Antonio Bellina, il sacerdote schivo che testimoniava libertà e responsabilità
“La fatica di essere prete”, l'ultimo libro dell'animatore di Glesie Furlane uscito postumo per la Biblioteca dell'Immagine
Don Antonio Bellina è morto tra le braccia del suo sacrestano, la notte di domenica 22 aprile, stroncato da un malore davanti alla chiesa di Basagliapenta, lungo la statale pontebbana che taglia in due il paese. L'ultimo sguardo si è posato su questo edificio semplice, con alcuni alberelli davanti, ma in quell'istante pre Toni ha certo ripensato alle indimenticabili, dolcissime mattine in cui ancora bambino attraversava di corsa le stradine medievali della magica Venzone per essere puntuale alla messa delle sei. «Mi inginocchiavo sul primo gradino dell'altare maggiore - raccontava - e seguivo la celebrazione guardando affascinato il mio parroco, per me allora vecchio e venerando. Se devo dar ascolto alla memoria, credo che la mia vocazione sia legata al duomo e alle funzioni che vi si tenevano, ai canti in latino che salivano come incenso». Una vocazione fresca, salda, elastica come un giunco e robusta come un caterpillar che ha riempito tutta la sua vita, una vocazione sempre accompagnata da un'esigenza assoluta di libertà, per se stesso e per gli altri, e dalla convinzione che nel rapporto con Dio e il soprannaturale ogni popolo debba esprimersi attraverso i suoi sentimenti, la sua lingua, la sua cultura, senza farsi ingabbiare e schiacciare da convenzioni o strutture di potere («Il Vaticano - diceva - ha preso in mano tutto, trasformandosi in una centrale operativa dell'omologazione. Io invece non sono per la gerarchia, ma per la libertà e la responsabilità»). Quello consegnatoci da questo prete, morto a 66 anni dopo una vita intensa, ma appartata, al di fuori della cosiddetta ufficialità e di quelle situazioni che danno facile visibilità, è in definitiva un profondo canto di libertà, canto che si sofferma con forza dirompente sugli angoli bui della Chiesa, ma che riguarda sicuramente tutti, i friulani in primo luogo, se hanno ancora un po' di passione e di cuore per occuparsi delle proprie vicende, senza farsi condizionare, come accade da sempre, da chi distrae e dispone spacciando modelli culturali e sociali calati dall'alto, di fronte ai quali si diventa inanimati testimoni più che attivi protagonisti.
In questa ricerca di libertà, esistenziale, religiosa e politica, pre Bellina era approdato a riferimenti letterari molto ampi. Per esempio, nel recente De profundis, dove narra il rapporto con la malattia che negli ultimi anni si era fatta sempre più aggressiva, trasse ispirazione da Oscar Wilde e dal libro in cui è riportata la lettera scritta dal carcere di Reading: una delle opere - affermò Bellina - più alte, più profonde, più coraggiose, più poetiche e profetiche che mente umana abbia mai concepito. La notizia della morte di pre Toni, a fine aprile, ha suscitato una strana reazione in Friuli. Da un lato c'erano la commozione vera, non di circostanza, e il dolore dei tanti che lo conoscono e lo hanno seguito sempre passo dopo passo; dall'altro lo stupore di quanti, davanti a un'eco vasta e improvvisa, si sono chiesti chi fosse questo sacerdote e da dove spuntasse. Non ci sono state vie di mezzo e del resto il doppio atteggiamento è dovuto proprio al fatto che pre Beline si è espresso sempre attraverso due soli strumenti, la predica e la scrittura. Non ha mai cercato altre vesti pubbliche, come capita al giorno d'oggi essendo diffusa la tentazione di trasformarsi in guru e profeti a buon mercato. Chi voleva conoscere il suo pensiero doveva andare la domenica nella chiesa di Basagliapenta, oppure leggere uno dei 47 libri che ha scritto o gli articoli sulla Patrie dal Friûl, che ha diretto per tanti anni, o la rubrica settimanale sulla Vita Cattolica. L'unica variante rispetto a questo modo di proporsi sono state le riflessioni affidate alle interviste per Video Tele Carnia , una piccola emittente dell'Alto But che interviene sulle cose con tempi del tutto anti-televisivi, dunque dando a chi ascolta la possibilità di capire e di emozionarsi. Nelle conversazioni, registrate in un panorama carnico, soprattutto d'estate quando il fulgore delle montagne e del verde attorno ai paesini diventa prorompente, don Bellina è stato accompagnato dalle domande poste da Marino Plazzotta. Tutto rigorosamente in friulano, un bel friulano, sciolto, agile, quasi un'altra lingua rispetto a quello che accade di ascoltare in certi riti ufficiali. Del resto Bellina, pur essendo naturalmente di madrelingua friulana (originario di Venzone e con mamma carnica), diceva di aver fatto l'università del friulano quando, giovane parroco a Rivalpo, aveva trovato come professoressa Maria de Vuiche: «Ogni giorno andavo a casa sua, e lei parlava, parlava, e mi ha insegnato anche il friulano.
Non essendo stata a scuola, il suo friulano non era contaminato dall'italiano, era vergine. Aveva un modo di parlare così bello, fluido, melodioso, preciso». Su pre Beline, adesso che non c'è più, possono cominciare le riflessioni e lunghi viaggi di conoscenza. La materia è vasta, di forte interesse e coinvolgimento. Riguarda profondamente anche i laici e non a caso il più bell'articolo in morte di Bellina lo ha scritto Tito Maniacco che, da ateo, si confrontò pubblicamente più volte con lui, in incontri intensissimi. L'importante è che la testimonianza e il canto di libertà di Bellina non siano mummificati con il tono delle celebrazioni. Il primo a dolersene e a scappar via sarebbe certamente lui. Il viaggio può dunque cominciare da una rilettura attenta dei libri, che fanno luce sui vari ruoli (di prete scomodo e scalpitante, di intellettuale curioso, di scrittore - sicuramente il più prolifico in friulano negli ultimi 30 anni -, di traduttore della Bibbia, di continuatore dell'opera sociale e politica di pre Marchetti e di pre Placereani, di animatore di Glesie Furlane per l'autonomia della nostra terra). E come punto di partenza, per tutti, sia quelli che lo amano da sempre sia quelli che lo conoscono solo ora, ci può essere il libro La fatica di essere prete, edito dalla Biblioteca dell'Immagine di Pordenone (182 pagine - 12,00 euro), uscito pochi giorni dopo la sua morte, in cui Marino Plazzotta propone i contenuti delle interviste registrate per Vtc . Il testo friulano è stato tradotto in italiano per renderlo più accessibile, ma senza togliere freschezza e significato all'originale. È un documento forte, per molti versi anche un pugno allo stomaco, soprattutto quando sollecita una Chiesa senza gerarchie e oppressioni. Sono temi su cui Bellina ha speso una vita di battaglie e di sofferenze, sempre ai limiti del consentito, perché le sue pubblicazioni (come quella famosa dedicata agli anni difficili del seminario) hanno costantemente suscitato imbarazzo e malumori negli ambienti della curia. La sua rabbia di prete estremo testimone del Patriarcato di Aquileia, di uomo da tanti definito reazionario e invece per molti aspetti rivoluzionario, contraddittorio e complesso perché appunto libero, si stemperava alla fine negli accenti della dolcezza e della poesia. Di sé diceva: «Sono arrivato al culmine della mia carriera. Infatti posso dire quello che penso, un lusso che non può permettersi neanche il Papa né il vescovo. Sono romantico, perché spero e penso che l'ultima pagina del mondo sarà una pagina di poesia. Poesia magari un po' cruenta, ma sarà poesia, perché la pura e fredda razionalità, le grandi ideologie hanno fallito e resta la verità dell'amore e l'amore è l'emblema del romanticismo».
(16 maggio 2007)da Il Messaggero Veneto
fonte: http://messaggeroveneto.gelocal.it/dettaglio/antonio-bellina-il-sacerdote-schivo-che-testimoniava-liberta-e-responsabilita/1313007
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento