mondo clericale, che sicuramente loda e dà risalto al suo prodotto nascondendo colpe e limiti. Queste testimonianze, apparentemente inutili, hanno il vantaggio di offrire una lettura diversa, contraria, inedita. Di modo che, un domani, se Dio vorrà, si potrà sentire un’altra campana, meno edificante e celebrativa ma non per quello meno vera. Una testimonianza personale, ma provata sulla mia pelle e dunque genuina". A chi dice che è una prova o castigo di Dio, un'occasione per cambiare sistema Bellina risponde: "a quelli che si strappano la tonaca domandandosi come ha potuto franare in maniera così repentina, io rispondo che la domanda sarebbe, in caso, un’altra: Come ha fatto a durare così tanto a lungo?".
Riporto alcune considerazioni di Bellina sul suo destino di entrare nella fabbrica dei preti e successivamente di essere prete:
Siccome i santi sono persone straordinarie rispetto alla normalità, come stelle che luccicano in un cielo tutto grigio, è evidente che anche la loro vita è differente di quella della “massa damnatorum” della “folla dei dannati” che saremmo noi. La differenza di base è la loro vita interiore, il loro grado di grazia, la santità delle loro anima, ma questo è troppo poco per i nostri occhi curiosi e allora bisogna che la straordinarietà di palesi anche dal di fuori. E non solo in morte o dopo morti, ma anche in vita.. L’ideale sarebbe che tutta la vita fosse fuori dalla nostra ordinarietà, che Dio palesasse la loro grandezza fin dai primi anni, per non trovare in loro ombra di normalità. I migliori sono segnati dal momento della nascita o addirittura prima.
Mi ricordo di aver letto, negli anni della mia formazione, un miscuglio di vite di santi ed agiografie, una più edificante di quell’altra, in cui Dio sfogava tutta la sua fantasia per sottolineare la santità dei suoi servitori. Bambini che nascevano con una piccola croce in mano, bambine alle quali uscivano di bocca delle api, culle da cui si sentivano canti mai sentiti, case che si illuminavano come se avessero preso fuoco e la gente correva spasimando coi i secchi e trovava un ragazzino bello come un angelo. Ci sono stati santi che, nei giorni di astinenza, vuoi il mercoledì o il venerdì, non volevano succhiare il latte materno e altri che hanno incominciato a parlare appena usciti dal grembo della madre.
Non mancano naturalmente i sogni e le premonizioni, strada consueta che Dio adopera anche nella Bibbia per avvertire degli esempi che sta preparando.
Ebbene, se invece di essere un beato prete, grande peccatore e eretico, fossi stato un san Giovanni Bosco, o un altro santo, anche nella mia vita avrebbero trovato qualcosa di straordinario. Per esempio il sogno di una madre.
Sono nato l’11 febbraio del 1941. In quel giorno la chiesa ricorda l’apparizione della Madonna di Lourdes a santa Bernardette. Può esistere un santo che non sia nato o morto in una giornata dedicata alla Madonna? Se deve tener conto che, a differenza della gente normale che vive in una quotidiana casualità, per le anime elette non esiste casualità e tutto ha un significato, compresi i giorni del calendario.
Quando stavo per nascere, mia madre si è sognata che, davanti all’altare della Madonna, c’era un bambino vestito da prete, con la piccola tonaca nera e la cotta bianca, tutto intento a guardare la Madonna e a pregare. Quella volta non si sapeva, come adesso, se nasceva bambino o bambina, e io non ero l’unico maschio della famiglia, avendo un fratello più grande di me e uno più piccolo. Mia madre non ha fatto nessun sogno con nessuno degli altri e dunque si può dire con relativa sicurezza che quel piccolo prete ero io.
(Fonte: "La fabriche dai predis", Marino Plazzotta)
Un'altra passo che ricordo volentieri, è quando parla della "scuola diabolica", diffusa credulità popolare e cosa di cui mia madre si premuniva di avvisarmi, dei preti. Non parlare mai male dei preti hanno fatto la scuola diabolica, si vendicano. Leggende metropolitane confermate anche dalle mie vecchie zie, che vivono la loro fede con il terrore. Finiamola di essere succubi dei preti, anche se solo per le leggende metropolitane. Dalla fabbrica dei preti scopriamo che non è vero, semmai potremmo fare qualche considerazione sulla base del buon caro e vecchio Orwell ...
A me il libro è piaciuto, peccato che l'oscurantismo e l'inquisizione lo abbia fatto sparire dalla circolazione (introvabile in commercio bisogna rivolgersi direttamente all'autore). Strano che non sia stato dato alle fiamme pubblicamente, sullo stile del noto film di fantascienza ove i pompieri erano incaricati di incendiare i libri. Ma forse la lettura è un po' scomoda per chi ha la pretesa di imporre la propria morale da Legge divina, e la propria verità assoluta.
fonte: http://mstatus.splinder.com/post/11872698/La+fabbrica+dei+preti
Secondo Bellina i seminaristi sono solo piantine, da guardare (difendere), dai venti pericolosi e riscaldare con il calore della santità. Alcuni passi del libro sono veramente fenomenali, ed in particolare me ne ritorna in mente uno ove un giovine seminarista dato che gli avevano detto di lavarsi i denti con il COLGATE, avendo pochi soldi va in negozio e chiede se il COLGATE senza il GATE costa meno. Altri passi riguardano i dubbi dei seminaristi e le risposte dell'insegnante di Teologia. Bellina scrive: "In quei tempi di miseria materiale, i seminari godevano di grande abbondanza numerica, al punto che la nostra gente, per dire che ce n’era una strage, diceva un seminario. Cosa che sicuramente oggi stonerebbe. Però l’aspetto più caratteristico di questo posto di formazione clericale, che la retorica del tempo chiamava anche santuario, non era il numero degli eletti, ma lo stampo di educazione. Uno stampo soprattutto negativo, immobile, ossessionato a far sparire l’uomo vero, l’uomo che diventa prete, per sostituirlo con l’uomo nuovo, il prete che non è più uomo". Un po' come il concetto di Ermanno Olmi nel film "Centochiodi": cristianesimo ridotto a religione.
Il prete che non è più uomo, ma un quasi una specie di "automa" creato da una struttura che "ha mandato fuori centinaia, migliaia di preti, una stirpe per conto suo, tutta compatta, tutta uguale, tutta differente e alternativa alla gente normale. Che se in tempi di clericalizzazione e di sacralizzazione generalizzate poteva essere comprensibile e addirittura accettabile, oggi è tremendamente, scandalosamente stonata, incomprensibile e soprattutto inaccettabile". Bellina prosegue: Queste pagine sono una visita in quel luogo e in quell’ambiente, fatta da uno che ha passato li dentro tredici anni e dunque può vantare qualche titolo. Le ho scritte per fare luce sull’anormalità del prete, per trovare una qualche ragione alla sua stravaganza rispetto alla gente normale. Per capire quello che gli hanno fatto per ridurlo così e dunque per trovare una qualche attenuante e, se è possibile, un po’ di comprensione, come si ha per tutte le vittime. Non è un lavoro contro i preti ma, contro la struttura che li ha ridotti così. Ho scritto anche per dare una testimonianza alternativa a quella oleografica fornita dal mondo clericale, che sicuramente loda e dà risalto al suo prodotto nascondendo colpe e limiti. Queste testimonianze, apparentemente inutili, hanno il vantaggio di offrire una lettura diversa, contraria, inedita. Di modo che, un domani, se Dio vorrà, si potrà sentire un’altra campana, meno edificante e celebrativa ma non per quello meno vera. Una testimonianza personale, ma provata sulla mia pelle e dunque genuina". A chi dice che è una prova o castigo di Dio, un'occasione per cambiare sistema Bellina risponde: "a quelli che si strappano la tonaca domandandosi come ha potuto franare in maniera così repentina, io rispondo che la domanda sarebbe, in caso, un’altra: Come ha fatto a durare così tanto a lungo?".
Riporto alcune considerazioni di Bellina sul suo destino di entrare nella fabbrica dei preti e successivamente di essere prete:
Siccome i santi sono persone straordinarie rispetto alla normalità, come stelle che luccicano in un cielo tutto grigio, è evidente che anche la loro vita è differente di quella della “massa damnatorum” della “folla dei dannati” che saremmo noi. La differenza di base è la loro vita interiore, il loro grado di grazia, la santità delle loro anima, ma questo è troppo poco per i nostri occhi curiosi e allora bisogna che la straordinarietà di palesi anche dal di fuori. E non solo in morte o dopo morti, ma anche in vita.. L’ideale sarebbe che tutta la vita fosse fuori dalla nostra ordinarietà, che Dio palesasse la loro grandezza fin dai primi anni, per non trovare in loro ombra di normalità. I migliori sono segnati dal momento della nascita o addirittura prima.
Mi ricordo di aver letto, negli anni della mia formazione, un miscuglio di vite di santi ed agiografie, una più edificante di quell’altra, in cui Dio sfogava tutta la sua fantasia per sottolineare la santità dei suoi servitori. Bambini che nascevano con una piccola croce in mano, bambine alle quali uscivano di bocca delle api, culle da cui si sentivano canti mai sentiti, case che si illuminavano come se avessero preso fuoco e la gente correva spasimando coi i secchi e trovava un ragazzino bello come un angelo. Ci sono stati santi che, nei giorni di astinenza, vuoi il mercoledì o il venerdì, non volevano succhiare il latte materno e altri che hanno incominciato a parlare appena usciti dal grembo della madre.
Non mancano naturalmente i sogni e le premonizioni, strada consueta che Dio adopera anche nella Bibbia per avvertire degli esempi che sta preparando.
Ebbene, se invece di essere un beato prete, grande peccatore e eretico, fossi stato un san Giovanni Bosco, o un altro santo, anche nella mia vita avrebbero trovato qualcosa di straordinario. Per esempio il sogno di una madre.
Sono nato l’11 febbraio del 1941. In quel giorno la chiesa ricorda l’apparizione della Madonna di Lourdes a santa Bernardette. Può esistere un santo che non sia nato o morto in una giornata dedicata alla Madonna? Se deve tener conto che, a differenza della gente normale che vive in una quotidiana casualità, per le anime elette non esiste casualità e tutto ha un significato, compresi i giorni del calendario.
Quando stavo per nascere, mia madre si è sognata che, davanti all’altare della Madonna, c’era un bambino vestito da prete, con la piccola tonaca nera e la cotta bianca, tutto intento a guardare la Madonna e a pregare. Quella volta non si sapeva, come adesso, se nasceva bambino o bambina, e io non ero l’unico maschio della famiglia, avendo un fratello più grande di me e uno più piccolo. Mia madre non ha fatto nessun sogno con nessuno degli altri e dunque si può dire con relativa sicurezza che quel piccolo prete ero io.
(Fonte: "La fabriche dai predis", Marino Plazzotta)
Un'altra passo che ricordo volentieri, è quando parla della "scuola diabolica", diffusa credulità popolare e cosa di cui mia madre si premuniva di avvisarmi, dei preti. Non parlare mai male dei preti hanno fatto la scuola diabolica, si vendicano. Leggende metropolitane confermate anche dalle mie vecchie zie, che vivono la loro fede con il terrore. Finiamola di essere succubi dei preti, anche se solo per le leggende metropolitane. Dalla fabbrica dei preti scopriamo che non è vero, semmai potremmo fare qualche considerazione sulla base del buon caro e vecchio Orwell ...
A me il libro è piaciuto, peccato che l'oscurantismo e l'inquisizione lo abbia fatto sparire dalla circolazione (introvabile in commercio bisogna rivolgersi direttamente all'autore). Strano che non sia stato dato alle fiamme pubblicamente, sullo stile del noto film di fantascienza ove i pompieri erano incaricati di incendiare i libri. Ma forse la lettura è un po' scomoda per chi ha la pretesa di imporre la propria morale da Legge divina, e la propria verità assoluta.
fonte: http://mstatus.splinder.com/post/11872698/La+fabbrica+dei+preti
La polemica nel sangue
La polemica nel sangue
Il ritratto
di Roberto Jacovissi
Non ha avuto certo una vita facile, don Antonio Bellina - pre Toni, come lo chiamavamo un po' tutti quando ci si trovava a parlare assieme delle cose del Friuli - , vuoi per la malattia che lo ha accompagnato lungo gli ultimi anni della sua esistenza tormentata, vuoi per il suo carattere non certo facile, vuoi per quel suo modo di vivere la vocazione di "predi" al di fuori degli schemi ordinari - canonici, verrebbe da dire - e per quella sua penna polemica sempre intinta, e senza compromissioni - «infogonade», appassionata, come amava ripetermi - di verità.
Verità alla cui ricerca, «cirint lis olmis di Diu», ha dedicato tutta la sua breve esistenza. Predicando e scrivendo per il popolo di Dio a lui affidato e per i friulani tutti, che sono stati i suoi modi di elezione per amare Dio attraverso gli uomini , le loro miserie e le loro grandezze. Prete era, e anche maestro e pedagogo, come lo sono stati tanti altri preti della chiesa friulana, e per questo non aveva mai separato la sua parola di fede da quella utilizzata per diffondere la cultura e la lingua friulana convinto, com'era, che questa fosse la strada maestra per togliere il suo popolo da un retaggio di sottomissione e di minorità culturale. Pre Toni è stato un autore fecondo: oltre cinquanta sono le sue pubblicazioni, senza contare le sue tante collaborazioni giornalistiche e la direzione del mensile in lingua friulana "La Patrie dal Friûl" che aveva fondato e che aveva diretto con passione e competenza.
Certo, pre Toni è stato anche un polemista: ce l'aveva nel sangue, la polemica, che era un dato connaturato nella sua esistenza, di sicuro frutto della sua grande passione religiosa, civile e culturale, che mai comunque aveva tolto alle sue opere il valore letterario o di testimonianza. A cominciare da quel suo "pamphlet" sulla formazione dei seminaristi nel seminario di Udine, che non a caso aveva intitolato "La fabriche dai predis", e nel quale aveva raccontato - e quest'opera si può definire alla stregua di un trattato di sociologia della formazione del clero - con dovizia di particolari e giudizi anche scomodi, quella che era stata la sua formazione umana e culturale nel seminario, le difficoltà che aveva vissuto e la difficoltà di tenere duro nella scelta fatta.
Ricchissima, come si è detto, la sua bibliografia, che ha inizio ancora negli anni di parroco a Valle e Rivalpo, poi a Codroipo e infine a Basagliapenta, suo luogo dell'anima, a iniziare da "Par amôr o par fuarce" (1975), "Siôr Santul" (1976), "Misteri gloriôs" (1980), "Tiere di cunfin " (1982) e alle traduzioni in friulano, tra le quali spicca quella del libro di Pinocchio, per arrivare al "Vanzeli par un popul" e alla traduzione in friulano della Bibbia, avviata con il compianto pre Checo Placereani.
Nel 1981 aveva vinto la seconda edizione del premio in lingua friulana "San Simone" di Codroipo, con l'opera "Pre Pitin", nella quale aveva realizzato un ritratto molto vivace di un mondo alla gran parte della gente sconosciuto, che era proprio quello della parrocchia e dei non sempre facili rapporti tra seminaristi e preti. Un libro che alla novità del contenuto accompagnava una grande padronanza della lingua friulana - che pre Toni ha saputo utilizzare come pochi -, una grande aderenza alla materia trattata e una capacità di elevare il racconto a uno spessore morale quasi del tutto sconosciuto nella coeva produzione letteraria in friulano.
Sempre al "San Simone" pre Toni aveva ricevuto, nel 1999, il premio per la saggistica per il saggio in friulano "Trilogjie tormentade" (Trilogia tormentata), nel quale, con tanto coraggio, aveva messo vicino tre personaggi di cultura, don Lorenzo Milani, Oscar Wilde e Pier Paolo Pasolini, molto diversi tra di loro, ma anche vicini, e molto, per il tormento della loro dolorosa esistenza. In questo testo pre Toni, con grande capacità di introspezione, passione e partecipazione umana, aveva condotto una analisi critica e storica a tutto campo sulle opere di questi personaggi, accompagnandola con un originale e sofferto confronto con quella che era la sua situazione personale e quella del popolo friulano, sempre con quella lingua che scaturiva, con tanta facilità, dalla sua penna.
In fondo, a ben guardare, e per stessa ammissione dell'autore, tra "Pre Pitin" e "Trilogjie tormentade" c'è un'evidente continuità di rapporto fra i personaggi protagonisti, tutti anime tormentate, con una vita difficile alle spalle come è stata quella dell'autore di queste opere, e come lo stesso pre Toni aveva scritto in un suo intervento pubblicato dal Comune di Cordoipo in una pubblicazione edita per il 25º anniversario del premio "San Simone".
Più che di un collegamento casuale tra don Milani, Oscar Wilde e Pier Paolo Pasolini - questi due ultimi, anche a detta di pre Toni, non proprio adatti a farci prediche secondo il normale ragionamento della gente normale -, il collegamento lui l'aveva cercato, e trovato, nella grande cultura, nella libertà interiore, nella forza morale che questi personaggi avevano dimostrato nel dire le cose che non piacevano agli abitatori del palazzo, e sulle loro profonde intuizioni, che sarebbero durate - come in effetti sono durate - ben oltre le loro vite relativamente brevi, come breve, in fondo, è stata quella di pre Toni.
Nella prefazione di uno dei suoi primi lavori, "Siôr santul", aveva dedicato la sua fatica, non senza una sottile ironia, «a duc' i predis che no àn fate strade in chest mont, cun la sperance che la fasin in chelâtri. A duc' i predis che àn fate strade in chest mont, cu la sperance che no la fasin ancje in chelâtri» (A tutti i preti che non hanno fatto fortuna in questo mondo, con la speranza che la facciano in quell'altro. A tutti i preti che hanno fatto fortuna in questo mondo, con la speranza che non la facciano anche nell'altro). Il gusto del paradosso, in fondo, veniva in pre Bellina da quella saggezza popolare friulana nella quale era nato e che ha sempre sostenuto le sue fatiche letterarie. La parola delle Scritture è stata, per pre Toni, la fonte cristallina con la quale confrontarsi e confidarsi, e che trovava anche espressione nelle sue collaborazioni settimanali al giornale diocesano "La Vita Cattolica", con i suoi interventi nella rubrica "Cirint lis olmis di Diu", che meriterebbero essere raccolti per la sua ultima, forse più elevata opera teologica e letteraria, quale ultimo dono di un uomo tormentato, ma fedele alla sua missione di sacerdote e di maestro quale era. In queste sue meditazioni, pre Toni, con grande sapienza, profondità e partecipazione personale, si interrogava sulla rivelazione delle Scritture non al fine di una teologia fine a se stessa, ma per incarnarla nella vita quotidiana dei fedeli e di quella sua personale
Fino quasi a farsi profezia del sua destino di uomo alla ricerca della verità, che sente essere vicino il momento dell'incontro finale. Nella sua ultima collaborazione alla rubrica, uscita sabato 21 aprile, scriveva con intuizione profetica: «O vevi juste celebrade la Pasche cun lis mês comunitâts, cuant che, a colp, mi à brincât il mâl e o soi tornât a plombâ tal scûr orent dal Vinars sant, cu la vite che ti sta bandonant e cun la sensazion di jessi rivat insomp (o dapît) de tô corse» (Avevo appena celebrato la Pasqua con le mie comunità, che mi ha afferrato il male e sono ritornato a ripiombare nel buio orrendo del Venerdì santo, con la vita che ti sta abbandonando e con la sensazione di essere arrivato all'inizio (o alla fine) della tua vita».
Non negava la durezza della vita, don Bellina, non si faceva illusioni. In quell'«insomp» (inizio) o in quel «dapît» (fine) della vita sta forse l'ultimo, e più terribilmente sofferto, interrogativo di questo uomo e di questo prete che nella sua vita e nella sua attività letteraria non si è mai accontentato di verità precostituite, da consumare senza tormento per arrivare alla verità che ci fa liberi. Ma che nella sofferenza, come ha scritto in questa ultima collaborazione, che è quasi il necessario testamento, ha di certo trovato la strada «privilegjade e sigure par jentrâ in glorie».
(Messaggero Veneto 24 aprile 2007)
fonte: http://messaggeroveneto.gelocal.it/dettaglio/la-polemica-nel-sangue/1297370
Il ritratto
di Roberto Jacovissi
Non ha avuto certo una vita facile, don Antonio Bellina - pre Toni, come lo chiamavamo un po' tutti quando ci si trovava a parlare assieme delle cose del Friuli - , vuoi per la malattia che lo ha accompagnato lungo gli ultimi anni della sua esistenza tormentata, vuoi per il suo carattere non certo facile, vuoi per quel suo modo di vivere la vocazione di "predi" al di fuori degli schemi ordinari - canonici, verrebbe da dire - e per quella sua penna polemica sempre intinta, e senza compromissioni - «infogonade», appassionata, come amava ripetermi - di verità.
Verità alla cui ricerca, «cirint lis olmis di Diu», ha dedicato tutta la sua breve esistenza. Predicando e scrivendo per il popolo di Dio a lui affidato e per i friulani tutti, che sono stati i suoi modi di elezione per amare Dio attraverso gli uomini , le loro miserie e le loro grandezze. Prete era, e anche maestro e pedagogo, come lo sono stati tanti altri preti della chiesa friulana, e per questo non aveva mai separato la sua parola di fede da quella utilizzata per diffondere la cultura e la lingua friulana convinto, com'era, che questa fosse la strada maestra per togliere il suo popolo da un retaggio di sottomissione e di minorità culturale. Pre Toni è stato un autore fecondo: oltre cinquanta sono le sue pubblicazioni, senza contare le sue tante collaborazioni giornalistiche e la direzione del mensile in lingua friulana "La Patrie dal Friûl" che aveva fondato e che aveva diretto con passione e competenza.
Certo, pre Toni è stato anche un polemista: ce l'aveva nel sangue, la polemica, che era un dato connaturato nella sua esistenza, di sicuro frutto della sua grande passione religiosa, civile e culturale, che mai comunque aveva tolto alle sue opere il valore letterario o di testimonianza. A cominciare da quel suo "pamphlet" sulla formazione dei seminaristi nel seminario di Udine, che non a caso aveva intitolato "La fabriche dai predis", e nel quale aveva raccontato - e quest'opera si può definire alla stregua di un trattato di sociologia della formazione del clero - con dovizia di particolari e giudizi anche scomodi, quella che era stata la sua formazione umana e culturale nel seminario, le difficoltà che aveva vissuto e la difficoltà di tenere duro nella scelta fatta.
Ricchissima, come si è detto, la sua bibliografia, che ha inizio ancora negli anni di parroco a Valle e Rivalpo, poi a Codroipo e infine a Basagliapenta, suo luogo dell'anima, a iniziare da "Par amôr o par fuarce" (1975), "Siôr Santul" (1976), "Misteri gloriôs" (1980), "Tiere di cunfin " (1982) e alle traduzioni in friulano, tra le quali spicca quella del libro di Pinocchio, per arrivare al "Vanzeli par un popul" e alla traduzione in friulano della Bibbia, avviata con il compianto pre Checo Placereani.
Nel 1981 aveva vinto la seconda edizione del premio in lingua friulana "San Simone" di Codroipo, con l'opera "Pre Pitin", nella quale aveva realizzato un ritratto molto vivace di un mondo alla gran parte della gente sconosciuto, che era proprio quello della parrocchia e dei non sempre facili rapporti tra seminaristi e preti. Un libro che alla novità del contenuto accompagnava una grande padronanza della lingua friulana - che pre Toni ha saputo utilizzare come pochi -, una grande aderenza alla materia trattata e una capacità di elevare il racconto a uno spessore morale quasi del tutto sconosciuto nella coeva produzione letteraria in friulano.
Sempre al "San Simone" pre Toni aveva ricevuto, nel 1999, il premio per la saggistica per il saggio in friulano "Trilogjie tormentade" (Trilogia tormentata), nel quale, con tanto coraggio, aveva messo vicino tre personaggi di cultura, don Lorenzo Milani, Oscar Wilde e Pier Paolo Pasolini, molto diversi tra di loro, ma anche vicini, e molto, per il tormento della loro dolorosa esistenza. In questo testo pre Toni, con grande capacità di introspezione, passione e partecipazione umana, aveva condotto una analisi critica e storica a tutto campo sulle opere di questi personaggi, accompagnandola con un originale e sofferto confronto con quella che era la sua situazione personale e quella del popolo friulano, sempre con quella lingua che scaturiva, con tanta facilità, dalla sua penna.
In fondo, a ben guardare, e per stessa ammissione dell'autore, tra "Pre Pitin" e "Trilogjie tormentade" c'è un'evidente continuità di rapporto fra i personaggi protagonisti, tutti anime tormentate, con una vita difficile alle spalle come è stata quella dell'autore di queste opere, e come lo stesso pre Toni aveva scritto in un suo intervento pubblicato dal Comune di Cordoipo in una pubblicazione edita per il 25º anniversario del premio "San Simone".
Più che di un collegamento casuale tra don Milani, Oscar Wilde e Pier Paolo Pasolini - questi due ultimi, anche a detta di pre Toni, non proprio adatti a farci prediche secondo il normale ragionamento della gente normale -, il collegamento lui l'aveva cercato, e trovato, nella grande cultura, nella libertà interiore, nella forza morale che questi personaggi avevano dimostrato nel dire le cose che non piacevano agli abitatori del palazzo, e sulle loro profonde intuizioni, che sarebbero durate - come in effetti sono durate - ben oltre le loro vite relativamente brevi, come breve, in fondo, è stata quella di pre Toni.
Nella prefazione di uno dei suoi primi lavori, "Siôr santul", aveva dedicato la sua fatica, non senza una sottile ironia, «a duc' i predis che no àn fate strade in chest mont, cun la sperance che la fasin in chelâtri. A duc' i predis che àn fate strade in chest mont, cu la sperance che no la fasin ancje in chelâtri» (A tutti i preti che non hanno fatto fortuna in questo mondo, con la speranza che la facciano in quell'altro. A tutti i preti che hanno fatto fortuna in questo mondo, con la speranza che non la facciano anche nell'altro). Il gusto del paradosso, in fondo, veniva in pre Bellina da quella saggezza popolare friulana nella quale era nato e che ha sempre sostenuto le sue fatiche letterarie. La parola delle Scritture è stata, per pre Toni, la fonte cristallina con la quale confrontarsi e confidarsi, e che trovava anche espressione nelle sue collaborazioni settimanali al giornale diocesano "La Vita Cattolica", con i suoi interventi nella rubrica "Cirint lis olmis di Diu", che meriterebbero essere raccolti per la sua ultima, forse più elevata opera teologica e letteraria, quale ultimo dono di un uomo tormentato, ma fedele alla sua missione di sacerdote e di maestro quale era. In queste sue meditazioni, pre Toni, con grande sapienza, profondità e partecipazione personale, si interrogava sulla rivelazione delle Scritture non al fine di una teologia fine a se stessa, ma per incarnarla nella vita quotidiana dei fedeli e di quella sua personale
Fino quasi a farsi profezia del sua destino di uomo alla ricerca della verità, che sente essere vicino il momento dell'incontro finale. Nella sua ultima collaborazione alla rubrica, uscita sabato 21 aprile, scriveva con intuizione profetica: «O vevi juste celebrade la Pasche cun lis mês comunitâts, cuant che, a colp, mi à brincât il mâl e o soi tornât a plombâ tal scûr orent dal Vinars sant, cu la vite che ti sta bandonant e cun la sensazion di jessi rivat insomp (o dapît) de tô corse» (Avevo appena celebrato la Pasqua con le mie comunità, che mi ha afferrato il male e sono ritornato a ripiombare nel buio orrendo del Venerdì santo, con la vita che ti sta abbandonando e con la sensazione di essere arrivato all'inizio (o alla fine) della tua vita».
Non negava la durezza della vita, don Bellina, non si faceva illusioni. In quell'«insomp» (inizio) o in quel «dapît» (fine) della vita sta forse l'ultimo, e più terribilmente sofferto, interrogativo di questo uomo e di questo prete che nella sua vita e nella sua attività letteraria non si è mai accontentato di verità precostituite, da consumare senza tormento per arrivare alla verità che ci fa liberi. Ma che nella sofferenza, come ha scritto in questa ultima collaborazione, che è quasi il necessario testamento, ha di certo trovato la strada «privilegjade e sigure par jentrâ in glorie».
(Messaggero Veneto 24 aprile 2007)
fonte: http://messaggeroveneto.gelocal.it/dettaglio/la-polemica-nel-sangue/1297370
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